Introduzione / Introduction
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THE VOICE OF MUSIC ... LA VOCE DELLA MUSICA
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PROGRESSIVE

U-Z

U.K. - U.K. (1978)

Col progressive vilipeso sulle riviste specializzate in favore di suicidi sociali in balera e riprovevoli meteorismi punk, Bill Bruford decide che un professionista del suo calibro (Yes, King Crimson) non si può sputtanare correndo dietro alle mode e, pochi mesi dopo aver inciso il suo primo album da titolare (Feels Good To Me), rilancia la formula del super-gruppo insieme a tre illustri connazionali [Eddie Jobson (tastiere, violino), John Wetton (basso, voce), Allan Holdsworth (chitarre)], prima di mettersi in proprio definitivamente. Grazie alla presenza di Bruford e Wetton, l’esordio degli U.K. evoca i King Crimson di Larks’ Tongues In Aspic, Starless And Bible Black e Red, sebbene i virtuosismi di Jobson e Holdsworth rendano i passaggi strumentali persino più complessi, laddove Fripp prediligeva la ricerca timbrica e l’improvvisazione collettiva. La suite iniziale (In The Dead Of Night / By The Light Of Day / Presto Vivace And Reprise) imposta un clima drammatico e minaccioso che, sulla terza parte, si risolve in uno spettacolare arrangiamento dagli echi zappiani. Col suo caratteristico stile “legato”, Holdsworth anticipa le stupende sonorità del capolavoro One Of A Kind, imperversando su Thirty Years e Nevermore. La sopraffina caratura tecnica del quartetto si dispiega su Alaska, Time To Kill, Mental Medication, in un crescendo espressivo di rara efficacia … soprattutto per l’epoca. Pare che la ristampa CD del 2009 sia pessima e convenga cercare l’edizione digitale precedente (E'G), se non addirittura il Long Playing. - B.A.


UNO - UNO (1974)

UOVO DI COLOMBO - L’UOVO DI COLOMBO (1974)

VAN DER GRAAF GENERATOR - THE AEROSOL GREY MACHINE (1969)

VAN DER GRAAF GENERATOR
THE LEAST WE CAN DO IS WAVE TO EACH OTHER (1970)

VAN DER GRAAF GENERATOR - H TO HE WHO AM THE ONLY ONE (1970)


VAN DER GRAAF GENERATOR - PAWN HEARTS (1971) FOREVER YOUNG

Testo sacro del progressive, all’altezza di Tarkus, Atom Heart Mother e Fragile, il quarto album dei Van Der Graaf Generator impone Peter Hammill come prolifico, visionario, tenebroso vate dell’angoscia esistenziale. Dopo l’effimero flirt con la psichedelia, il suono della band si trasforma gradualmente in un denso amalgama di organo (Hugh Banton) e batteria (Guy Evans), inacidito dal sax lisergico di David Jackson. In veste di ospite, Robert Fripp dona un’ulteriore nota di trasgressione agli arrangiamenti, usando la chitarra elettrica in funzione di enzima strumentale sull’inciso di Man-Erg e sull’epico finale di A Plague Of Lighthouse Keepers (We Go Now). Un passaggio lirico della lunga suite sintetizza in pochi versi il pessimismo cosmico di Hammill: «… I prophesy disaster …». La voce dell’autore sprofonda la musica in una fosca dimensione teatrale, passando in pochi attimi dai sussurri di Eyewitness, Presence Of The Night e (Custard’s) Last Stand alle grida di S.H.M. e The Cloth Thickens. Il mito dei roditori suicidi suggerisce lo spunto poetico per Lemmings (Including Cog), cupo requiem in memoria di un’umanità votata all’autodistruzione. Memorabile la copertina di Paul Whitehead, con i “cuori in pegno” - nostra arbitraria parafrasi - raffigurati come pedoni di una scacchiera e sospesi in una sorta di limbo celeste. - B.A.


VAN DER GRAAF GENERATOR - GODBLUFF (1975)

VAN DER GRAAF GENERATOR - STILL LIFE (1976)

VAN DER GRAAF GENERATOR - WORLD RECORD (1976)

VAN DER GRAAF GENERATOR - THE QUIET ZONE/THE PLEASURE DOME (1977)

VOLO - IL VOLO (1974)

VOLO - ESSERE O NON ESSERE? (1975) FOREVER YOUNG

MARC WAGNON - AN AFTERTHOUGHT (1999)


RICK WAKEMAN - THE SIX WIVES OF HENRY VIII (1973)

Sì, proprio lui. E proprio questo disco. E allora? - B.A.


JOHN WETTON - CAUGHT IN THE CROSSFIRE (1980)

JOHN WETTON / PHIL MANZANERA - WETTON / MANZANERA (ONE WORLD) (1987)

RICHARD WRIGHT - WET DREAM (1978)

ROBERT WYATT - THE END OF AN EAR (1970)


ROBERT WYATT - ROCK BOTTOM (1974)

Le conseguenze psicologiche derivate dall’incidente che costrinse Robert Wyatt sulla sedia a rotelle esaltarono la vena creativa dell’artista che aveva fondato i Soft Machine e poi resuscitato lo spirito di quell’invenzione negli incredibili Matching Mole. Con l’affettuosa, munifica produzione di Nick Mason, già miliardario grazie alle vendite di The Dark Side Of The Moon, il collega (ex)batterista/cantante raccoglie le idee concepite prima dell’infortunio durante un soggiorno a Venezia accanto alla compagna Alfreda Benge - allora assistente di Nicolas Roeg per le riprese in laguna di Don’t Look Now (A Venezia ... Un Dicembre Rosso Shocking) - le rielabora nei sei mesi di degenza in ospedale, le concretizza su nastro a casa di un’amica nel Wiltshire, le perfeziona infine allo studio Manor. Il clan di Canterbury assicura il proprio contributo con l’alternanza al basso elettrico di Hugh Hopper e Richard Sinclair e l’alto lignaggio del batterista Laurie Allan (Delivery, Gong). Se la stralunata melodia di Sea Song rinnova i fasti passionali di O Caroline (Matching Mole), Little Straw sciorina brillantemente alcuni topos di questa particolare variante stilistica del progressive (suono vintage dell’organo*, note squillanti del pianoforte, lisergiche scie di slide, bizzarre sequenze armoniche, voce infantile che le insegue); senza soluzione di continuità, Wyatt passa dalla soave inflessione di Alifib all’eloquio sconvolto di Alifie, il secondo accentuato dal caustico sax tenore di Gary Windo; dionisiache percussioni di sapore “afro” scandiscono il ritmo di Little Red Riding Hood Hit The Road, a sua volta incalzato dalla tromba sovraincisa di Mongezi Feza, mentre su Little Red Robin Hood Hit The Road - anche in questo caso i due titoli sono impercettibilmente diversi - la chitarra allucinogena di Mike Oldfield “cita” lo stile di Robert Fripp, intercalandosi in una stupefacente parentesi onirica con la recitazione di Ivor Cutler che declama i propri versi … a nostra conoscenza, Rock Bottom non annovera modelli di riferimento né vanta tentativi di imitazione; anche nell’ambito del genere, esso rimane un mirabile “unicum”, probabilmente frutto di circostanze straordinarie e irripetibili. (P.S. - *Forse un Farfisa.) - B.A.


ROBERT WYATT - RUTH IS STRANGER THAN RICHARD (1975)

ROBERT WYATT - OLD ROTTENHAT (1986)

ROBERT WYATT - DONDESTAN (1991)


YES - YES (1969) FOREVER YOUNG

Nel nostro piccolo, cerchiamo di rimediare all’imperdonabile negligenza con cui i media hanno snobbato questo disco. A pari merito con Emerson, Lake & Palmer* e In The Court Of The Crimson King, quella degli Yes è la più brillante opera prima rappresentata sul palcoscenico progressive alla fine degli anni Sessanta. Tre membri della formazione classica (Anderson, Bruford, Squire) erano già presenti nell’organico, e almeno sei brani sono degni di un’antologia: Beyond And Before, eloquente introduzione alle possibilità espressive del gruppo; Looking Around, crocevia obbligato tra beat e nuovi percorsi musicali; I See You, straordinaria rilettura del gioiello dei Byrds (con superbe armonie vocali e un vivace dialogo chitarra/batteria); Every Little Thing, doveroso omaggio ai Beatles; Yesterday And Today, elegante ballad pianistica che ha acquistato valore col tempo; Survival, poetico inno alla vita racchiuso in due fughe strumentali che mostrano una naturale inclinazione alla ricerca. [P.S. - * In realtà il confronto è improponibile per via delle significative esperienze già maturate dai componenti del super-trio in altre prestigiose formazioni (Carl Palmer negli Atomic Rooster, Keith Emerson nei Nice, Greg Lake nella band di Robert Fripp)]. - B.A.


YES - TIME AND A WORD (1970)


YES - THE YES ALBUM (1971) FOREVER YOUNG

A molti critici è sfuggita la peculiarità di questa band, il cui approccio strumentale si fondava sul mirabile interplay di chitarra, basso e batteria piuttosto che sulle tastiere, che invece distinguevano il sound della maggior parte delle formazioni progressive. In effetti, Steve Howe influenzerà gli arrangiamenti del quintetto molto più di quanto non farà il discusso Rick Wakeman. Appena entrato nel gruppo, Steve si dedica senza esitazione al saccheggio di vari idiomi musicali, contribuendo in misura determinante ad architettare le visionarie suite tecno-psichedeliche degli Yes. Yours Is No Disgrace è un primo paradigma di questa sintesi e della sua forza espressiva: alla squassante deflagrazione iniziale segue una fuga precipitosa, accelerata dalle incalzanti sollecitazioni ritmiche di Bill Bruford (batteria) e Chris Squire (basso), mentre Howe sparge a piene mani grappoli di note “allucinogene” che vanno a infrangersi sull’organo di Tony Kaye. Una sezione centrale dagli accenti folk-jazz cambia completamente volto al brano, un istante prima che la tempesta percussiva riprenda il sopravvento per il grandioso finale. Starship Trooper si compone di tre movimenti firmati rispettivamente da Anderson (Life Seeker), Squire (Disillusion) e Howe (Würm), così come I’ve Seen All Good People è divisa in due parti diversamente orchestrate: acustica e festosa Your Move, elettrica e dinamica All Good People. La propensione a ottenere il massimo dalle potenzialità del rock diventa evidente con Perpetual Change, mini-sinfonia anticipatrice dei futuri sviluppi stilistici. - B.A.


YES - FRAGILE (1971) FOREVER YOUNG

Il titolo potrebbe riferirsi al delicato equilibrio elettro-acustico su cui poggiano gli arrangiamenti. Fragile propone in una forma più sobria la stessa idea che, anni dopo, verrà ripresa da Emerson, Lake & Palmer sul doppio Works - Volume 1: un album suddiviso in una parte eseguita dall’intero organico e in alcune sezioni affidate alla fantasia dei singoli strumentisti. I quattro brani eseguiti dal collettivo sono altrettanti classici. Roundabout dimostra che il progressive sapeva essere anche trascinante, con le chitarre sovrapposte a strati da Steve Howe, l’inesorabile spinta della sezione ritmica e i fraseggi funky di Rick Wakeman, appena emigrato dagli Strawbs. In mezzo ai riff elettrici di South Side Of The Sky spunta improvvisamente un elegante intermezzo in cui piano e batteria dialogano con i cori di Jon Anderson. Heart Of The Sunrise è caratterizzata dal poderoso basso “proto-slap” di Chris Squire, dall’esuberante drumming di Bill Bruford e da una diafana parte vocale continuamente interrotta da brusche scosse sismiche. Long Distance Runaround conferma il talento melodico di Anderson e ci ricorda che, a qualsiasi latitudine stilistica, è inevitabile fare i conti con i Beatles. Tra i cinque episodi “personali”, tutti riusciti, il più apprezzato resta il meraviglioso esercizio chitarristico di Howe, Mood For A Day, una memorabile incursione del rock nel mondo della musica colta. - B.A.


YES - CLOSE TO THE EDGE (1972) FOREVER YOUNG

Durante il regime dittatoriale instaurato trent’anni fa dai cantautori, originalità melodica e ricercatezza strumentale suscitavano in Italia la stessa simpatia della peste bubbonica. Queste caratteristiche, così tipiche degli Yes, negarono a Close To The Edge quel clamoroso successo generazionale ottenuto nel nostro Paese da altri grandi album (Selling England By The Pound, The Dark Side Of The Moon etc.), altrettanto brillanti ma musicalmente più “semplici” (si consideri l’accezione positiva del termine). Eppure è indubbio che con questo disco l’evoluzione del progressive raggiungeva il suo stadio più avanzato. La lunga suite che dà il titolo all’album è aperta dai suoni naturali (volatili, ruscelli etc.) riprodotti dai sintetizzatori di Rick Wakeman, un’introduzione che ricorda molto il celebre crescendo iniziale di Tarkus. Le suggestive immagini pittoriche evocate dalla voce di Jon Anderson scorrono su un magmatico fondale agitato da Steve Howe, Chris Squire e Bill Bruford, mentre l’affresco di Roger Dean si sviluppa all’interno della copertina. Nel corso di And You And I, strofe acustiche dal sapore bucolico si alternano a solenni movimenti sinfonici, di cui si troveranno echi anche nel capolavoro del batterista (One Of A Kind). Il multiforme tema di Siberian Khatru offre ampio spazio per fughe solistiche (Howe, Wakeman) e raffinate armonie vocali. Formidabili quegli anni! - B.A.


YES - TALES FROM TOPOGRAPHIC OCEANS (1973)

YES - RELAYER (1974)


YES - GOING FOR THE ONE (1977)

Se alla batteria ci fosse stato Bill Bruford sarebbe stato un disco perfetto. - B.A.


RICCARDO ZAPPA - CELESTION (1977)

Anno di grazia 1977. Trionfavano punk e “febbre”: da una parte si spaccava tutto, dall’altra si mandava il cervello all’ammasso. Certo, per quanto discutibili, erano decisioni prese in libertà, ma l’appiattimento generale comportava, di fatto, una feroce discriminazione verso chi non si fosse adeguato al trend del sabato sera. In un contesto simile, Riccardo Zappa imbraccia una chitarra Ovation e, insieme ad alcuni specialisti del giro milanese [Julius Farmer (basso), Ottavio Corbellini (batteria), Vince Tempera (tastiere)], incide un raffinato album di musica strumentale elaborando una pionieristica fusione tra classica, jazz, rock, folk ed “esotismo”, ben prima che la moda banalizzasse irrimediabilmente l’idea. L’originale ibrido stilistico trovava un suo corrispettivo inglese in Gordon Giltrap, sebbene i due artisti restassero fedeli alle proprie specificità culturali (chi apprezza l’uno dovrebbe ascoltare l’altro e viceversa). Il prologo del disco (Frammenti) si dipana lungo un arpeggio che cresce di intensità, fino ad assumere lo slancio ritmico di un ballo medievale elettrificato. Sullo spartito di Tre e Quattro Quarti il tempo rispetta il programma del titolo, partendo con un delizioso valzer acustico cui segue la precipitosa fuga collettiva. Celestion si apre con le corde di nylon processate da una suggestiva eco artificiale, per poi evolversi in una vivace sarabanda di contraccolpi metrici. La tenera Sonata Mediterranea prelude all’ipnotica melodia di Mirage, che scompare pian piano dietro l’orizzonte. Eccellenti qualità audio e confezione della ristampa CD. - B.A.


RICCARDO ZAPPA - CHATKA (1978)

RICCARDO ZAPPA - TRASPARENZE (1980)

RICCARDO ZAPPA - HAERMEA (LA CAMERA INCANTATA) (1982)

RICCARDO ZAPPA - RICCARDO ZAPPA (1983)

 

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