Introduzione / Introduction
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THE VOICE OF MUSIC ... LA VOCE DELLA MUSICA
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PROGRESSIVE

J-L

JETHRO TULL - STAND UP (1969) FOREVER YOUNG

Indicato dallo stesso Ian Anderson come una delle sue opere predilette, Stand Up è un inossidabile gioiello folk-rock che, rispetto ai capolavori dei Fairport Convention, vantava la qualità ineguagliabile del materiale originale. L’ingresso di Martin Barre (chitarra) stabilizza il primo nucleo 'storico' della formazione, meno evoluta dell’elegante collettivo con Barriemore Barlow, ma comunque dotata di un’invidiabile abilità tecnica e di una genuina esuberanza espressiva. La fertile mente di Ian inventa senza posa brillanti ballate acustiche (Look Into The Sun; We Used To Know) e ingegnosi riff elettrici: i due mega-classici A New Day Yesterday e Nothing Is Easy contengono già frammenti di progressive in forma embrionale, legati in un amalgama perfetto con le radici blues della band. Con Reasons For Waiting, i romantici versi della serenata uniti alla bellezza della musica diventano pura poesia. Sul delizioso arrangiamento di Fat Man, bonghi, bouzouki e mandolino trapiantano gli echi della tradizione britannica in un insolito clima balcanico: le parole levano un inno alla gioia di essere magri. Frutto di un’audace rivisitazione di Bach, Bourée è divenuta col tempo la celeberrima sigla dei Jethro Tull. La ristampa CD del 2001 si è arricchita di alcuni pezzi altrimenti reperibili solo sulle antologie: Sweet Dream possiede qualcosa dell’esotismo melodico di Kashmir (Led Zeppelin, Physical Graffiti), ma il boccone più appetitoso arriva con l’emozionante crescendo strumentale di Living In The Past che, nonostante la metrica inconsueta (5/4), colse un ottimo successo nel Regno Unito. Barre rimarrà accanto a Anderson per oltre trent’anni: ideale complemento al flauto del leader, la sua Gibson segnerà il suono della band in misura altrettanto decisiva. - B.A.


JETHRO TULL - BENEFIT (1970)

JETHRO TULL - AQUALUNG (1971)


JETHRO TULL - THICK AS A BRICK (1972) FOREVER YOUNG

Il tramite ideale per farsi un’idea di cosa fosse la musica progressive inglese nei primi anni Settanta. Una copertina che ha fatto epoca, riproduzione geniale e dettagliata di un immaginario quotidiano di provincia che soltanto l’edizione CD del 1997 è riuscita a riproporre fedelmente; i testi permeati di una feroce critica verso le ipocrisie della società contemporanea; l’esordio in formazione di Barriemore Barlow, alla batteria; il particolare stato di grazia di Ian Anderson; il periodo irripetibile in cui viene pubblicato l’album: tutto questo contribuisce, in egual misura, a fare di Thick As A Brick il capolavoro dei Jethro Tull e uno dei dischi più riusciti della storia del rock. Il limite fisico del Long Playing obbligò la Chrysalis a dividere in due parti un’unica, lunga suite, nel corso della quale si ascoltano, senza soluzione di continuità, alcune delle invenzioni più belle di Anderson, mai così ispirato. Temi indimenticabili e improvvise fughe strumentali si alternano rapsodicamente a splendidi intermezzi acustici dominati dalla voce del menestrello. Imperdibile, al pari della musica, l’editoriale sulla prima pagina della copertina, riguardante la vicenda dell’enfant-prodige Gerald Bostock, genio letterario di otto anni, precoce e incompreso, autore del poema epico Thick As A Brick, che gli vale un premio scolastico. Gerald viene descritto dal preside come “mentally advanced for his age, although inclined on occasions to obscure and verbose assertions which led him to being somewhat unpopular with his schoolmates”. La materia scabrosa dell’opera, frutto di una “extremely unwholesome attitude towards life, his God and Country”, suscita le proteste e le minacce dei benpensanti, che costringono la giuria a ritirargli il premio. Il riconoscimento verrà infine assegnato alla piccola Mary Whiteyard, di anni 12, per il suo saggio sull’etica cristiana intitolato He died to save the little Children. Grazie ancora una volta Mr. Anderson! - B.A.


JETHRO TULL - A PASSION PLAY (1973) FOREVER YOUNG

La vita dopo la morte. Un alone macabro, inevitabile considerata la materia trattata, ha relegato per anni quest’opera all’ombra di Thick As A Brick. Tuttavia, dal punto di vista artistico, A Passion Play non ha nulla in meno del suo predecessore. La trama del lungo film musicale - che a parte un breve intermezzo copre l’intero disco - è resa avvincente dal caleidoscopico susseguirsi delle brillanti invenzioni strumentali, dalla sbalorditiva coesione della band, dal virtuosismo mai pleonastico del solito Barriemore Barlow e dal sapiente arrangiamento di tutta la suite. Purtroppo, proprio con questo album inizia una forsennata caccia alle streghe contro i Jethro Tull, condotta dagli stessi squallidi personaggi che qualche anno dopo incenseranno senza pudore la spazzatura punk. In questa sede va tributato un riconoscimento a Stefano Coderoni: nel suo saggio monografico pubblicato da un periodico italiano, egli indica A Passion Play come il momento più alto della parabola creativa di Ian Anderson, andando coraggiosamente controcorrente rispetto al conformismo degli scribacchini nostrani. - B.A.


JETHRO TULL - WAR CHILD (1974)

JETHRO TULL - MINSTREL IN THE GALLERY (1975)


JETHRO TULL - TOO OLD TO ROCK‘N’ROLL: TOO YOUNG TO DIE! (1976)

Per carità, non date retta a quello che ha scritto la “stampa specializzata”. Persone cattive, dispettose e in mala fede hanno continuato a ripetere pedissequamente le sciocchezze che avevano letto a 16 anni su Ciao 2001, incapaci di elaborare un qualsiasi pensiero autonomo. Risultato, Too Old ... è quasi unanimemente considerato il peggior disco dei Jethro Tull. Al contrario, è un album che segna un importante passo avanti nello stile del gruppo, soprattutto in termini musicali. L’influenza dell’arrangiatore e tastierista David Palmer si fa sempre più netta, e determina un indiscutibile affinamento del sound complessivo. A ben guardare, con l’ingresso del nuovo bassista John Glascock, la formazione che darà vita allo splendido Songs From The Wood (1977) è già qui, al completo, ma sul momento nessuno sembrò accorgersene. Alla faccia dei giornalisti, ci sono alcune ottime canzoni (Quizz Kid; Crazed Institution; Salamander) e almeno un capolavoro (Too Old To Rock‘n’Roll: Too Young To Die!). L’illustrazione di copertina, che ritrae Ian Anderson mentre fa “il gesto dell’ombrello”, è ormai un’icona del rock e la 'concept-story' a fumetti contenuta nell’album (analoga al finto quotidiano di Thick As A Brick) lancia un severo monito sull’inconsistenza e la superficialità delle mode: il vecchio rocker Ray Lomas (alter-ego di Anderson) è ormai un relitto del passato, incapace com’è di adeguarsi al look e alle abitudini in voga. In un momento di sconforto egli subisce un grave incidente motociclistico, ma una volta dimesso dall’ospedale torna in strada e scopre che la moda è di nuovo cambiata e che il suo stile e la sua musica sono tornati attuali. Riuscirà ad ottenere addirittura un contratto discografico. - B.A.


JETHRO TULL - M.U. / THE BEST OF JETHRO TULL (1976)


JETHRO TULL - SONGS FROM THE WOOD (1977) FOREVER YOUNG

Con la critica alle calcagna, che li perseguitava distruggendo puntualmente ogni nuova uscita discografica dai tempi di Thick As A Brick, nessuno si sarebbe aspettato che i Jethro Tull avrebbero avuto la forza di realizzare l’ennesimo capolavoro della loro carriera, per di più in pieno oscurantismo punk. Concepito nella quiete della campagna inglese, suonato e inciso splendidamente, Songs From The Wood è una raccolta di ispirati quadretti rurali, dipinti con colori folk e pennelli rock. L’effetto della batteria di Barriemore Barlow sulla musica dei Jethro Tull è paragonabile all’influenza esercitata da Bill Bruford sui dischi degli Yes o dei King Crimson: un punto di riferimento costante e un’inesauribile fonte d’inventiva ritmica. La Gibson di Martin Barre è lancinante e precisa, e la voce muschiata di Ian Anderson suggerisce quasi icasticamente l’idea di uno story-teller dei boschi. Il riff elettrico di Hunting Girl è diventato un classico delle esibizioni live, e l’incontro del povero fattore con la famelica protagonista agiterà i vostri sonni. The Whistler, Cup Of Wonder, Velvet Green e la title-track vanno gustate con contorno di patate arrosto e boccali di birra ghiacciata, possibilmente tra le mura di un accogliente rustico. Infine, se volete una canzone di Natale diversa dal solito, provate con Ring Out, Solstice Bells: le atmosfere plastificate degli spot pubblicitari vi sembreranno un lontano ricordo. - B.A.


JETHRO TULL - HEAVY HORSES (1978)

JETHRO TULL - STORMWATCH (1979)


JETHRO TULL - A (1980)

Su questo titolo è opportuno segnalare la presenza di un eccellente batterista, Mark Craney, che ha già lasciato la sua impronta indelebile su almeno due classici del rock: il capolavoro di Gino Vannelli Brother To Brother e il dimenticato Tuesday In New York, canto del cigno di Mark & Almond. La versatilità di Craney è chiaramente illustrata dal suo curriculum, e anche questo album trae giovamento dal suo contributo. Tre momenti particolarmente significativi sono Fylingdale Flyer, Black Sunday e Working John, Working Joe. - B.A.


JETHRO TULL - THE BROADSWORD AND THE BEAST (1982)

Dopo l’avveniristico A - inciso con partner eccezionali (Eddie Jobson, Mark Craney) ma assunti a tempo determinato - Ian Anderson rifonda il gruppo per l’ennesima volta: il titano Martin Barre e l’ex-Fairport Convention Dave Pegg vengono affiancati da Peter-John Vettese, esperto di sintetizzatori, e da Gerry Conway, batterista straordinario anche se meno originale dell’insostituibile Barriemore Barlow. La nuova formazione è comunque all’altezza dell’organico 1972/1979. L’album si apre con Beastie, inquietante elucubrazione dal respiro affannoso e dalla cadenza heavy, in cui Anderson cerca di esorcizzare le fobie ancestrali che da sempre sgomentano l’umanità. In un passaggio del testo - tra i più ispirati del suo repertorio - il protagonista confessa i propri incubi a uno psichiatra, implorandolo affinché lo liberi dal “demone” che agita i suoi sonni. L’agghiacciante replica del dottore evoca la suspense di Rosemary’s Baby e la paranoia di Invasion Of The Body Snatchers: “There's nothing I can do for you, everywhere's a danger zone. I'd love to help get rid of it, but I’ve got one of my own”. Nel concerto del 2 Maggio 1982 a Roma, per quel brano Ian allestì una memorabile messinscena in cui uno gnomo incappucciato e con gli “occhi di bragia” lo pedinava sul palco. Il confronto tematico con Thriller, pubblicato nello stesso anno, premia senza incertezze i Jethro Tull. La combinazione hard-folk ottenuta accostando riff elettrici, chitarre acustiche e sbuffi di flauto è arricchita dal sapiente tocco di Vettese, e funziona a meraviglia anche su Clasp, Fallen On Hard Times e Flying Colours. Una melodia “natalizia”, affine ad altre pagine dello stesso Anderson (Ring Out, Solstice Bells; Christmas Song), risuona sulla commovente Slow Marching Band. Esaltata da un vibrante assolo di Barre, la solenne atmosfera di Broadsword ricorda Tolkien e le sue saghe (stendiamo un velo pietoso sulle forzature ideologiche operate da taluni pseudo-movimenti). Il livello della musica resta altissimo anche su Pussy Willow, Watching Me Watching You e Seal Driver. Con 60 secondi di pura emozione, Cheerio cala il sipario su un altro CD essenziale. - B.A.


JETHRO TULL - UNDER WRAPS (1984)

Dispiace polemizzare con Repubblica, giornale che svolge spesso inchieste meritorie, del quale siamo assidui lettori e nella cui redazione lavorano molti professionisti che rispettiamo, tuttavia … “furor fit laesa saepius patientia”. Il problema è che Gino Castaldo, fondatore e necroforo del defunto inserto settimanale Musica!, continua a secernere veleno godendo di un’assoluta impunità. L’arrogante rubrichetta Attenti al Cane segnala i dischi da evitare secondo l’opinabilissimo parere di un anonimo recensore mandato allo sbaraglio. Nel numero del 19 Dicembre 2002 - infarcito di affermazioni tipo “Eminem esibisce una violenza temperamentale degna di una iena tarantiniana” - viene messo all’indice Under Wraps dei Jethro Tull. Motivo? Reggetevi forte: troppa elettronica. Sì, avete capito, la predica arriva da chi negli anni '80 incensava 'new wave' e 'techno-pop' e oggi fa lo schizzinoso con il poco materiale salvabile dell’epoca medesima. Nelle nostre carni portiamo ancora i segni di quei soprusi e vorremmo rimediare, per quanto possibile, all’ennesima mistificazione della “stampa specializzata” (dossier I / II / III). Per chi fosse epidermicamente allergico alla drum-machine, gli arrangiamenti di Under Wraps potrebbero risultare urticanti. D’accordo. E però noi siamo abituati a giudicare la musica per il suo valore intrinseco, a prescindere dagli strumenti utilizzati per riprodurla, nel senso che persino integerrimi custodi del 'verbo' acustico hanno pubblicato emerite boiate. D’altro canto non mancano grandi classici incisi solo con il sintetizzatore - Jazz From Hell (Frank Zappa), Birds Of Prey (Godley & Creme), Magnetic Heaven (Wax) - sebbene Rockstar li censurasse accuratamente. A nostro avviso la questione va posta nei termini seguenti: i suoni non sono belli o brutti in sé e la loro sorte dipende, come per ogni cosa, dal modo in cui vengono impiegati. Ad esempio, ve l’immaginate Gino Castaldo che armeggia con un polymoog? Con quei gusti … che Dio ce ne scampi! Se invece - caso in oggetto - la programmazione delle tastiere è affidata a un artista come Peter-John Vettese, il risultato non può che essere straordinario. In sostanza, pur dominato da sonorità artificiali, Under Wraps è un CD stupendo, all’altezza del catalogo di Ian Anderson. In giro non troverete molte opinioni analoghe alla nostra - anche se l’album preferito di Martin Barre è proprio questo - ma dal pulpito screditato di Musica! un processo sommario è del tutto inaccettabile. Rimandiamo a un’altra occasione l’esame approfondito dei brani. Al momento ci premeva denunciare l’ultima bravata di Castaldo che, con una carriera ormai pluriennale, rappresenta il più scottante caso mai registrato di “braccia rubate all’agricoltura”. È ora che qualcuno te lo dica, Gino: piantala! - B.A.


JETHRO TULL - CREST OF A KNAVE (1987)

JETHRO TULL - NIGHTCAP / THE UNRELEASED MASTERS 1973-1991

JETHRO TULL - THE JETHRO TULL CHRISTMAS ALBUM (2003)

JUMBO - DNA (1972)

JUMBO - VIETATO AI MINORI DI 18 ANNI? (1973)

KHAN - SPACE SHANTY (1972)


KING CRIMSON - IN THE COURT OF THE CRIMSON KING (1969) FOREVER YOUNG

Nonostante i numerosi libri scritti sull’argomento, non è ancora chiaro se il progressive sia nato con Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band, si sia affermato con i moti del '68 o sia stato concepito dallo Spirito Santo. In ogni caso, a questo album - praticamente perfetto - spetta il merito di aver tracciato le coordinate di un genere che avrebbe dominato la stagione del rock “creativo”, per diventare in seguito materia di studio, oggetto di culto e fonte di perenne nostalgia per il pubblico. La ricetta musicale del disco si compone di vari ingredienti sapientemente legati tra loro: Robert Fripp passa con maestria dal timbro acido della Les Paul a quello limpido della chitarra acustica, amalgamando gli arrangiamenti con il solenne suono del mellotron; la nevrotica batteria di Mike Giles reagisce con prontezza alle repentine variazioni metriche dei brani, mentre Ian McDonald alterna i toni bucolici del flauto agli acuti lancinanti del sax. In attesa di conquistare l’immortalità con Tarkus e Trilogy, Greg Lake aggiunge il proprio nome all’albo d’oro dei King Crimson, con il suo basso duttile e una voce già matura e profonda. Il senso di smarrimento e alienazione trasmesso dalla famosa copertina (si confronti l’immagine con il Grido di Munch) viene amplificato dalle note e dalle parole di 21st Century Schizoid Man, angosciante fanta-documentario sulle ansie dell’uomo moderno. I Talk To The Wind e Moonchild restituiscono un attimo di quiete, prima che Epitaph e The Court Of The Crimson King immergano l’ascoltatore nelle magiche liturgie di un’epoca in cui eravamo tutti più giovani, più belli e più intelligenti. - B.A.


KING CRIMSON - IN THE WAKE OF POSEIDON (1970)

KING CRIMSON - LIZARD (1970)

KING CRIMSON - ISLANDS (1971)


KING CRIMSON - LARKS’ TONGUES IN ASPIC (1973) FOREVER YOUNG

La seconda generazione dei King Crimson entra in scena accompagnata da un’esplosione accecante di luci elettriche e colori accesi (Larks’ Tongues In Aspic, Part One/Part Two): la sulfurea Les Paul di Robert Fripp e il violino di David Cross si intersecano a vicenda, rincorsi dall’implacabile batteria di Bill Bruford. I due album successivi, sebbene eccellenti, mancano delle tenui sfumature timbriche che le percussioni di Jamie Muir conferiscono alla trama ritmica di questa musica. Giustamente intenti a esaltare le complesse evoluzioni strumentali del collettivo, dimentichiamo spesso che i tre dischi di questo periodo (1973/1974) contengono alcune notevoli parti cantate da John Wetton, con quella caratteristica voce "fredda" che non di rado sconfina oltre la propria estensione senza mai perdere espressività (Exiles; Book Of Saturday; Easy Money). Oltre che autore e personalità di rango, Fripp è un chitarrista sui generis, al punto da non aver fatto scuola: in giro non si vedono epigoni o eredi diretti, e quando artisti come David Bowie o Daryl Hall hanno avuto bisogno di quel fraseggio nervoso e di quella sonorità corrosiva si sono rivolti all’originale. - B.A.


KING CRIMSON - STARLESS AND BIBLE BLACK (1974)

... the finest progressive rock lineup ever assembled. - Edward Macan

Continua la meravigliosa avventura del collettivo assemblato da Robert Fripp, che alcuni osservatori considerano il miglior gruppo progressive di sempre. Dopo la rivoluzione stilistica di Larks’ Tongues In Aspic, Jamie Muir se ne va, ma il quartetto (Fripp, Cross, Wetton, Bruford) conferma la propria capacità di elaborare variopinte trame percussive attorno agli infernali intrugli chitarristici di Fripp. Il trittico conclusivo dell’album è uno straordinario affresco strumentale: The Mincer, Starless And Bible Black, Fracture. Decisivo, come sempre, il contributo di Bill Bruford. - B.A.


KING CRIMSON - RED (1974)

Ridotta ufficialmente a un trio, la seconda generazione dei King Crimson produsse ancora musica di altissimo livello. Red, One More Red Nightmare e Providence sono gli episodi che illustrano meglio la perfetta simbiosi strumentale raggiunta tra due virtuosi (Wetton, Bruford) e un leader (Fripp) “puntualmente in anticipo” sui tempi. Alle sedute parteciparono anche David Cross al violino e alcuni validi fiatisti inglesi. - B.A.


KING CRIMSON - THE GREAT DECEIVER (1973/1974)

KING CRIMSON - DISCIPLINE (1981)

KING CRIMSON - BEAT (1982)

KING CRIMSON - THREE OF A PERFECT PAIR (1984)

JOHN LEES - A MAJOR FANCY (1973)

LOCANDA DELLE FATE - FORSE LE LUCCIOLE NON SI AMANO PIÙ (1977)

 

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