Introduzione / Introduction
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THE VOICE OF MUSIC ... LA VOCE DELLA MUSICA
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A.O.R.

D-E

LISA DAL BELLO - LISA DAL BELLO (1977)

LISA DAL BELLO - PRETTY GIRLS (1979)


PINO DANIELE - PINO DANIELE (1979)

PINO DANIELE - NERO A METÀ (1980)

PINO DANIELE - VAI MO’ (1981)

PINO DANIELE - BELLA ‘MBRIANA (1982)

Per questo povero, disgraziato paese, la prematura scomparsa di Pino Daniele è una perdita di proporzioni incalcolabili. Col suo audace approccio alla formula canzone (mediato dal geniale amalgama di progressive, jazz elettrico e “cazzimma” dei Napoli Centrale), la padronanza assoluta dell’idioma fusion (allora al culmine della parabola evolutiva), uno spiccato senso melodico, una tecnica strumentale finissima, per l’Italia del Gioca Jouer egli era praticamente un alieno. Dopo il folgorante esordio di Terra Mia, con cui il fuoriclasse partenopeo consegnava al mondo Napule È, anticonvenzionale e struggente ode alla sua città, il poker del 1979/1982 definisce uno stile originalissimo, una cifra espressiva inimitabile, uno spessore artistico fuori dal comune, l’equivalente di quel che, per Lucio Battisti, fu la trilogia 1976/1978 (La Batteria, Il Contrabbasso, Eccetera, Io Tu Noi Tutti, Una Donna Per Amico), senza contare l’intuizione di porre il Napoletano sullo stesso livello - se non al di sopra - dell’Inglese come “lingua franca” della musica pop. Con le radio nazionali soggiogate senza interferenze da oroscopi e dediche in diretta, il fatto che qualcuno sia riuscito a incidere e pubblicare album di questa consistenza ha del miracoloso. Anche la selezione più arbitraria dovrà necessariamente includere Je So’ Pazzo, liberatorio inno da intonare a squarciagola nei vicoli dei Quartieri Spagnoli, Chillo È Nu Buono Guaglione, umanissimo ritratto di un “travestito” e del suo travaglio interiore, le immagini poetiche (nel senso più alto del termine) che scorrono sul testo della stupenda Putesse Essere Allero, la radiosa euforia di Basta ‘Na Jurnata E Sole contrapposta alla pioggia crepuscolare di Quanno Chiove, ballad interpretata anche da Randy Crawford (It’s Raining), A Me Me Piace ‘O Blues e Musica Musica, inequivocabili manifesti programmatici di un mulatto ontologico, E So’ Cuntento ‘E Sta’ e Puorteme A Casa Mia, pagine introspettive di rara profondità, I Say I’ Sto Ccà, Yes I Know My Way, Ma Che Ho, Tutta ‘Nata Storia, magistrali contaminazioni di soul, rock, funk ed echi mediterranei che ben figuravano - cose incredibili - accanto al miglior repertorio meticcio dell’epoca (Doobie Brothers, Little Feat, Hall & Oates etc.), Appocundria, sorprendente digressione iberica per sole chitarra e voce, Notte Che Se Ne Va, sublime colonna sonora per una metropoli brulicante di vita dopo il tramonto, Annare’, memorabile ritratto femminile che basterebbe a nobilitare una carriera, Bella ‘Mbriana, insondabile capolavoro ispirato all’enigmatica presenza che veglia sulle abitazioni all’ombra del Vesuvio. Gli splendidi arrangiamenti si debbono a un pugno di eccezionali collaboratori che sarebbe più corretto definire amici: i protagonisti della prima fase Ernesto Vitolo, Gigi De Rienzo, Agostino Marangolo, passando per la spettacolare formazione di Vai Mo’ con Tullio De Piscopo, Toni Esposito, James Senese, Joe Amoruso, Rino Zurzolo, fino al prestigioso ingaggio di Alphonso Johnson e Wayne Shorter nel 1982, 2/5 dei Weather Report di Tale Spinnin’ … - B.A.


RON DANTE - STREET ANGEL (1981)

NICK DeCARO - ITALIAN GRAFFITI (1974)

TERESA DE SIO - SULLA TERRA SULLA LUNA (1980)

TERESA DE SIO - TERESA DE SIO (1982)

TERESA DE SIO - TRE (1983)

NEIL DIAMOND - TOUCHING YOU, TOUCHING ME (1969)

NEIL DIAMOND - TAP ROOT MANUSCRIPT (1970)

NEIL DIAMOND - STONES (1971)

NEIL DIAMOND - MOODS (1972)

NEIL DIAMOND - JONATHAN LIVINGSTON SEAGULL (1973)

NEIL DIAMOND - SERENADE (1974)

NEIL DIAMOND - BEAUTIFUL NOISE (1976)

NEIL DIAMOND - IM GLAD YOURE HERE WITH ME TONIGHT (1977)

NEIL DIAMOND - YOU DON’T BRING ME FLOWERS (1978)

NEIL DIAMOND - SEPTEMBER MORN (1979)

NEIL DIAMOND - THE JAZZ SINGER (1980)

NEIL DIAMOND - ON THE WAY TO THE SKY (1981)


NEIL DIAMOND - HEARTLIGHT (1982)

Grande rispetto per l’autore di I’m A Believer, Sweet Caroline, Song Sung Blue, ci mancherebbe … ma il motivo per cui Heartlight ci interessa particolarmente è dovuto alla firma di Burt Bacharach e Carole Bayer Sager su ben sei canzoni … il dato è importante perché, come sanno tutti (tranne chi ascolta le radio italiane), la coppia reale aveva appena registrato il capolavoro Sometimes Late At Night … due fuoriclasse in sublime stato di grazia nelle rispettive mansioni (musica e parole), forse anche per via del reciproco, intenso legame sentimentale di quei giorni … Bacharach aveva trovato in Carole la supplente ideale al grande Hal David, orientando su un moderno versante femminile la prospettiva lirica di quelle straordinarie melodie. L’amalgama tra la nobile intesa artistica e la presenza di alcuni specialisti di fiducia (Neil Stubenhaus, Jim Keltner, David Foster, Michael Omartian, Richard Page etc.) esalta il turgido stile espressivo di Neil Diamond: temi orecchiabili ma non melensi, versi romantici ma non banali, arrangiamenti sopraffini. Su tutto, le geniali intuizioni di Bacharach sottolineate da un coro (I’m Guilty, Hurricane, Lost Among The Stars) o da una chitarra (Heartlight, Front Page Story), sempre cantabili, in apparenza addirittura semplici, ma col brillante ritornello pronto a sedurre anche il pubblico più smaliziato. Dopo la riconciliazione messicana di In Ensenada, c’è spazio per un sontuoso epilogo affidato alla prestigiosa penna di Michael Masser: lo sfarzo orchestrale di First You Have To Say You Love Me ci ricorda un’epoca in cui era ancora tollerata la sopravvivenza degli uomini di buona volontà. - B.A.


NEIL DIAMOND - PRIMITIVE (1984)


NED DOHENY - HARD CANDY (1976) FOREVER YOUNG

Il secondo disco di Ned Doheny annuncia la rivoluzione A.O.R. degli anni '70. Usando la sua chitarra acustica in chiave eminentemente ritmica, Ned si avvale degli arrangiamenti e della produzione di Steve Cropper (chitarrista e mitico autore di In The Midnight Hour). L’ardita fusione tra il country-rock californiano e il soul targato Motown/Stax produsse un suono originale ed efficace. L’idea di utilizzare lo strumento dei cantautori per disegnare sofisticate geometrie funky viene applicata su Get It Up For Love e l’esito artistico risulta subito convincente: l’anno dopo fu scelta dalla Average White Band per aprire l’album inciso con Ben E. King (Benny And Us). Come suggerito dalle eleganti foto di copertina, un’ondata di freschezza attraversa tutti i brani, mentre la voce cordiale e comunicativa di Doheny è assecondata da alcuni ottimi musicisti, tra cui riconosciamo il preciso batterista Gary Mallaber e un giovane David Foster, già raffinato e incisivo. Oggi sembrano solo belle canzoni, ma allora If You Should Fall, Each Time You Pray, I’ve Got Your Number erano veri e propri manifesti di una nuova estetica musicale che cercava di emergere nel mare della disillusione post-psichedelica. A Love Of Your Own, intensa ballad che guarda allo stile di Ashford & Simpson, è anche la prima di alcune proficue collaborazioni con Hamish Stuart, presente ai cori: la versione “gemella” della Average White Band si può rintracciare su Soul Searching (1976), ma a renderla uno standard saranno le lussuriose cover di Melissa Manchester (Singin’ ...) e Millie Jackson (For Men Only). Una brillante introduzione chitarristica lancia On The Swingshift, palpitante pezzo soul vivacizzato da imprevedibili e gustosi mutamenti di tono. A distanza di tanti anni, Hard Candy rimane una delle opere più influenti di quel nuovo corso musicale che nel decennio rappresentò l’unica autentica innovazione dopo il progressive. - B.A.


NED DOHENY - PRONE (1978) FOREVER YOUNG

Il naturale seguito di Hard Candy, una splendida conferma. Gli manca solo l’effetto sorpresa del predecessore. - B.A.


NED DOHENY - LIFE AFTER ROMANCE (1988)

NED DOHENY - LOVE LIKE OURS (1991)

NED DOHENY - POSTCARDS FROM HOLLYWOOD (1991)

NED DOHENY - BETWEEN TWO WORLDS (1993)


DANE DONOHUE - DANE DONOHUE (1978) FOREVER YOUNG

Riflettiamo un momento. Come è stato possibile che un capolavoro di questo livello abbia venduto quattro copie e che l’artefice di tanta grazia sia un illustre sconosciuto anziché uno dei più celebrati protagonisti del rock? È da rimbambiti lamentarsi se Dane Donohue ha inciso un solo lavoro dal 1978 a oggi? Cerchiamo di considerare i fatti con distacco: la Columbia prima, pubblicando il LP, e la SONY poi, ristampando il CD in Giappone, hanno senz’altro fatto la loro parte. Non si può chiedere a degli industriali di trasformarsi in mecenati. La tesi secondo cui la causa di un mancato successo è invariabilmente riconducibile ai cattivoni della casa discografica che non promuoverebbero adeguatamente il loro artista è solo un altro alibi che giornalisti e conduttori radiofonici hanno confezionato per occultare la propria incompetenza. Oltretutto questi ultimi fingono di non sapere che, fino a prova contraria, sono i media, e non le case discografiche, a orientare le opinioni e a determinare il maggiore o minore consenso su un certo musicista, per esempio dedicandogli lo stesso spazio che riservano ai raccomandati italiani. Il disco. Una voce che può vagamente ricordare Jackson Browne, uno spiccato talento poetico, alcuni eleganti assoli di Larry Carlton ed Ernie Watts e, soprattutto, una decisa inclinazione a rinnovare il rock con sapienti innesti di jazz, funk e canzone d’autore. Il brano che apre il disco delinea chiaramente la statura pioneristica di Donohue: insieme a Lost In The Hurrah di Marc Jordan (Blue Desert) e After The Love Is Gone degli Airplay (Airplay), Casablanca è un antipasto ideale per introdurre l’A.O.R. - Una sintonia perfetta tra la stupenda linea melodica, le immagini cinematografiche evocate dal testo, l’impulso ritmico del Fender-Rhodes e una fuga strumentale che lancia a briglia sciolta il vibrafono di Victor Feldman e la chitarra di Carlton. Non fosse altro che per il reiterato invito a ballare, anche Dance With a Stranger evoca alcune cose di Marc Jordan, che nello stesso anno precorreva i tempi con il suo Mannequin. Un memorabile intervento acustico di Steve Lukather personalizza Whatever Happened. Terence Boylan ha prodotto l’album e la sua influenza è evidentissima su What Am I Supposed To Do e Where Will You Go, due classici country-rock californiani. Decisamente più “nere” sono Woman, Can’t Be Seen e Tracey, tre raffinati cocktail soul-rock in cui il tocco di classe è garantito dalla presenza di alcuni ospiti tra cui Stevie Nicks, Bill Champlin, Jai Winding, Ed Greene, Steve Gadd, Jay Graydon, che si avvicendano con la consueta professionalità. Il colpo al cuore arriva con Freedom, struggente perla di saggezza sugli inconvenienti di un’agognata libertà sentimentale che può tramutarsi in solitudine. La convinzione con cui la interpreta Dane porta il segno di una credibile esperienza personale. Fazzoletti a portata di mano durante l’ascolto! Splendida la copertina, con impeccabile look anni Settanta di Dane e immancabile 'femme fatal' che si allontana sullo sfondo. - B.A.


DOOBIE BROTHERS - TAKIN’ IT TO THE STREETS (1976)

The first album to feature the distinctive vocals of Michael McDonald, [this] is one in a long line of landmark efforts from a seminal American band. Takin' It To The Streets marks a distinct musical shift for the pioneering group, incorporating jazz and R&B elements into a contemporary rock setting. The result is one of the most influential albums in the group's ten-year career. Shortly after [1975], founding member Tom Johnston left for health reasons and was replaced by St. Louis-bred singer, songwriter and keyboardist, Michael McDonald. McDonald's haunting tenor, which would become a trademark of much of the band's later material, is heard for the first time on such cuts as the title-track, Losin' End and It Keeps You Runnin’. Produced by Ted Templeman, Takin' It To The Streets also highlights the subtle instrumental interplay and increasingly funky rhythms that would come to yield still more classic Doobie Brothers music. - CD notes


DOOBIE BROTHERS - LIVIN’ ON THE FAULT LINE (1977) FOREVER YOUNG

La copertina richiama esplicitamente lo stile Hipgnosis, con il Trans-Am Building di San Francisco collocato nella stessa scenografia post-atomica dell’ultima inquadratura di Planet Of The Apes (Il Pianeta Delle Scimmie), ma gli ingannevoli indizi progressive si fermano a quel fotomontaggio. In realtà, Livin’ On The Fault Line è un genuino, squisito prodotto del rivoluzionario amalgama tra soul, fusion e West Coast. All’epoca, il neonato movimento A.O.R. doveva già affrontare la concorrenza sleale del punk, osceno guazzabuglio di berci e schiamazzi, e della ‘disco’, tortura psicologica con cui i servizi deviati perseguivano l’ottundimento delle coscienze. Nonostante tutto, questa musica garantì la sopravvivenza del genere umano e, ancora oggi, molti reduci degli anni Settanta sono grati ai Doobie Brothers per averli difesi dai crudeli fratelli Di Molfetta. Ancor più che nel precedente Takin’ It To The Streets, qui si avverte l’influenza di Michael McDonald, carismatico fuoriclasse che, reclutato nel 1976, impose un’onesta band californiana nella trinità rock statunitense (Steely Dan, Little Feat, Doobie Brothers). Le tastiere e la voce mulatta di Michael verranno contese dagli artisti più prestigiosi (Carole Bayer Sager, Kenny Loggins, Stephen Bishop, Christopher Cross, James Ingram, Patti Austin, Jimmy Webb, Diana Ross, Helen Reddy, Patti Labelle, Aretha Franklin etc.), fino a divenire colonna sonora di una stagione memorabile. Gli arrangiamenti alimentati dalla doppia coppia motrice di batterie e chitarre generano un suono ricco, voluminoso, che esalta gli intensi conflitti sentimentali espressi nei testi. You’re Made That Way, Livin’ On The Fault Line e Chinatown lasciano ampio spazio alle doti strumentali del collettivo, con assoli, stacchi ritmici e virtuosismi a go go. I cori armonizzati di Echoes Of Love rimandano alla grande lezione dei Beach Boys, mentre la cover di Little Darling (I Need You) preannuncia i due CD che Michael dedicherà alla Motown. Elegante, sensualissima canzone d’amore scritta da McDonald e Carly Simon, You Belong To Me corona una collaborazione iniziata sullo splendido Another Passenger, album in cui la cantautrice interpretava It Keeps You Runnin’ insieme a tutto il gruppo. Con un’infallibile melodia che esorta a “passarci sopra” (Nothin’ But A Heartache) e una ballad ricamata dall’armonica di Norton Buffalo (There’s A Light), Michael assume ufficialmente il controllo dell’azienda. Il saggio di fingerpicking eseguito da Patrick Simmons (Larry The Logger Two-Step) appare del tutto incoerente rispetto al resto, eppure è un finale delizioso. - B.A.


DOOBIE BROTHERS - MINUTE BY MINUTE (1978) FOREVER YOUNG

Un album può passare alla storia anche per 5 canzoni su 10. In questo caso, si tratta dell’imponente contributo di Michael McDonald. Proprio gli episodi firmati da Michael trainarono Minute By Minute verso un travolgente successo artistico e commerciale. Probabilmente nemmeno i membri della band si aspettavano un riscontro simile, ma in un 1978 avaro di concretezza, il soul rivisitato dei Doobie Brothers contrappose una sostanziosa varietà stilistica alla tetra monotonia del punk e della disco-music. La spettacolare introduzione pianistica di Here To Love You, sorretta da doppia batteria + congas (Keith Knudsen/John Hartman/Bobby LaKind) surriscalda l’atmosfera, e quando entra la voce di McDonald il clima è già torrido. L’album coinvolse, anche indirettamente, alcuni nomi davvero significativi: Kenny Loggins compose insieme a McDonald What A Fool Believes (3 Grammy Awards, una cover di Aretha Franklin, e l’avvio di un sodalizio prestigioso e proficuo); Carole Bayer Sager collaborò alla stesura di How Do The Fools Survive?; Helen Reddy interpretò la title-track nel suo magnifico Reddy; Maria Muldaur scelse Open Your Eyes per intitolare il suo album del 1979, e ne offrì una versione entusiasmante. - B.A.


DOOBIE BROTHERS - ONE STEP CLOSER (1980) FOREVER YOUNG

Scegliere il disco giusto per le vacanze è un’arte. La buona musica può trasformare il tugurio più squallido in una reggia, la topaia più sudicia in una suite imperiale; viceversa, anche l’alloggio più esclusivo diventa un inferno se l’amico incaricato di portare le cassette tormenta la comitiva con un’antologia degli Stadio. Inciso con il proposito di ripetere lo strepitoso successo di Minute By Minute, il testamento spirituale dei Doobie Brothers non produsse gli utili sperati ($): in compenso, da oltre vent’anni assicura una colonna sonora ideale per gite in barca, aperitivi in terrazza e scorribande in cabriolet. La registrazione fu preceduta da un piccolo rimpasto: lo specialista Chet McCracken (batteria, vibrafono etc.) sostituì il veterano John Hartman; dai Clover arrivò John McFee (chitarra), che prese il posto del dimissionario Jeff Baxter; Cornelius Bumpus parve spuntare dal nulla, ma si dimostrò alleato prezioso nella delicata missione di spingere la band “là, dove nessuno è mai giunto prima”. Domato a fatica l’istinto rock, il nuovo organico di sette elementi combinava gli echi della strada con influenze di matrice afro-americana (soul, funk, R&B, jazz). La 'fusione', magistralmente controllata da Ted Templeman, generò un suono caldo, magmatico, gorgogliante. Michael McDonald confessa un’incrollabile fede nella dottrina Motown/Stax con Real Love, Keep This Train A-Rollin’ e Dedicate This Heart, quest’ultima scritta insieme a Paul Anka (l’incontro sortirà effetti straordinari sull’album Walk A Fine Line); South Bay Strut è un raffinato strumentale che deve molto a Spyro Gyra e Seawind; dietro il tema di One By One si nasconde l’infallibile senso melodico di Michael, mentre lo spirito dei Beach Boys aleggia su One Step Closer. Dimostrando un’umiltà non comune, dopo l’ingresso di McDonald (1976) Patrick Simmons rimase sempre un passo indietro rispetto all’ex-corista degli Steely Dan, pur senza rinunciare alle abituali irruzioni sul confine messicano o nei quartieri asiatici: Just In Time e No Stoppin’ Us Now riadattano quelle esperienze in chiave pop. A sorpresa, l’enigmatico Bumpus serve in tavola la pietanza più prelibata: la ricetta di Thank You Love è composta di devozione, sentimento, estasi, profumi esotici, assoli memorabili e superbe armonie vocali. - B.A.


ROBBIE DUPREE - ROBBIE DUPREE (1980)

La notte prima di scrivere Steal Away, Robbie Dupree sognò Michael McDonald e Kenny Loggins che gli ordinavano di farlo: il suo omaggio (consapevole o meno) a What A Fool Believes è al di sopra di ogni sospetto, e fruttò anche un successo a 45 giri, circostanza rara per gli sfortunati eroi dell’A.O.R. - I buongustai più raffinati non mancheranno di apprezzare Hot Rod Hearts, inedito di Bill LaBounty in stile Doobie Brothers, l’espressiva armonica a bocca suonata da Robbie su It’s A Feeling, i giochi percussivi di Peter Bunetta su I’m No Stranger, le accattivanti melodie di Thin Line, Love Is A Mistery, Nobody Else, Lonely Runner, e il malinconico fascino di We Both Tried, una perla pescata nel primo disco di Bill Champlin (Single). - B.A.


ROBBIE DUPREE - STREET CORNER HEROES (1981) FOREVER YOUNG

Abituato a dormire con i dischi dei Doobie Brothers sotto il cuscino, Robbie Dupree possiede una voce che non si dimentica: il suo timbro amabile, vissuto e leggermente roco evoca quello di Michael McDonald, senza scadere in una servile imitazione. Forte solo del proprio talento, Dupree (vero nome Dupuis) ebbe la fortuna di imbattersi in due straordinari produttori-musicisti, Rick Chudacoff (basso) e Peter Bunetta (batteria), che lo accolsero nella propria scuderia: dopo la scommessa vinta con lo splendido album d’esordio (Robbie Dupree), la coppia puntò ancora sul cavallo di razza, spingendolo verso il traguardo di una piena maturità. Ben quattro brani originali firmati da Bill LaBounty (Desperation; Brooklyn Girls; Missin’ You; The Long Goodbye) sono un lusso che non tutti possono concedersi. Per valorizzare un simile capitale sarebbe bastato poco, ma dagli arrangiamenti traspaiono con chiarezza cura e dedizione estreme. Attorno all’affiatata sezione ritmica di Chudacoff e Bunetta ruota un gruppo di collaboratori fidati ed efficienti, in grado di produrre un suono elastico, nitido ed elegante: Bill Elliott (tastiere), Brian Ray (chitarre), Arno Lucas, Joe Turano e Leslie Smith (cori), etc. - Lo schietto romanticismo di Street Corner Heroes, unito a un poderoso crescendo melodico, mette in riga sedicenti “boss” e “profeti” della retorica rock. I’ll Be The Fool Again e Are You Ready For Love? sono due moderni standard pop interpretati con grande classe, e il secondo offre l’occasione per riscoprire un autore bravo e sconosciuto come Greg Guidry (Over The Line). Free Fallin’ è un’ode vibrante di nostalgia per le prime storie d’amore, che finiscono ma non si scordano mai. Per palati fini e anime sensibili. - B.A.


ROBBIE DUPREE - CARRIED AWAY (1990)

ROBBIE DUPREE - WALKING ON WATER (1993)

ROBBIE DUPREE - SMOKE AND MIRRORS (1995)

EAGLES - DESPERADO (1973)

EAGLES - ONE OF THESE NIGHTS (1975)


EAGLES - HOTEL CALIFORNIA (1976) FOREVER YOUNG

Meticulous craftsmanship during all phases of recording was preceded by more than a year and a half of reflection and writing. Hotel California contributed to the group’s growing reputation for writing masterful editorials on the singular state of mind called Southern California. - CD notes

La West Coast riassunta in un disco. Fin dalla sua apparizione sulle stazioni FM, l’arpeggio introduttivo di Hotel California si è installato nell’immaginario popolare come sequel “adulto” della spensierata estate dei Beach Boys. Il “sogno” era davvero finito, infranto dall’ora fatale dei bilanci, e gli Eagles furono i primi a prenderne coscienza (questa precoce consapevolezza attirò loro accuse tanto infamanti quanto gratuite: per i dettagli vi rimandiamo al nostro dossier). La fiaba onirica della title-track si compone di tre momenti cruciali: una melodia celeberrima, l’allarmante monito conclusivo - you can check out anytime you like, but you can never leave - e il magnifico assolo in dissolvenza (quello che le oche della radio tagliano sempre prima della fine, parlandoci sopra). Scritta da Henley e Frey insieme a John David Souther, New Kid In Town è una variazione sul tema del nuovo arrivato in paese, un’opera d’arte che amalgama armonie vocali immacolate col ritmo ozioso della vita sul confine messicano: curiosità, aspettative, pettegolezzi e passioni convergono sulla poetica figura di “Johnny Come Lately”, per culminare in un passaggio rivelatore: “they will never forget you till somebody new comes along”. La genuina indole rock di Joe Walsh - appena arruolato - irrompe su Life In The Fast Lane, bruciante riff ad alta velocità, e su Victim Of Love, fragorosa salva elettrica esplosa in memoria dell’ennesimo cuore spezzato. Le due ballad dell’album comunicano un pathos autentico e intenso: Don Henley si cala con disinvoltura nell’arrangiamento orchestrale di Wasted Time, offrendo un’interpretazione che lo colloca nell’élite dei grandi batteristi-cantanti, accanto a Phil Collins, Kevin Godley e Larry Lee; lo stesso Walsh - valoroso polistrumentista che dietro la faccia da pugile nasconde una voce imprevedibilmente morbida - firma Pretty Maids All In A Row, crescendo emotivo carico di ricordi e romanticismo. C’è ancora spazio per Randy Meisner - schivo autore dell’indimenticabile Take It To The Limit - che sforna un’altra grande canzone: Try And Love Again si sviluppa sul contrasto tra un coro malandrino, il timbro rugginoso della Gretsch e la sonorità fluida delle chitarre acustiche. Grammy a Bill Szymczyk, per una produzione superlativa. [P.S. - Il “mea culpa” ipocrita di Gino Castaldo: se ne consiglia la lettura a un pubblico non impressionabile.] - B.A.


EAGLES - THE LONG RUN (1979)

JULIE EIGENBERG - LOVE IS STARTING NOW (1994)

SCOTT ENGLISH - SCOTT ENGLISH (1978)

EYE TO EYE - EYE TO EYE (1982)

 

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