Introduzione / Introduction
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THE VOICE OF MUSIC ... LA VOCE DELLA MUSICA
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RADIO BEATLES 10cc FRANK ZAPPA SINATRA & Co. 20th CENTURY CINEMA FOREVER YOUNG LINKS
 
 

A.O.R.

M

CLIF MAGNESS - SOLO

JAKOB MAGNUSSON - JACK MAGNET (1981)

MELISSA MANCHESTER - HOME TO MYSELF (1973)

MELISSA MANCHESTER - BRIGHT EYES (1974)


MELISSA MANCHESTER - MELISSA (1975) FOREVER YOUNG

Da quando il latitante consegnò i media al piduista, al fine di obnubilare pensieri, idee e sentimenti (“Piano di Rinascita Democratica”), la TV di regime continua a proporre modelli femminili che susciterebbero ripulsa anche nel più sordido postribolo. Per scongiurare un’imbarazzante deriva misogina, prescriviamo una terapia empirica, ma garantita: procuratevi qualche CD di Phoebe Snow, Laura Nyro, Dusty Springfield, Rita Coolidge, Joan Armatrading, Elkie Brooks, Randy Crawford, Valerie Carter, Roberta Flack, Helen Reddy, Melissa Manchester. Dubbi? L’esperienza personale ci consente di vantare con enfasi le proprietà taumaturgiche di queste canzoni. L’album della maturità di Melissa diventa un capolavoro grazie alla regia di Richard Perry, esperto produttore cui allora si rivolgevano anche Ringo Starr (Ringo) e Art Garfunkel (Breakaway): sotto il suo controllo, la band dell’artista applica un suono omogeneo ai diversi arrangiamenti. Per perdere la testa al primo colpo, iniziate da I Got Eyes, incantevole pop-samba modulato dal piano elettrico dell’autrice. Melissa Manchester e Carole Bayer Sager firmano a quattro mani We’ve Got Time e Midnite Blue, parole e musica sospese in una romantica dimensione emotiva. La contagiosa vitalità di Party Music e Just Too Many People scalda l’ambiente per il doppio omaggio a Stevie Wonder: 1) Stevie’s Wonder, dichiarazione d’amore scritta da Melissa e Carole un anno prima di Songs In The Key Of Life; 2) Love Havin’ You Around, trascinante cover di una pagina tratta da Music Of My Mind. Il disco si chiude con una fine interpretazione di I Don’t Want To Hear It Anymore, cinica torch-song di Randy Newman recuperata dal catalogo Metric e già incisa da Dusty Springfield (Dusty In Memphis). - B.A.


MELISSA MANCHESTER - BETTER DAYS & HAPPY ENDINGS (1976)

MELISSA MANCHESTER - HELP IS ON THE WAY (1976) FOREVER YOUNG

MELISSA MANCHESTER - SINGIN’ ... (1977)


MELISSA MANCHESTER - DON’T CRY OUT LOUD (1978) FOREVER YOUNG

Da quasi mezzo secolo la “stampa specializzata” ci avvelena col pastone tossico della “disinformatia”, tenendoci all’oscuro di quanto accade nel mondo reale. Per esempio, negli anni '70 Melissa Manchester sfornava capolavori a ripetizione, ma per trovarne una copia nel “Bel Paese” dovevamo corrompere i bottegai al soldo delle major o adulare le ostili virago della Dimar di Rimini. Eppure, una volta dischiuso il “sesamo” della censura, si accedeva a una terra promessa popolata da uomini felici e donne in amore. Altro che “riflusso”, “edonismo”, “disagio” o “ribellione” (aspetti diversi della stessa, desolante superficialità). Quello era il rock, idioma musicale grazie a cui la canzone diventava opera d’arte. Le stoccate orchestrali e il ritmo felpato di Shine Like You Should condensano la preziosa lezione della Motown nella sintesi stilistica dell’A.O.R., predisponendo un’esclusiva passerella per la voce super-sexy di Melissa, mentre il coro gospel di Caravan evoca le atmosfere dei suoi primi classici (Home To Myself; Bright Eyes; Melissa). Sui sofisticati arrangiamenti soul di Almost Everything e Knowin’ My Love’s Alive è riconoscibile il tocco di Leon Ware, produttore del disco, uomo di fiducia di Marvin Gaye (I Want You) e poliedrico fuoriclasse di cui ricordiamo lo splendido, omonimo album del 1982 (Leon Ware). I sentimenti repressi raccontati da Peter Allen e Carole Bayer Sager fanno di Don’t Cry Out Loud uno standard sublime con cui, oltre alla Manchester e allo stesso Allen (I Could Have Been A Sailor), si misureranno interpreti del calibro di Elkie Brooks (Pearls), Rita Coolidge (Beautiful Evening) e Shirley Bassey (All By Myself). Scovata in un anonimo singolo delle Supremes, la melodia di Bad Weather reca l’inconfondibile firma di Stevie Wonder. Ispirato al soggetto di un dramma televisivo (Tell Me Where It Hurts) trasmesso nel 1974, Through The Eyes Of Grace è un toccante affresco familiare per piano e sezione archi. Le diverse sensibilità delle autrici - Melissa Manchester, Carole Bayer Sager - risaltano sulle rispettive versioni di To Make You Smile Again: Melissa la propone in chiave squisitamente pop, laddove Carole la avvolgeva in una raffinata veste orchestrale (… Too). Entrambe da avere, per riconciliarsi col “gentil sesso” quando in TV spuntano Irene Pivetti o Letizia Moratti. Il sipario cala sulle note di Singin’ From My Soul, emozionante ballad - già incisa su Help Is On The Way - in cui una donna allo specchio mette a nudo la propria anima. Insomma, c’è di che entusiasmarsi, ma non ci illudiamo: per le sfortunate vittime dell’I.C.S. (Indottrinamento Collettivo Sistematico), anche Don’t Cry Out Loud rimarrà un segreto inviolabile. - B.A.


MELISSA MANCHESTER - MELISSA MANCHESTER (1979)

MELISSA MANCHESTER - FOR THE WORKING GIRL (1980)

MELISSA MANCHESTER - HEY RICKY (1982)

MELISSA MANCHESTER - EMERGENCY (1983)

MELISSA MANCHESTER - TRIBUTE (1989)

MELISSA MANCHESTER - IF MY HEART HAD WINGS (1995)

MELISSA MANCHESTER - JOY (1997)

MELISSA MANCHESTER - WHEN I LOOK DOWN THAT ROAD (2004)

MANHATTAN TRANSFER - THE MANHATTAN TRANSFER (1975)

MANHATTAN TRANSFER - COMING OUT (1976)

MANHATTAN TRANSFER - PASTICHE (1978)

MANHATTAN TRANSFER - EXTENSIONS (1979)


MANHATTAN TRANSFER - MECCA FOR MODERNS (1981) FOREVER YOUNG

Ancora lui! Jay Graydon incide un’altra tacca sulla sua chitarra, confermando un’abilità straordinaria nel predisporre le condizioni ideali affinché gli artisti coinvolti si esprimano al meglio. Dopo gli exploit ottenuti con Marc Jordan (Blue Desert), Steve Kipner (Knock The Walls Down), Al Jarreau (This Time; Breakin’ Away) e Pages (Pages), Jay incrocia ancora i Manhattan Transfer, per cui aveva già prodotto lo splendido Extensions: il disco aveva colto un autentico trionfo internazionale grazie all’arrangiamento “vocalese” di Birldland, lo standard fusion firmato da Joe Zawinul per i Weather Report (Heavy Weather). Nel corso del nuovo rendezvous in studio, sotto l’attenta regia di Graydon, prendono forma canzoni che agli stimoli del fiorente fenomeno A.O.R. e alla prodigiosa batteria di Steve Gadd sommano la classe di quattro interpreti in stato di grazia. Il primo brano (On The Boulevard) è un capolavoro d’autore. Su una brillante idea melodica di Richard Page, Marc Jordan leva un’ode appassionata ai misteri e al fascino del Brasile: la memorabile collaborazione tra i due “maverick” del rock ispira il bizzoso fraseggio elettrico di Jay. Smagliante cover di un vecchio successo degli Ad Libs, gruppo vocale degli anni '60 precursore dei nostri, Boy From New York City fu pubblicata a 45 giri, rilanciando il “doo wop” in alta classifica. Con Smile Again, soave ballad sulla falsariga di After The Love Is Gone, (Airplay), Our Love (Al Jarreau), Friends In Love (Dionne Warwick) e For You, For Love (Average White Band), Alan Paul si concede una dedica personale di lusso, aggiungendo le proprie romantiche parole alla musica del rinomato trio Champlin/Foster/Graydon. Per donare un tocco cinematografico a Spies In The Night, Graydon clona in sala il celeberrimo tema di 007 composto da Monty Norman e orchestrato da John Barry: tra telefonate criptiche ed echi di Goldfinger, ci si sente a bordo della mitica Aston Martin DB5. Due nobili pagine jazz esaltano il virtuosismo di Janis Siegel, Tim Hauser, Alan Paul e Cheryl Bentyne, che passano con disinvoltura dallo swing [Until I Met You (Corner Pocket)] al be-bop [(The Word Of) Confirmation], incalzati dall’eccezionale sax alto di Richie Cole e dall’assolo “scat” di Jon Hendricks. Impiegando le voci in funzione strumentale, il quartetto si esibisce in un numero di alta acrobazia (Kafka), assecondato dalla stupefacente ritmica di Steve Gadd e Abraham Laboriel. Voto: “10”. Con una sublime versione “a cappella” di A Nightingale Sang In Berkeley Square, i Manhattan Transfer affrontano la temeraria sfida con Sinatra, che aveva già registrato l’evergreen di Manning Sherwin ed Eric Maschwitz durante le session londinesi dirette da Robert Farnon (Sinatra Sings Great Songs From Great Britain). A sorpresa, il duello con “the Voice” si conclude in parità e Mecca For Moderns guadagna il suo spazio accanto all’opera omnia di Sinatra. - B.A.


MANHATTAN TRANSFER - VOCALESE (1985) FOREVER YOUNG

Il più audace e convincente tentativo di commistione stilistica ha pure venduto bene e raccolto numerosi premi. Ormai assurti al rango di star internazionali, i Manhattan Transfer decidono di riprendere e approfondire il discorso introdotto col memorabile arrangiamento di Four Brothers (Pastiche) e reso popolare dal remake di Birdland (Extensions), applicandone la formula - sperimentata con la felice traduzione in vocalese degli standard di Jimmy Giuffre e Joe Zawinul - alle dimensioni di un album tematico. Il colpo di genio consiste nell’ingaggio di Jon Hendricks, cui è affidata la stesura di tutti i complessi e ispiratissimi testi: grazie al suo inimitabile talento, partiture scritte per esecuzioni strumentali infarcite di assoli si trasfigurano in suggestive storie raccontate dalle voci del quartetto. L’imponente schieramento di fuoriclasse e veterani (McCoy Tyner, Tommy Flanagan, Walter Davis Jr., Ron Carter, John Patitucci, Richard Davis, Grady Tate, Ralph Humphrey, John Robinson, Freddie Green, Philly Joe Jones, James Moody, Richie Cole) garantisce il dovuto rispetto formale a sacre pagine della letteratura jazz. Tre sole mosse sono sufficienti per tributare un doppio omaggio ciascuno a Benny Golson e Clifford Brown: se Oh Yes, I Remember Clifford* è il celeberrimo standard firmato dal primo in memoria del secondo e inciso dall’autore insieme a Lee Morgan per la Blue Note (Volume Three), That’s Killer Joe è un estratto dal prezioso repertorio del Jazztet (Meet The Jazztet), mentre lo stupendo tema di Sing Joy Spring§ accresce il rimpianto per la vita spezzata di Clifford Brown. Another Night In Tunisia consente un gustoso raffronto con la cover di Chaka Khan, che registrò la propria versione dell’inno be-bop sull’ottimo What Cha’ Gonna Do For Me (And The Melody Still Lingers On). Airegin e Move ribadiscono la prodigiosa abilità di Jon Hendricks nel rendere “cantabili” i mirabolanti fraseggi di Miles Davis, John Coltrane, Lee Konitz, Zoot Sims etc. Solo apparentemente fuori contesto, la pulsazione sintetica di Ray’s Rockhouse aggiorna lo spirito R&B di Ray Charles. [P.S. - *I Rember Clifford, Killer Joe, §Joy Spring.] - B.A.


MANHATTAN TRANSFER - THE CHRISTMAS ALBUM (1992)

MANHATTAN TRANSFER - TONIN’ (1995)

BARRY MANILOW - BARRY MANILOW I (1973)

BARRY MANILOW - BARRY MANILOW II (1975)

BARRY MANILOW - TRYIN’ TO GET THE FEELING (1976)

BARRY MANILOW - THIS ONE’S FOR YOU (1976)

BARRY MANILOW - EVEN NOW (1978)


BARRY MANILOW - ONE VOICE (1979)

Chi cavolo è Gino Cunico? E che ha fatto prima e dopo il 1979? Barry Manilow ha sempre avuto un grande intuito per scovare talenti sconosciuti ma capaci di scrivere canzoni splendide come When I Wanted You, confezionate su misura per lui, tanto da sembrare farina del suo sacco. Questo album non cambia neppure una virgola nello stile di Barry, ma il mostruoso successo ottenuto l’anno prima con Even Now gli consente di essere temerario quanto basta per aprire il disco con One Voice, un emozionante brano “a cappella” imbastito su 40 sovraincisioni vocali, che Manilow e l’orchestra illuminano a giorno con un maestoso fuoco d’artificio finale. Da ascoltare al buio e a volume altissimo. Divertente lo scherzo di introdurre la nostalgica (Why Don’t We Try) A Slow Dance con una parodia della disco-music più cretina. Rain allunga la lista infinita delle canzoni dedicate alla pioggia, ed è una delle cose più riuscite dell’intero lavoro, insieme all’ottima cover di Ships, scritta da Ian Hunter (You’re Never Alone With A Schizophrenic). Commovente il testo di Where Are They Now?, ripresa nel 1982 da Leon Ware (Leon Ware) e spassosissimo, fin dal titolo, quello di Who’s Been Sleeping In My Bed?. Il gioiello del disco è I Don’t Want To Walk Without You, un evergreen di Jule Styne e Frank Loesser che Barry arrangia con classe inarrivabile: magistrale l’interpretazione vocale e impagabile il “do-do-do-do” conclusivo. [P.S. - Gino Cunico ha inciso almeno due album] - B.A.


BARRY MANILOW - BARRY (1980)


BARRY MANILOW - IF I SHOULD LOVE AGAIN (1981) FOREVER YOUNG

L’11 Febbraio 1993, sulle pagine della Repubblica, Eugenio Scalfari denunciava le responsabilità dei più ingordi esponenti della classe politica italiana con uno storico editoriale intitolato “Tutto il male che hanno fatto”. Straparliamo? Per niente. Perché quel titolo calza a pennello a un’altra famigerata categoria di delinquenti nazionali: i padroni dell’informazione musicale. Incompetenza, superficialità, invidia, presunzione, arrivismo: la perniciosa indole di giornalisti e disc-jockey provocò una subdola forma di censura nei confronti di quegli artisti che privilegiavano la sostanza (forma e contenuto) a discapito del “look” e delle chiacchiere. Per oltre trent’anni, un manipolo di sedicenti “esperti” ha esercitato una sistematica circonvenzione di incapace nei confronti del pubblico, imponendo al Paese dischi di una bruttezza efferata. Gli effetti di quella terapia sono sotto gli occhi di tutti: intere generazioni plagiate dai cantautori italiani, indottrinate dagli straccioni punk, lobotomizzate dal clan di Cecchetto, incapaci di apprezzare una bella canzone o una progressione armonica appena elaborata. Barry Manilow è una delle vittime più illustri di questa catastrofe culturale. La sua magniloquenza melodica, addobbata con sgargianti crescendo orchestrali e pianoforti dal suono appariscente, indispettiva le mezze-cartucce delle riviste “specializzate” e i casi umani annidati negli studi radiofonici: ascoltare, leggere, capire, distinguere, promuovere con cognizione di causa era diventato faticoso. Fu allora che i lenoni di Popster e Ciao 2001 pianificarono lo sterminio descritto nell’introduzione. La tenace resistenza di pochi valorosi arginò l’ecatombe di appassionati e collezionisti e per i superstiti è ormai tempo di voltare pagina. Con il recupero di questo favoloso album del 1981 poggiamo le prime pietre della ricostruzione: The Old Songs, un’ode al potere afrodisiaco dei vecchi 45 giri, firmata da David Pomeranz; Let’s Hang On, saettante remake di un singolo degli anni '60, interpretato anche dai Manhattan Transfer nel 1995 (Tonin’); If I Should Love Again, lirica sonata in memoria di un amore incancellabile; Don’t Fall In Love With Me, seducente mid-tempo che piacerà ai cultori di Rupert Holmes; Somewhere Down The Road, preziosa creazione di Tom Snow, presente in una versione più succinta sul suo Hungry Nights; Fools Get Lucky e No Other Love, superbi esempi di manierismo pop, in cui Manilow imita se stesso; I Haven’t Changed The Room, malinconica ballad da chansonnier, per illusi irrecuperabili; Let’s Take All Night (To Say Goodbye), elegante valzer A.O.R. per chiudere in bellezza con i cori di Bill Champlin e Richard Page. - B.A.


BARRY MANILOW - I WANNA DO IT WITH YOU (HERE COMES THE NIGHT) (1982)

BARRY MANILOW - OH, JULIE! (1982)

BARRY MANILOW - MANILOW (1983)

BARRY MANILOW - 2.00 AM PARADISE CAFE’ (1984)

BARRY MANILOW - SWING STREET (1987)

BARRY MANILOW - BARRY MANILOW (1989)

BARRY MANILOW - BECAUSE ITS CHRISTMAS (1990)

BARRY MANN - BARRY MANN (1980)

JON MARK - SONGS FOR A FRIEND (1975)

JON MARK - THE LADY AND THE ARTIST

MARK/ALMOND - ‘73 (1973)


MARK/ALMOND - TO THE HEART (1976)

Album bello perché sì, indispensabile per almeno due pezzi e importante perché prelude al capolavoro Other Peoples Rooms. Lo cifra espressiva dei Mark/Almond è ormai definita: un elegante impasto di piano elettrico, chitarra classica, fiati vari, armonie jazz e voce “confidenziale” che contrassegnerà l’intera trilogia newyorchese (To The Heart; Other Peoples Rooms; Tuesday In New York). In più, accanto ai titolari, qui c’è Billy Cobham … La collaudata formula stilistica si dispiega lungo un paio di tipici bozzetti affettivi (Trade Winds, Everybody Needs A Friend), attraverso le variazioni strumentali di una convulsa mini-suite progressive/fusion (Here Comes The Rain), nello spleen di un’eterea ballad da notte fonda (One More For The Road). Le deflagrazioni ritmiche di Billy Cobham su Busy On The Line sottolineano l’orgogliosa rivalsa emotiva di Jon Mark, collegando l’uno all’altro gli splendidi fraseggi di Greg Bloch* (violino), Johnny Almond (sassofono), Tommy Eyre (tastiere). Il climax arriva con la meravigliosa cover dello standard di Billy Joel, in cui l’intramontabile ode metropolitana si amalgama al caratteristico doppio assolo (sax tenore/soprano) e a un’imprevista coda di gusto latino (Medley: New York State Of Mind / Return To The City). Prodotto da Roy Halee. Concepito a Carmel. [P.S. - *Premiata Forneria Marconi] - B.A.


MARK/ALMOND - OTHER PEOPLES ROOMS (1978) FOREVER YOUNG

Alcune rilevanti affinità stilistiche legano in un ideale gemellaggio musicale Other Peoples Rooms di Mark/Almond e Burchfield Nines di Michael Franks, due album gravemente sottovalutati da pubblico e critica. La svista va attribuita all’insorgere della cancrena punk (era il 1978), ma anche alla sciagurata distrazione dei media. I due dischi avevano in comune il clima intimista, le parole appena sussurrate, le languide armonie jazz e soprattutto la stessa eccezionale formazione organizzata dal produttore Tommy LiPuma: Leon Pendarvis (piano elettrico), John Tropea (chitarra), Will Lee (basso), Steve Gadd (batteria) e Ralph MacDonald (percussioni), sensibilissimi artefici di un suono plastico, flessuoso, antesignano dell’idioma fusion, caratterizzato da una sublime empatia tra gli strumenti. Sul soffice tappeto ritmico sfilano da un lato i fiati assortiti di Johnny Almond e il flicorno di Jerry Hey, dall’altro il tenore di Ernie Watts, la tromba di Oscar Brashear e il flauto del redivivo Bud Shank. Mentre Jon Mark sbircia con discrezione nelle vite altrui (Other Peoples Rooms; Just A Friend; Girl On Table 4), interpretando con toccante trasporto anche You Look Just Like A Girl Again di Danny O’Keefe, Franks compila una preziosa scaletta di otto brani originali, giocando con le sue provocanti allegorie liriche (When The Cookie Jar Is Empty; A Robinsong; Wrestle A Live Nude Girl; Meet Me In The Deerpark; In Search Of The Perfect Shampoo). Il compito di arrangiare gli archi fu assegnato a due ex-collaboratori di Sinatra: rispettivamente, Claus Ogerman ed Eumir Deodato. Il colpo di scena arriva con Vivaldi’s Song, un doppio finale che rischia di spiazzare l’ascoltatore, condizionandolo con l’imbarazzo della scelta tra le due versioni: per evitare uno spiacevole disorientamento, suggeriamo l’acquisto simultaneo di entrambi i CD. - B.A.


MARK/ALMOND - TUESDAY IN NEW YORK (1980) FOREVER YOUNG

Avete una baita in montagna o anche solo una catapecchia fuori città dove scappare quando il pensiero di Bobo Maroni ministro si fa insostenibile? Se sì, una raccomandazione: nella scorta di dischi, libri e viveri che porterete con voi, non manchi mai Tuesday In New York. Inciso quando la contaminazione tra rock e jazz era un’arte sopraffina, coltivata da maestri tanto saggi quanto schivi, l’ultimo capitolo della collaborazione tra Jon Mark e Johnny Almond sprigiona ancora oggi i suoi effetti rigeneranti. La coppia aveva esordito a livello professionale nell’ambiente del British Blues, affinando il gusto per le atmosfere ovattate in uno storico live di John Mayall (The Turning Point). Sotto le insegne della Mark/Almond Band, i due pubblicarono classici come To The Heart e Other Peoples Rooms, contribuendo a fondare il movimento A.O.R. senza mai diventarne veri adepti. Il canto del cigno arrivò mentre nel mondo l’immagine stava ormai soppiantando la musica: povero Mark … sempre in cerca di sentimenti autentici, cosa potevi saperne di “video” o di “look”? Occultato con perfidia dagli “addetti ai lavori”, Safe Harbour offriva un approdo ospitale a chi solo fosse riuscito ad avvistarlo: i rintocchi del piano, il timbro pastoso del basso elettrico, i sospiri del flauto e la tua voce rassicurante alimentavano una tenue speranza di scampare ai lager 'new wave'. La libertà espressiva ereditata dagli anni Settanta consentiva di arrangiare In Between combinando una prima parte “latina” con un sorprendente svolgimento gospel, affidato al Bethel Baptist Church Choir di Monterey e ai suoi solisti principali (Jeannie McLaine e Michael Prather). Tuesday In New York riportava la cronaca di un uggioso martedì trascorso nella “Grande Mela”. Tra le anguste mura di un loft deserto risuona il doppio assolo di Almond (soprano / tenore): un autentico mini-concerto interno alla canzone in cui il blues, da linguaggio codificato, diventa stato d’animo. La protagonista di Lady Of Independent Means, facoltosa signora malata di emancipazione, ispira Almond per un intervento al sax che avrebbe entusiasmato Walter Becker e Donald Fagen. Jeannie McLaine ritorna sotto i riflettori con Once I Loved A Girl, sensuale duetto interpretato accanto a Mark. I Love You riadatta il riff dell’indimenticabile Girl On Table 4 per restituire ad Almond lo spazio che nella versione originale (Other Peoples Rooms) gli era stato negato. Ripresa dal primo, mitico album ‘solo’ di Jon Mark (Songs For A Friend), Carousel è una nostalgica ballata folk che conclude, anche simbolicamente, quell’avventura tanto breve quanto intensa. Da sottolineare la presenza del batterista Mark Craney, già ammirato con Gino Vannelli (Brother To Brother) e Jethro Tull (A). - B.A.


STEVE MARRS - SOMEBODY SOMEWHERE (1982)


MAXUS - MAXUS (1981)

Il mondo della musica è pieno di artisti troppo bravi e raffinati, che sopravvivono ma non si affermano. È un fenomeno triste, avvilente, cui si può rimediare solo in un modo: riabilitando i negletti col senno di poi. Oltre a esordire nel momento sbagliato (gli anni Ottanta), i Maxus trovarono sulla loro strada i Toto, complesso dallo stile pressoché identico che però, grazie a una serie di circostanze favorevoli, aveva già occupato tutti gli spazi disponibili. In quei giorni, dunque, un album di rock intelligente e originale non interessava a nessuno. I giovani del terzo millennio sappiano allora che il pur esiguo repertorio dei Maxus (solo nove canzoni) vale quanto qualsiasi classico dei celebri rivali (Hold The Line, Georgy Porgy, Rosanna, Make Believe, Waiting For Your Love etc.). L’impeto ritmico di The Higher You Rise imposta il clima espressivo con la funambolica chitarra di Michael Landau e la voce lancinante di Jay Gruska: un intramontabile standard A.O.R. ancora in grado di infiammare i più evoluti impianti stereo, sia a casa che in auto. La regia di Michael Omartian ottimizza il sofisticato congegno strumentale del quintetto, producendo arrangiamenti in perfetto equilibrio tra energia ed eleganza: dalle sfuriate più impetuose (What You Give; They Danced; Where Were You), alle interferenze funk (Your Imagination) e reggae (Don’t Try To Stop Me Now), fino alle due splendide ballad (Keep A Light; Part Of You) e alla collaborazione con Lisa Dal Bello (Nobody’s Business). Che fine hanno fatto? Jay Gruska lavorerà per i Chicago [16 (What You’re Missing)] e Alan Gorrie (Sleepless Nights), per poi dedicarsi alla TV; Robbie Buchanan e Michael Landau diventeranno session-men di grido (il chitarrista era Roma con James Taylor il 15 Settembre 2002); Doane Perry farà il colpo grosso entrando nei Jethro Tull (lo abbiamo visto con Ian Anderson a Roseto degli Abruzzi il 19 Luglio 1999 e a Civitella del Tronto il 1° Luglio 2007). - B.A.


AMANDA McBROOM / LINCOLN MAYORGA - GROWING UP IN HOLLYWOOD TOWN (1980)

AMANDA McBROOM - DREAMING (1986)

AMANDA McBROOM - MIDNIGHT MATINEE (1991)

DAVE McCLUSKEY - A LONG TIME COMING! (1978)


MICHAEL McDONALD - IF THAT’S WHAT IT TAKES (1982) FOREVER YOUNG

Come era accaduto per Thanks I’ll Eat It Here di Lowell George, la pubblicazione del primo album solo di Michael McDonald fu preceduta da un’attesa spasmodica, che anche in questo caso venne ampiamente ripagata. Con l’accorta supervisione di Ted Templeman (storico produttore di Little Feat e Doobie Brothers) e con i migliori strumentisti disponibili sulla piazza, Michael cesellò dieci canzoni scritte insieme ad alcuni autori dal curriculum prestigioso. Nei due splendidi brani d’apertura - Playin’ By The Rules; I Keep Forgettin’ (Every Time You’re Near) - il co-protagonista è Ed Sanford, reduce dall’entusiasmante avventura con il socio John Townsend (The Sanford/Townsend Band). Il marchio di Randy Goodrum si riconosce su That’s Why, in cui un complicato assolo scritto viene eseguito in simultanea da Tom Scott e Robben Ford, e su Love Lies, incisa dallo stesso Goodrum nel suo Caretaker Of Dreams. Quattro anni dopo What A Fool Believes, Michael McDonald e Kenny Loggins rievocano i fasti di quella fortunata collaborazione: l’inedito cocktail di marcetta beatlesiana, accordi ricercati e armonie vocali 'surf' funziona ancora con I Gotta Try. Un sobrio arrangiamento orchestrale di Marty Paich sottolinea l’intensa I Can Let Go Now, che suscitò le attenzioni di sofisticate intepreti femminili (Amanda McBroom, Jill O’Hara, Dionne Warwick). Lo scatenato “rhythm ‘n’ boogie” di If That’s What It Takes, firmato insieme a Jackie DeShannon, evidenzia la versatilità di Steve Gadd e contiene un magistrale fraseggio blues di Robben Ford (chitarra). Dal manifesto programmatico dei Doobie Brothers, Takin’ It To The Streets, Michael recupera la sua Losin’ End, rileggendola in chiave “adulta”. Il suono plastico e avvolgente del disco deve molto alle due superbe sezioni ritmiche (Steve Gadd/Willie Weeks - Jeff/Mike Porcaro) e al virtuoso delle tastiere Greg Phillinganes, che affianca McDonald con classe inarrivabile. - B.A.


MICHAEL McDONALD - NO LOOKIN’ BACK (1985)

MICHAEL McDONALD - SWEET FREEDOM (1986)

MICHAEL McDONALD - TAKE IT TO HEART (1990)

MICHAEL McDONALD - BLINK OF AN EYE (1993)

MICHAEL McDONALD - BLUE OBSESSION (1997)

MICHAEL McDONALD - IN THE SPIRIT / A CHRISTMAS ALBUM (2001)


MICHAEL McDONALD - MOTOWN (2003)

Con un pauroso gap informativo da colmare - innumerevoli, meravigliosi dischi di “catalogo” mai ascoltati - il tempo per seguire le novità di solito scarseggia. Stavolta bisogna fare un’eccezione: il ritorno di Michael McDonald è confortante per più di un motivo. Intanto rilancia un fuoriclasse che ultimamente si era espresso ben al di sotto delle proprie reali capacità. Poi ripropone un repertorio straordinario che, come il buon vino, migliora con gli anni. McDonald aveva già manifestato sincera passione per la musica soul con tre “remake” inequivocabili: Little Darling (I Need You), incisa con i Doobie Brothers nel magnifico Livin’ On The Fault Line; l’inno della Stax - Knock On Wood - eseguito in coppia con Phoebe Snow durante la kermesse dal vivo con Donald Fagen e Boz Scaggs (New York Rock And Soul Revue: Live At The Beacon); una commovente What’s Going On che Michael aveva spesso proposto come bis nei propri concerti. Pertanto, più che un progetto commerciale estemporaneo, Motown rappresenta il naturale approdo estetico di un grande artista. Certo, un solo CD non basta per riassumere adeguatamente quell’archivio immenso, ma le scelte di Michael sono comunque ispirate da un gusto impeccabile e includono alcuni evergreen su cui è opportuno soffermarsi. Il clamoroso successo ottenuto da Marvin Gaye con il singolo I Heard It Through The Grapevine spinse l’etichetta a cambiare il titolo dell’album che lo conteneva (In The Groove) e a ribattezzarlo come la celeberrima canzone di Norman Whitfield e Barrett Strong. McDonald resta fedele all’arrangiamento originale, limitandosi a cantare le parole con la propria voce: egli era l’unico in grado di reggere il confronto con Gaye e, in effetti, il risultato è superlativo. You Are Everything è una romantica ballad di Thom Bell e Linda Creed che conquista sempre al primo impatto grazie all’avvolgente linea melodica: l’intensa lettura di McDonald va comparata con la maestosa versione di Roberta Flack (Roberta Flack) e con l’indimenticabile duetto tra Diana Ross e Marvin Gaye (Diana & Marvin). Dal forziere di Let’s Get It On viene estratta Distant Lover, appassionata dichiarazione di un uomo che, dopo l’impegno sociale, tornava al ‘privato’. Il talento di Ashford & Simpson viene celebrato con due scelte ovvie ma inevitabili - Ain’t Nothing Like The Real Thing e Ain’t No Mountain High Enough - unanimemente considerate “patrimonio dell’Umanità”. Long Playing snobbato all’epoca della pubblicazione, I Want You ha ormai ottenuto lo status di “classico” soprattutto grazie alla stupenda title-track firmata da Leon Ware, già riscoperta da Robert Palmer nel 1990 (Don’t Explain): Michael ne esalta il valore con il proprio prestigioso tributo. Stevie Wonder è presente con ben quattro pezzi: 1) Signed, Sealed, Delivered I’m Yours appartiene alla produzione giovanile di Stevie e sprigiona ancora un’impetuosa energia ritmica; 2) I Believe (When I Fall In Love It Will Be Forever) consente un gustoso parallelo tra il timbro irsuto di McDonald e lo stile “angelico” di Art Garfunkel, che aveva ripreso il brano sullo splendido Breakaway; 3) Too High coinvolge i Fourplay di Bob James e Larry Carlton in uno spettacolare summit fra titani; 4) una meravigliosa cover di All In Love Is Fair compete alla pari con quella registrata da Mel Tormé nel 1977 [A New Album (The London Sessions)]. Da recuperare anche le interpretazioni di Shirley Bassey (Good, Bad But Beautiful) e Barbra Streisand (The Way We Were). Since I Lost My Baby (Smokey Robinson), How Sweet It Is (To Be Loved By You), Reflections (Holland/Dozier/Holland) e I’m Gonna Make You Love Me (Kenny Gamble) completano degnamente la raffinata monografia. Nella sua recensione, Enrico Sisti ha criticato il produttore Simon Climie, definendolo “uno che tende a esagerare con i suoni di plastica”: è vero, ma a nostro avviso si tratta di una “magagna” che non inficia il risultato complessivo. Anzi, attendiamo fiduciosi un secondo capitolo. - B.A.

In realtà, Michael ha onorato la musica soul anche con altre cover eccezionali: 1) Ain’t That Peculiar di Smokey Robinson, inclusa nel CD Blue Obsession; 2) For Your Precious Love di Jerry Butler, rintracciabile in un album prodotto da Richard Perry nel 1989 - Rock, Rhythm & Blues - a cui parteciparono anche Elton John, Manhattan Transfer, Chaka Khan, Pointers Sisters etc.; 3) una splendida versione a più voci di Let’s Stay Together, di Al Green, interpretata insieme a Paulette Browne, David Pack, Richard Marx, Don Henley e Bill Champlin, presente nel disco di David Garfield dedicato a Jeff Porcaro (Tribute To Jeff); 4) Higher Ground di Stevie Wonder, incisa durante le session di Take It To Heart e pubblicata nell’antologia The Voice Of Michael McDonald. - Giancarlo Mei


MICHAEL McDONALD - MOTOWN TWO (2004)

MEGAN McDONOUGH - IN THE MEGAN MANNER (1971)

MEGAN McDONOUGH - KEEPSAKE (1973)

MEGAN McDONOUGH - SKETCHES (1974)

LARRY JOHN McNALLY - LARRY JOHN McNALLY (1981)

BILL MEDLEY - 100% (1968)

BILL MEDLEY - SOMEONE IS STANDING OUTSIDE (1969)

BILL MEDLEY - SOFT AND SOULFUL (1969)

BILL MEDLEY - NOBODY KNOWS (1970)

BILL MEDLEY - A SONG FOR YOU (1971)

BILL MEDLEY - SMILE (1973)

BILL MEDLEY - LAY A LITTLE LOVIN' ON ME (1978)

BILL MEDLEY - SWEET THUNDER (1981)

BILL MEDLEY - RIGHT HERE AND NOW (1982)

JIMMY MESSINA - OASIS (1979)

JIMMY MESSINA - MESSINA (1981)

BETTE MIDLER - THE DIVINE MISS M (THAT’S ENTERTAINMENT) (1972)

BETTE MIDLER - BETTE MIDLER (1973)

BETTE MIDLER - SONGS FOR THE NEW DEPRESSION (1976)

BETTE MIDLER - BROKEN BLOSSOM (1977)

BETTE MIDLER - THIGHS AND WHISPERS (1979)

BETTE MIDLER - THE ROSE (1979)

BETTE MIDLER - DIVINE MADNESS (1980)

BETTE MIDLER - NO FRILLS (1983)

JOHN MILES - REBEL (1976)

JONI MITCHELL - CLOUDS (1969)

JONI MITCHELL - LADIES OF THE CANYON (1970)

JONI MITCHELL - BLUE (1971)

JONI MITCHELL - FOR THE ROSES (1972)

JONI MITCHELL - COURT AND SPARK (1974) FOREVER YOUNG

JONI MITCHELL - MILES OF AISLES (1974)


JONI MITCHELL - THE HISSING OF SUMMER LAWNS (1975) FOREVER YOUNG

Renato Farina. Mario Borghezio. Giuliano Ferrara. Cinici opportunisti? Squallidi attaccabrighe? Infami eversori? Ciccioni ributtanti? No. Più semplicemente, uomini cattivi. Come ci si difende se individui così conquistano il potere e assumono il controllo dei media? La musica può aiutare. Quella buona, soprattutto. Joni Mitchell. Che si prediligano le suggestioni jazz di Court And Spark, l’ambizioso progetto multimediale (a total work) di The Hissing Of Summer Lawns o gli echi folk-fusion di Hejira, il capolavoro della cantautrice va comunque cercato tra quei tre dischi. Artista autentica, disposta a rischiare la carriera pur di seguire l’ispirazione, all’indomani del successo di Miles Of Aisles Joni si rimette in gioco con un’opera che a trent’anni di distanza continua a precorrere i tempi. Il contributo di prestigiosi strumentisti della West Coast (John Guerin, Joe Sample, Larry Carlton, Robben Ford, Jeff Baxter, Chuck Findley, Victor Feldman etc.) avvolge le canzoni in una patina di eleganza formale che ne esalta la spiccata originalità. Un’americana (canadese) con i sensi in subbuglio esprime i propri turbamenti su In France They Kiss On Main Street, sostenuta dai cori empatici di David Crosby, Graham Nash e James Taylor. Le sottili allusioni erotiche di Edith And The Kingpin, Shades Of Scarlett Conquering e The Hissing Of Summer Lawns trovano una calzante metafora nelle sinuose melodie di Joni. Sul set acustico di Don’t Interrupt The Sorrow slide e dobro braccano le sfuggenti immagini suggerite dal testo. The Boho Dance è una raffinata ballad condotta dalle tastiere dell’autrice, mentre Sweet Bird anticipa il ritorno alla chitarra di Hejira. La parabola anti-borghese di Harry’s House/Centerpiece viene enfatizzata da uno standard di Jon Hendricks e Johnny Mandel, integrato nell’arrangiamento in funzione di inciso. Interpretata sovrapponendo voci ‘a cappella’ e poche pennellate di sintetizzatore, Shadows And Light darà il titolo all’omonimo live con Jaco Pastorius, Pat Metheny e Michael Brecker. I tamburi di guerra del Burundi risuonano minacciosi su The Jungle Line, creando uno stato di trance cui la stessa Mitchell si ispirerà per le ipnotiche percussioni di The Tenth World (Don Juan’s Reckless Daughter). Della “world music” allora non esisteva neanche il nome. - B.A.


JONI MITCHELL - HEJIRA (1976) FOREVER YOUNG

La sofisticata signora ritratta da Norman Seeff sulla splendida copertina non aveva paura di scendere in strada alla ricerca di nuove storie. Le canzoni di Hejira furono scritte in tournée e risentono di quella atmosfera nomade e informale. Gli arrangiamenti, spogli ma finissimi, ruotano attorno alla chitarra acustica dell’autrice e ai ritocchi di alcuni specialisti, tra i quali spicca Jaco Pastorius: proprio allora il virtuoso iniziava a destare sensazione col suo Fender Jazz mezzo scorticato, da cui sapeva estrarre i suoni più incredibili. Presente in quattro brani, il basso fretless di Jaco riempie gli spazi emettendo armonici squillanti e timbri simili alla voce umana: Coyote* racconta l’incontro con un cowboy rustico e intraprendente, da cui la protagonista è attratta ma con cui non ha nulla in comune; il corvo nero che volteggia su Black Crow, plasticamente evocato dalla foto di Joni sui pattini, raffigura una vita trascorsa “in search of love and music”; Hejira e Refuge Of The Roads riportano cronache di viaggio trasfigurate dalla sensibilità della poetessa. Joni esorcizza demoni e sogni con una toccante dedica all’aviatrice Amelia Earhart, eroina pre-moderna che, posseduta da un romantico anelito di libertà, il 2 Luglio 1937 scomparve nei cieli del Pacifico: esaltate dal commento strumentale di Larry Carlton e Victor Feldman, liriche, melodia e interpretazione fanno di Amelia un’opera d’arte senza pari. Altre perle: l’avventura con un eterno ragazzo confessata su A Strange Boy; i frammenti autobiografici ricomposti su Song For Sharon; la ballad della gelosia di Blue Motel Room; l’intervento naïve del conterraneo Neil Young su Furry Sings The Blues. [P.S. - *Dedicata alla breve relazione clandestina intrattenuta all’epoca con Sam Shepard.] - B.A.


JONI MITCHELL - DON JUAN’S RECKLESS DAUGHTER (1977) FOREVER YOUNG

Al culmine della propria prodigiosa parabola creativa, con un moto di autoindulgenza tipico dei grandi gruppi progressive - Yes (Tales From Topographic Oceans), Genesis (The Lamb Lies Down O Broadway) etc. - Joni Mitchell si concede il lusso del doppio album in studio per rompere gli argini dell’ambizione. Il riferimento alle mastodontiche opere dei complessi britannici non è solo “dimensionale”: l’ascolto di Don Juan’s Reckless Daughter richiede infatti altrettanto impegno e analoga concentrazione, sebbene canzoni come Talk To Me e Jericho* si possano apprezzare anche sull’autoradio di una decappottabile … Assurta al rango di sacerdotessa del rock (folk? jazz?) più colto ed evoluto, con The Hissing Of Summer Lawns e Hejira la cantautrice canadese aveva letteralmente trasceso i limiti espressivi entro cui, fino ad allora, era circoscritta la sua categoria (unica, possibile eccezione: Shawn Phillips). Con Jaco Pastorius ormai accompagnatore fisso, l’amalgama tra voce, chitarra acustica e basso fretless era un tratto distintivo delle lunghe narrazioni liriche di Joni, oltre che un suono tra i più personali dell’epoca. Divina musa ai cui piedi accorrevano virtuosi del calibro di Larry Carlton, Herbie Hancock, Peter Erskine, Pat Metheny, Michael Brecker, Wayne Shorter e che, di lì a poco, avrebbe assistito Charles Mingus nella stesura del suo testamento, “la figlia scapestrata di Don Giovanni” si spinge fino a impersonare il dandy in primo piano sulla copertina - è lei truccata … - indizio visivo di un’ispirazione a cui nulla era precluso, nemmeno occupare l’intero lato di un Long Playing con Paprika Plains, temeraria ode di oltre sedici minuti per pianoforte e orchestra in cui si susseguono immagini, reminiscenze e riflessioni liberamente associate: di nuovo, almeno per audacia e spessore, vengono in mente le suite di Van Der Graaf Generator (A Plague Of Lighthouse Keepers), Genesis (Supper’s Ready), Emerson, Lake & Palmer (Tarkus), Jethro Tull (Thick As A Brick), Yes (Close To The Edge, The Gates Of Delirium). La prediletta formula della ballata acustica, che pure contrassegna gemme come Cotton Avenue, Otis And Marlena, Off Night Backstreet, cede il passo all’orgia di percussioni di The Tenth World, eco dionisiaca della fugace Rumba Mamá appena incisa dai Weather Report (Heavy Weather) - presenti sia Alex Acuña che Manolo Badrena - e agli evocativi versi di Dreamland, poesia quasi recitata sopra un tappeto ritmico col controcanto di Chaka Khan. L’incontenibile crescendo del disco si conclude all’insegna della parsimonia, con gli schietti sentimenti di The Silky Veils Of Ardor espressi dall’artista in completa solitudine. [P.S. - *Già apparsa su Miles Of Aisles con un arrangiamento diverso, caratterizzato dall’indole fusion degli L.A. Express: entrambe le versioni sono indispensabili.] - B.A.


JONI MITCHELL - MINGUS (1979)

JONI MITCHELL - SHADOWS AND LIGHT (1980)

JONI MITCHELL - WILD THINGS RUN FAST (1982)

JONI MITCHELL - DOG EAT DOG (1985)

JONI MITCHELL - CHALK MARK IN A RAIN STORM (1988)

JONI MITCHELL - NIGHT RIDE HOME (1991)

JONI MITCHELL - TURBULENT INDIGO (1994)

MONKEY HOUSE - WELCOME TO THE CLUB (1992)

MONKEY HOUSE - TRUE WINTER (1998)

MONKEY HOUSE - HEADQUARTERS (2012)

CHRIS MONTAN - ANY MINUTE NOW (1980)

TIM MOORE - TIM MOORE (1974)

TIM MOORE - BEHIND THE EYES (1975)

TIM MOORE - WHITE SHADOWS (1977)

TIM MOORE - HIGH CONTRAST (1979)

JAYE P. MORGAN - JAYE P. MORGAN (1976)

MARIA MULDAUR - MARIA MULDAUR (1973)

MARIA MULDAUR - WAITRESS IN A DONUT SHOP (1974)


MARIA MULDAUR - SWEET HARMONY (1976) FOREVER YOUNG

Una voce dal timbro armonioso e vellutato, che passa con naturalezza dal folk (americano), al jazz al pop. I primi cinque dischi sono tutti belli, ma Sweet Harmony vanta forse una maggiore coerenza: la ricetta di Maria non consiste in una vera e propria sintesi stilistica, perché i vari elementi del repertorio non vengono fusi insieme - almeno non del tutto - ma piuttosto scelti per assemblare un album, nel quale vengono poi interpretati attraverso i rispettivi idiomi. Mondi diversi ruotano attorno a versioni limpidissime di standard antichi e moderni, che brillanti strumentisti - Amos Garrett, J.J. Cale, James Booker, Bill Payne, Kenny Burrell etc. - sanno rifinire con la giusta dose di tecnica e sentimento: Sweet Harmony, gioioso inno gospel di Smokey Robinson; Sad Eyes, amabile cantilena country di Neil Sedaka; Lying Song, saggio ammonimento 'collodiano' lanciato da Kate McGarrigle; I Can’t Stand It, liberatorio grido R&B. La cantautrice Wendy Waldman porta in dote una splendida ballad (Back By Fall) e un delicato acquerello per chitarra acustica (Wild Bird). Su un versante più tradizionale, il gigante del jazz Benny Carter firma due magnifici arrangiamenti per We Just Couldn’t Say Goodbye e Rockin’ Chair (la seconda ingioiellata da un cammeo di Hoagy Carmichael in persona). L’ultimo tassello del mosaico è As An Eagle Stirreth In Her Nest, trascinante spiritual proposto secondo i canoni di un genere che, a partire dall’ottimo Gospel Nights, inciso per la Takoma - Maria avrebbe poi coltivato in maniera quasi esclusiva. [P.S. - Altri titoli nella sezione VOICES.] - B.A.


MARIA MULDAUR - SOUTHERN WINDS (1978)

MARIA MULDAUR - OPEN YOUR EYES (1978)

 

 

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