Introduzione / Introduction
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THE VOICE OF MUSIC ... LA VOCE DELLA MUSICA
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JAZZ

G

HAL GALPER - REACH OUT (1976)

HAL GALPER - CHILDREN OF THE NIGHT (SPEAK WITH A SINGLE VOICE) (1978)

HAL GALPER - REDUX '78 (1978)

HAL GALPER - JUST US (1993)

HAL GALPER - REBOP (1994)

HAL GALPER - LET’S CALL THIS THAT (1999)

JAN GARBAREK - AFRIC PEPPERBIRD (1970)

JAN GARBAREK - SART (1971)

GARBAREK / ANDERSEN / VESALA - TRIPTYKON (1972)

JAN GARBAREK / BOBO STENSON - WITCHI-TAI-TO (1973) FOREVER YOUNG

JAN GARBAREK / BOBO STENSON - DANSERE (1975)

JAN GARBAREK / RALPH TOWNER - DIS (1976)


JAN GARBAREK - PLACES (1977) FOREVER YOUNG

JAN GARBAREK - PHOTO WITH ... (1978) FOREVER YOUNG

Col suo sassofono algido e regale, Jan Garbarek ha contribuito a definire il codice espressivo dell’ECM, diventandone poi alfiere indiscusso. I suoi assoli solenni rapiscono l’ascoltatore evocando scene oniriche e atmosfere incantate. In una discografia ragguardevole per qualità e quantità, Places e Photo With … vantano un perfetto amalgama tra aderenza ai canoni estetici dell’etichetta tedesca e spazio concesso all’improvvisazione. Alle diverse sezioni ritmiche impiegate - il solo Jack DeJohnette (batteria) su Places, gli specialisti Eberhard Weber (contrabbasso elettrico) e Jon Christensen (batteria) su Photo With … - il leader affianca due fuoriclasse presenti a entrambe le sedute: il californiano Bill Connors (chitarra), di cui alcuni collezionisti ricorderanno i tre splendidi album incisi a Oslo (Theme To The Gaurdian; Of Mist And Melting; Swimming With A Hole In My Body), solista capace di un fraseggio fluido, legato, elegantissimo, e l’inglese John Taylor (pianoforte / organo), raffinato artigiano delle tastiere. In una sequenza di brani di alto valore e livello omogeneo, le differenze sostanziali tra gli arrangiamenti in quartetto e quintetto risiedono nella trama strumentale ottenuta con organo e chitarra acustica per Places, laddove su Photo With … la prima linea è condotta da sax (tenore / soprano), piano e 6 corde elettrica. Se Garbarek è al culmine della sua fase creativa, perfettamente in bilico tra echi coltraniani e suggestioni scandinave, Connors si muove con originalità lungo coordinate allora percorse anche da più illustri colleghi di scuderia. - B.A.


JAN GARBAREK - PATHS, PRINTS (1981)

JAN GARBAREK - WAYFARER (1983)

JAN GARBAREK - IT’S OK TO LISTEN TO THE GRAY VOICE (1984)

GARBAREK / VITOUS / ERSKINE - STAR (1991)

KENNY GARRETT - INTRODUCING KENNY GARRETT (1984)

KENNY GARRETT - TRILOGY (1995)

KENNY GARRETT - PURSUANCE: THE MUSIC OF JOHN COLTRANE (1996)

KENNY GARRETT - SONGBOOK (1997)

GEORGE GARZONE - FOUR’S AND TWO’S (1995)

GEORGE GARZONE - THE FRINGE IN NEW YORK (2000)

GIORGIO GASLINI - IL FIUME FURORE (1968)

GIORGIO GASLINI / JEAN-LUC PONTY - FABBRICA OCCUPATA (1973)

GIORGIO GASLINI - CONCERTO DELLA LIBERTÀ / UNIVERSO DONNA (1975)

GIORGIO GASLINI - MURALES (1976)

GIORGIO GASLINI - NEW ORLEANS SUITE (1976)

GIORGIO GASLINI - FREE ACTIONS (1977)

GIORGIO GASLINI - GRAFFITI (1977)

GIORGIO GASLINI / EDDIE GOMEZ - ECSTASY (1981)

GIORGIO GASLINI / ANTHONY BRAXTON - FOUR PIECES (1981)

GIORGIO GASLINI - SKIES OF CHINA (1985)

GIORGIO GASLINI - MULTIPLI (1988)

BRUCE GERTZ - BLUEPRINT (1991)

BRUCE GERTZ - THIRD EYE (1992)

BRUCE GERTZ - DISCOVERY ZONE (1994)

BRUCE GERTZ - RED HANDED (1998)

STAN GETZ - THE COMPLETE ROOST RECORDINGS (1950/1954)

STAN GETZ - NOBODY ELSE BUT ME (1964)

STAN GETZ - THE DOLPHIN (1981)

STAN GETZ - SPRING IS HERE (1981)

STAN GETZ - PURE GETZ (1982)

MAURIZIO GIAMMARCO - PRECISIONE DELLA NOTTE (1982)


MAURIZIO GIAMMARCO - HORNITHOLOGY (1988)

MAURIZIO GIAMMARCO - SAURIAN LEXICON (1991)

MAURIZIO GIAMMARCO - INSIDE (1993) FOREVER YOUNG

MAURIZIO GIAMMARCO - IN OUR HANDS (1995) FOREVER YOUNG

MAURIZIO GIAMMARCO - LOVE BALLADS (1999)

MAURIZIO GIAMMARCO / PHIL MARKOWITZ - “7”+8 (2001) FOREVER YOUNG

All’estero già lo sanno. In Italia, il concetto stenta ancora ad essere assimilato. Eppure, è ormai tempo di intendere che, in buona sostanza, abbiamo in casa molti tra i più grandi artisti jazz del mondo. Maurizio Giammarco si staglia d’imperio tra i fuoriclasse più autorevoli: cultori e collezionisti che custodiscono gelosamente gli album di Jerry Bergonzi, Michael Brecker, Joe Lovano, Chris Potter, Bennie Wallace, Ralph Lalama, Eric Alexander, Joel Frahm, dovrebbero lanciarsi senza indugio alla ricerca di questi preziosi CD. Reduce dall’esaltante avventura con i Lingomania (Riverberi, Grr ... Expanders, Camminando), Giammarco prosegue la feconda collaborazione con l’etichetta italiana Gala per tornare a incidere a proprio nome, dopo un esordio ufficiale superbo ma non ben distribuito (Precisione Della Notte).
Hornithology - Sorretto da Marc Johnson (contrabbasso), Peter Erskine (batteria) - il primo cresciuto alla corte di Bill Evans, entrambi presenti in due celebri sedute della ECM (Bass Desires; Second Sight) - e dal versatile Danilo Rea (tastiere), il sassofonista confeziona un disco maturo, elegante, che si rende necessario per gli squisiti fraseggi di contrabbasso, soprano e pianoforte su Sky Walker, per l’impetuosa fuga del tenore su End Of A Bop Affair, per la sofisticata ballad Unexpected Flight, in cui risuona un’eco del miglior Wayne Shorter, per un etereo arrangiamento di Você Vai Ver, evergreen segreto di Antonio Carlos Jobim, poi ripreso anche da Michael Franks col titolo di Cinema (Abandoned Garden). Il dipinto in copertina è di Daniel Humair.
Saurian Lexicon - La Gala si dimostra lungimirante abbastanza da permettere a Giammarco di registrare ancora col suo nuovo trio [Paolino Dalla Porta (contrabbasso), Manhu Roche (batteria)], lasciandogli peraltro la libertà di allargarlo a piacimento al chitarrista Dario Lapenna (Day After Band) o al veterano Franco D’Andrea. Ne risulta un’eterogenea scaletta in cui si alternano la concisa orchestrazione di Pow Line e Deep Pow, i bagliori elettrici di Fairplanes e Roots, il raffinato mainstream di Dreaming Apart e Pages. Un’ingegnosa struttura metrica vale a Sconclusione l’inserimento del relativo spartito in rete. Superlativo l’interplay nei diversi contesti strumentali.
Inside - Approdando alla prestigiosa Soul Note, Giammarco spariglia ancora le carte col fenomenale Heart Quartet, una gioiosa macchina da musica in cui il leader è affiancato da Mauro Grossi (pianoforte), Piero Leveratto (contrabbasso) e Andrea Melani (batteria). Fin dal travolgente trittico iniziale (Urgency, Inside News, Max’ Traces*), l’intenso dialogo tra tastiere e sassofoni contrassegna la cifra espressiva della nuova formazione. Le sobrie rifiniture del sintetizzatore si amalgamano brillantemente al crepitio acustico di un’impeccabile sezione ritmica. È proprio Melani a innescare la deflagrazione percussiva di Spin, che lancia la gara di assoli tra Grossi e Giammarco. L’ipnotica pulsazione di Milano Nights stimola gli sfiancanti funambolismi coltraniani del sax tenore. Con l’emozionante interpretazione di E Se Domani, Giammarco dimostra di aver colto fino in fondo l’essenza del grande standard, parole comprese.
In Our Hands - A conferma di quanto suesposto, lo straordinario combo italico attira le attenzioni della Blue Note … il cerchio si chiude. Per un fiatista/improvvisatore, come noto, non c’è traguardo più ambito che incidere per l’etichetta fondata da Alfred Lion. Forte di una reciproca intesa rafforzata dalla consuetudine, dispiegando l’incedere marziale di Generation, il complesso tema di Like A Fish (attraversato dal fantasma di Stormy Weather), la souplesse latina di One As A Pair, il quartetto realizza un’opera in cui inventiva, tecnica e affiatamento convivono in mirabile equilibrio. Dotato di un tocco fine e incisivo, Grossi passa con disinvoltura dall’intelligibile ricercatezza armonica di un Herbie Hancock (Autumn Breed, Emanation, Falling In Love With Love) agli abrasivi virtuosismi di un Cecil Taylor (Fingers Of Fortune, El Gordo), coprendo i vari stadi intermedi tra i (presunti) modelli grazie all’indiscussa originalità personale. Magnifico l’impiego del Fender Rhodes su Outras Palavras e B Witch (forse il pezzo migliore).
Love Ballads - Da alcuni concerti tenuti in Italia col pianista americano Art Lande, nasce l’idea di un ritorno al passato. Anche alle prese con un repertorio “tradizionale”, Giammarco si conferma consumato padrone dell’idioma e in possesso della sensibilità necessaria per rielaborare creativamente pagine così solenni. La sintesi tra vincolo al pentagramma e libertà di rileggerlo si compie nelle stupende variazioni “cool” su The Man I Love - evocative dello stile di Warne Marsh - e nell’irresistibile impeto swing di Stella By Starlight. Interessante il diverso trattamento riservato a Lover Man (Oh, Where Can You Be?), ripresa distorcendone il tempo, e a Lover, rallentata fin quasi al moto inerziale. Il doppio omaggio a Cole Porter (I Love You, What Is This Thing Called Love?) offre lo spunto per ulteriori prove di estro e immaginazione. In Your Own Sweet Way, gioiello di Dave Brubeck, consente di rilevare analogie e contrasti con la versione, pure eccellente, dell’allora collega di scuderia Jerry Bergonzi (Jerry On Red). Determinante il contributo del reparto propulsivo, in cui l’assiduo Piero Leveratto “fa rima” con Roberto Gatto. Lode alla Red Records, editrice di queste soavi “ballate d’amore”.
“7”+8 - Il nuovo progetto mantiene e sviluppa la prediletta formazione a quattro elementi col decentramento delle responsabilità - Maurizio Giammarco e Phil Markowitz sono contitolari - e l’ingresso in organico del sempre affidabile Fabrizio Sferra (batteria). L’atmosfera vira sul tenebroso/glaciale e l’effetto per l’ascoltatore è quello, doppiamente coinvolgente, del “brivido caldo”. Le contorte partiture firmate da Markowitz esaltano la prontezza dei riflessi di Giammarco, che si produce in spettacolari interventi al tenore e al soprano, rispettivamente, su Semisphere e Shapes. Lo stesso Giammarco si abbandona al suggestivo mood che incombe siglando le crepuscolari Son, Sunset City, Libra. L’esotica, eterna melodia di Caravan conferisce un’ulteriore nota di turbamento sensoriale all’esperienza auditiva. Il booklet contiene eloquenti “raccomandazioni” di Paolo Fresu e David Liebman. Ribadiamo il concetto: la scioltezza con cui i campioni italiani si misurano coi maestri statunitensi, ormai, non deve più sorprendere. [P.S. - *Dedicata a Massimo Urbani.] - B.A.


MAURIZIO GIAMMARCO / TOM HARRELL - THE AUDITORIUM SESSION (2005)


JIMMY GIUFFRE - WESTERN SUITE (1958)

Western Suite e Freedom Suite: due album rispettivamente contemporanei, indispensabili per motivi diversissimi, entrambi occupati per metà del vecchio formato LP da altrettante “sinfonie” - omonime ed emblematiche di ciascuno dei volumi - integrate sul lato “B” da pregevoli riempitivi. - B.A.

La Western Suite ha avuto una strana fortuna critica, che non ci aiuta a capirne lo spessore. In apparenza tutti gli studiosi ne parlano bene, in realtà i più la liquidano con una pacca sul­le spalle. Essa rimase lontana dalle grandi correnti evolutive del jazz, che nel 1958 passavano per Charles Mingus, Sonny Rollins, John Coltrane, Miles Davis etc. … però all’epoca Jimmy Giuffre era considerato sul loro stesso piano e l’ambiguità polimodale della Western Suite lo collocava su posizioni persino più avanzate. Dopo aver diretto un celebre trio in cui sopravviveva il contrabbasso, Giuffre ne assembla un altro - con Bob Brookmeyer (trombone) e Jim Hall (chitarra) - senza più traccia della sezione ritmica. L’opera trabocca di piccole idee, interconnesse e sal­date dalla grande forma. Non vi è alcuna lungaggine, non un solo episodio arriva a quaranta battute e poche sono le ripetizioni testuali. Si tratta di un esercizio di scrittura teso al limite delle possibilità: con tre soli strumenti e un tematismo così semplice era improbabile che chiunque potesse andare oltre i 18 minuti. La Western Suite profuma di California. Se i bopper di New York hanno negli occhi la città, l’uomo, i suoi manufatti artificiali, le sue nevrosi, la sua violenza, i californiani contemplano il deserto, il mare, le rocce, i cactus: un paesaggio vasto, infinito, in cui l’uomo scompare, o quasi non si vede. L’arte californiana in genere è naturalistica, oggettiva, e si nutre di forme semplici. Tende all’essenziale, alla linearità, alla stilizzazione. Talora sfocia nell’astratto. L’armonia è ridotta a pochi accordi puri, accostati come colori fondamentali in grandi campiture piatte. Le melodie sono brevi, dirette, semplici. Vi sono immagini pittoresche, indiani e cowboy in costume, danze tribali, orizzonti lontani, richiami dalle colline, tramonti e trenini, il tutto schizzato con brevi temi elementari. Ma è un panorama che non conosce drammi, uno scenario sereno, pacifico, in cui i nemici non si sparano: ballano. La danza di guerra del secondo movimento (Apaches) non fa paura a nessuno: gli indiani che battono il piede in terra girando attorno al totem sono personaggi da fumetto, minuscoli, caratteristici e inoffensivi. Tutta la Western Suite non è che un album di amene vignette, una lunga strip di fumetti sonori, che in pochi tratti illustrano gli aspetti umani e ambientali del West. Che strano West, però: giocoso, arcadico, imbelle. Proprio come lo immaginano i bambini. Un’allegra frontiera della fantasia, che si direbbe attinta a lontani ricordi d’infanzia, di figurine, di album variopinti. Una frontiera abitata non dai personaggi di John Ford, ma da quelli di Walt Disney. - Marcello Piras


JIMMY GIUFFRE - 1961 (FUSION / THESIS) (1961) FOREVER YOUNG

Questo doppio CD consacra la grandezza di un musicista e di un produttore: a) Jimmy Giuffre, per l’ostinata integrità artistica; ß) Manfred Eicher, per l’autonomia delle scelte editoriali. Con l’intuito del filologo, Eicher scorge gli embrioni della propria estetica personale in due vecchi titoli di Giuffre pubblicati nel 1961 dalla Verve. Ristampando in una raffinata tiratura Fusion e Thesis, il guru della ECM si conferma come il più autentico custode dell’eredità spirituale di Alfred Lion. Alternativa alla ribollente energia dell’hard-bop e alla rivolta socio-culturale del ‘free’, la ricerca stilistica condotta da Giuffre privilegiava l’investigazione tematica e il dialogo pacato con i partner. Entrambi futuri capiscuola nei rispettivi strumenti, Paul Bley e Steve Swallow assecondano il pudico fraseggio del leader con partecipe premura. Il trio si aggira furtivo attorno alle angolose composizioni di Giuffre, per poi esplorarne minuziosamente i più reconditi meandri armonici. Dalle spirali melodiche di Whirrrr, Sonic, Flight, Scootin’ About, ai capricci blues di Emphasis, Cry, Want, That’s True, That’s True, Carla (dedica esplicita alla sacerdotessa del jazz), passando per uno standard di Gordon Jenkins (Goodbye) fino ai conflitti interiori di Brief Hesitation e Venture, nessun anfratto del pentagramma resta inviolato. Lo stesso repertorio di Carla Bley offre materia prima ideale per un’improvvisazione centellinata con tanta oculatezza: Jesus Maria, indolente e orecchiabile; In The Mornings Out There misteriosa e ambigua; Ictus, repentina e aggressiva come il letale colpo apoplettico. Un certosino restauro eseguito sui nastri originali rianima i suoni lignei del clarinetto (Giuffre), il timbro scampanante del piano (Bley), la cavata elastica del contrabbasso (Swallow), esaltando altresì la dimensione cameristica delle sedute. - B.A.


JIMMY GIUFFRE - FREE FALL (1962)

LARRY GOLDINGS - MOONBIRD (1999)

LARRY GOLDINGS - AS ONE (2000)

LARRY GOLDINGS - SWEET SCIENCE (2002)


BENNY GOLSON - NEW YORK SCENE (1957)

Golson si impose definitivamente all'attenzione con i Jazz Messengers di Art Blakey, dei quali assunse la direzione musicale e rinnovò il repertorio. Ai Messengers, Golson diede una fisionomia scabra, servendosi di arrangiamenti semplici, con ampio spazio per gli assoli del trombettista Lee Morgan e del pianista Bobby Timmons. A questo periodo (1958/1960) risalgono le prime versioni su disco dei suoi celebri temi (Whisper Not; Along Came Betty; Blues March; Stablemates; Are You Real?), molti dei quali sono ormai entrati nel repertorio corrente. Uscito dai Messengers, Golson fondò il Jazztet, che diresse con il trombettista Art Farmer. Come uomo di penna, Golson è un continuatore di Tadd Dameron: ritmicamente più semplice, conserva qualcosa della maestosa dolcezza del suo maestro. Come solista, Golson era all’epoca più discusso: in questa veste molti critici lo sottovalutarono, anche quando come compositore era ormai affermato. Il suo sax voluminoso, scuro e greve, a volte è scosso da soprassalti sugli acuti, che gli conferiscono una nota quasi isterica. Oscurato, nella considerazione dei contemporanei, da Rollins e Coltrane, Golson continuò a comporre e a incidere fino agli anni '90. L’album Free, del 1962, dimostra che Golson tentò di mantenersi, con buoni esiti, al passo con l’evoluzione del linguaggio (anche se Free qui non sta per “free jazz”). - E.I.J.


BENNY GOLSON - THE MODERN TOUCH (1957)

BENNY GOLSON - THE OTHER SIDE OF BENNY GOLSON (1958) FOREVER YOUNG

BENNY GOLSON - GONE WITH GOLSON (1959)

BENNY GOLSON - GROOVIN’ WITH GOLSON (1959) FOREVER YOUNG

BENNY GOLSON - GETTIN’ WITH IT (1959)

BENNY GOLSON - TAKE A NUMBER FROM 1 TO 10 (1960)

BENNY GOLSON - TURNING POINT (1962)

BENNY GOLSON - FREE (1962)

BENNY GOLSON - CALIFORNIA MESSAGE (1980) FOREVER YOUNG

BENNY GOLSON - TIME SPEAKS (1981)

BENNY GOLSON - THIS IS FOR YOU, JOHN (1983)

BENNY GOLSON / FREDDIE HUBBARD - STARDUST (1987)

BENNY GOLSON - UP JUMPED BENNY (1997)

MICK GOODRICK - IN PAS(S)ING (1978)

MICK GOODRICK - BIORHYTHMS (1990)


MICK GOODRICK - SUNSCREAMS (1994) FOREVER YOUNG

Sebbene intestati a leader diversi, Sunscreams e On Again sono album gemelli. Con ¾ del personale identico su entrambe le session e una prima linea che affianca maestri del calibro di Mick Goodrick e Jerry Bergonzi, i due titoli prodotti da Raimondo Meli Lupi per l’effimera RAM Records sono indispensabili per gli estimatori della formula strumentale con sezione ritmica, chitarra e sax. L’alchimia tra il turgido tenore di Bergonzi e la fluida sei corde di Goodrick caratterizza la cifra espressiva degli arrangiamenti, in perfetto equilibrio tra parsimonia sonora e ricchezza armonica. Accanto a Bruce Gertz (contrabbasso) si alternano i batteristi Gary Chaffee (Sunscreams) e Adam Nussbaum (On Again), per alimentare una spinta cinetica duttile e potente.
Sunscreams - La presenza in veste di ospite di riguardo consente al sassofonista di selezionare ben tre titoli ricorrenti nel suo repertorio: In Your Own Sweet Way, lo standard di Dave Brubeck già interpretato sull’esordio per la Red Records (Jerry On Red); Jab, sofisticata ballad appena incisa col Trio Idea (Napoli Connection); Peek A Boo, articolata composizione ripresa in quintetto sull’omonimo CD Evidence / Label Bleu. La dimestichezza con gli evergreen è confermata dalla disinvolta rilettura di sacri testi come I Hear A Rhapsody e Spring Is Here, in cui il dialogo tra Goodrick e Bergonzi raggiunge straordinari livelli di empatia. - B.A.


DEXTER GORDON - DEXTER BLOWS HOT AND COOL (1955)

DEXTER GORDON - DADDY PLAYS THE HORN (1955)

DEXTER GORDON - DEXTER CALLING ... (1961)

DEXTERGORDON - DOIN’ ALLRIGHT (1961)

DEXTER GORDON - GO! (1962)

DEXTER GORDON - A SWINGIN’ AFFAIR (1962)

DEXTER GORDON - OUR MAN IN PARIS (1963)

DEXTER GORDON - GETTIN’ AROUND (1965)

DEXTER GORDON - SOMETHING DIFFERENT (1975)

JON GORDON - POSSIBILITIES (2000)

MICHELE GORI - MY JAZZ FLUTES (2008)


MICHELE GORI - FLUTE STORIES (2010)

Il flauto nel jazz. Tema ponderoso, e poi la sintesi giornalistica è sempre quella: Buddy Collette, Herbie Mann, Hubert Laws, con menzioni d’obbligo per Roland Kirk ed Eric Dolphy. Proviamo a metterla in un altro modo: E-Ray e Flute Stories sono due magnifici album di musica improvvisata a cura di altrettanti solisti italiani … visto? suona meglio, la questione si fa più lieve, pipa in radica e velluto a coste diventano orpelli, magari viene voglia di ascoltare qualche pezzo persino in spider sul lungomare …
Flute Stories - Sorretto da partner ispirati e competenti, Michele Gori si giova della genuina motivazione dei colleghi per squadernare la propria estetica in bilico tra mainstream e avventura. In un ambito strumentale tipico, il flauto di Gori è l’elemento eterodosso che dona tenui sfumature bucoliche alla modernità del contesto. La splendida, iniziale African Morning richiama le suggestive atmosfere della ECM prima maniera, disponendo l’ascoltatore in un stato d’animo assecondato anche dall’evocativa copertina del CD. I tempi sostenuti di Red & Blues e Après Minuit consentono di apprezzare l’agile tocco di Roberto Olzer (pianoforte) e la disinvoltura ritmica di Nicola Stranieri (batteria), rispettivamente impeccabili in fase di fraseggio e scansione, con Roberto Mattei (contrabbasso) nel ruolo di rifinitore armonico del combo. Nel finale, l’esuberante swing di The Tuesday Party cede il passo al mood introspettivo di September Song*, offrendo un duplice saggio di coesione espressiva e qualità personali. L’etichetta 12 Lune perpetua con onore la nobile tradizione delle “indipendenti” italiane. [P.S. - *Solo omonima dello standard di Kurt Weill consegnato all’eternità da Frank Sinatra (Point Of No Return; September Of My Years).] - B.A.


MICHELE GORI - JUST FLUTES (2011)


MILFORD GRAVES / SUNNY MORGAN - MILFORD GRAVES PERCUSSION ENSEMBLE WITH SUNNY MORGAN (1965) FOREVER YOUNG

Maestro del “free jazz”, Milford Graves è stato il primo a intuire la possibilità di una musica non basata su un ritmo regolare. Nell’album inciso insieme a Sunny Morgan egli reinventa la natura stessa della percussione, liberandola dalla schiavitù metrica ed esaltandone autonomia e compiutezza espressiva: alle prese con tamburi, piatti, gong e campane, la coppia esibisce un’ampia gamma dinamica, riflessi balenanti e un ripensamento radicale dei tradizionali ruoli degli elementi della batteria. Emblematici i “titoli” dei brani (Nothing), volti a indicare la totale assenza di forme e regole prestabilite. Splendidamente riprodotto dalla ESP, Milford Graves Percussion Ensemble With Sunny Morgan è un CD che tutti i batteristi dovrebbero tenere sotto il cuscino. [P.S. - In seguito, Andrea Centazzo, Gerry Hemingway, Pierre Favre e Bill Bruford realizzeranno progetti affini nello spirito e negli intenti (Dialogues; Tubworks; Singing Drums; A Coat Of Many Colors)]. - E.I.J. / B.A.


MILFORD GRAVES / ANDREW CYRILLE - DIALOGUE OF THE DRUMS (1974)

In seguito, Graves sembra essere tornato a prediligere il contesto puramente percussivo e, con Andrew Cyrille, ha riunito un arsenale di percussioni comprendente tamburi, campane, gong, più voce, fischio etc. (Dialogue Of The Drums). - E.I.J.


JAY GRAYDON - BEBOP (2001)

Nato come esperimento di studio per testare un macchinario progettato da un amico - per la cronaca: un registratore digitale ALESIS M20 ADAT, disegnato da Marcus Ryle - Bebop è diventato un vero e proprio album, pubblicato dalla defunta String Jazz Recordings. Chi conosce Graydon “solo” come session-man di lusso per Steely Dan, Al Jarreau o Manhattan Transfer, resterà di stucco: Jay è un improvvisatore con gli attributi e la band è all’altezza del titolare [Brandon Fields (tenore/alto); Bill Cantos (piano); Dave Carpenter (basso); Dave Weckl (batteria)]. A dispetto del titolo, alquanto roboante, la musica tende forse più a un hard-bop di scuola Blue Note, con qualche gustosa divagazione fusion. Un CD divertente, godibile per l’appassionato jazz, indispensabile per chi apprezza il Graydon produttore dei più raffinati dischi A.O.R. - B.A.


GREAT JAZZ TRIO - MONK’S MOOD (1984)

BENNIE GREEN - BACK ON THE SCENE (1958)

BENNIE GREEN - SOUL STIRRIN’ (1958)

BENNY GREEN - PRELUDE (1988)

BUNKY GREEN - VISIONS (1978)


BUNKY GREEN - PLACES WE’VE NEVER BEEN (1979) FOREVER YOUNG

BUNKY GREEN - HEALING THE PAIN (1989) FOREVER YOUNG

BUNKY GREEN - ANOTHER PLACE (2004) FOREVER YOUNG

Assegnando cinque stelle a Another Place, l’entusiasta recensore di Down Beat (Dicembre 2006) afferma a ragion veduta che “Bunky Green CDs don’t grow on trees”. Pertanto, quando si trovano, bisogna lanciarsi all’accaparramento. Virtuoso del sax alto incline alla volubilità emotiva e insofferente a una disciplina armonica troppo severa, Green è uno di quei fuoriclasse dello strumento - tipo Art Pepper, Charles McPherson, Frank Morgan - recuperati dal limbo dell’oblio in età matura grazie al generoso mecenatismo di qualche collega o ammiratore.
Places We’ve Never Been - L’organico più consono al suo idioma è il quartetto con pianoforte e sezione ritmica, sebbene sul capolavoro Places We’ve Never Been (ancora scandalosamente recluso nel vinile) egli sia affiancato in prima linea da Randy Brecker. Magnifici esempi di questa attitudine all’ambiguità espressiva si rinvengono sia sugli arrangiamenti più dinamici (East & West, Command Module, Tension & Release*), esaltati dal contributo di una band solida e motivata [Albert Dailey / Ronald Kubelik* (pianoforte), Eddie Gomez (contrabbasso), Freddie Waits (batteria)], che sulle ballad (April Green, Only In Seasons - Places We’ve Never Been), in cui gli splendidi assoli di Green e Brecker oltrepassano in continuazione il recinto dello spartito.
Healing The Pain - Ben dieci anni dopo, Green conferma la propria cifra di improvvisatore rientrando in studio con un altro combo maiuscolo [Billy Childs (pianoforte), Art Davis (contrabbasso), Ralph Penland (batteria)]. Addolorato dalla recente scomparsa di entrambi i genitori, egli elabora il lutto familiare interpretando una manciata di standard scelti sull’onda della nostalgia. Prediligere un titolo o l’altro nella struggente sequenza di “torch song” dipende quanto mai da stato d’animo e gusti personali. Noi buttiamo lì i drammatici accordi di The Thrill Is Gone, la disillusione sentimentale diffusa da Who Can I Turn To? (chi si ricorda della stupenda cover di Mark Murphy?), la maschia sensualità esibita su You’ve Changed, Everything I Have Is Yours, Goodbye. Opportunamente, Bunky si concede un paio di intermezzi ad alta velocità, con la botta di vita di Wild Life e l’impetuoso swing di Seashells.
Another Place - Per l’ennesimo ritorno bisogna attendere addirittura il 2004, quando grazie all’interessamento di Steve Coleman, vulcanico fondatore ed erudito ideologo di M-Base, l’etichetta Label Bleu mette a disposizione un superlativo trio [Jason Moran (pianoforte), Lonnie Plaxico (contrabbasso), Nasheet Waits (batteria, figlio di Freddie)] pronto ad assecondare lo stile del maestro. Il meticoloso allestimento del progetto esalta le doti ancora intatte di Green, producendo una scaletta mozzafiato: il rutilante arrangiamento dell’evergreen It Could Happen To You, la frenesia percussiva di Tune X, il bagaglio tecnico individuale al servizio dell’intesa reciproca che adorna Another Place, With All My Love, Be. L’immortale Soul Eyes, classico jazz di Mal Waldron reso celebre dalla registrazione Impulse! di John Coltrane (Coltrane), mantiene la solennità dell’originale Prestige (Interplay For 2 Trumpets And 2 Tenors), perpetuandosi in un tripudio di fraseggi vertiginosi, semitoni gemebondi, frullar di spazzole, colpi d’archetto. - B.A.


RUDRESH MAHANTHAPPA & BUNKY GREEN - APEX (2010)

GRANT GREEN - GREEN STREET (1961)

GRANT GREEN - SUNDAY MORNIN’ (1961)

GRANT GREEN - BORN TO BE BLUE (1962)

GRANT GREEN - IDLE MOMENTS (1963)

GRANT GREEN - MATADOR (1964)

GRANT GREEN - SOLID (1964)


GRANT GREEN - TALKIN’ ABOUT! (1964) FOREVER YOUNG

Dopo aver percorso la storia a ritroso fino a Jim Hall e Wes Montgomery, è tempo che i cultori di Pat Metheny e John Scofield riscoprano anche Grant Green. In particolare, proprio questo album. Green era “il” chitarrista della Blue Note, ancor più di Kenny Burrell, che pure partecipò a diverse sedute prodotte da Alfred Lion. Tra le numerose incisioni cui il nostro uomo contribuì come leader o session-man, Talkin’ About! risalta per la sublime empatia stabilita con i due partner coinvolti: Larry Young, straordinario organista che riformò l’uso della tastiera elettrica ben prima che questa diventasse voce ufficiale del progressive; Elvin Jones, infaticabile propulsore dello storico quartetto di John Coltrane, in grado di calarsi in un contesto più “convenzionale” con misura ed eleganza. Il disco si apre recapitando una dedica al grande sassofonista - Talkin’ About J.C. - lunga cavalcata modale sospinta dalle superbe improvvisazioni di Grant e Larry: la presenza di Elvin certifica il legame ideale con “Trane”. La lettura riservata alle ballad - You Don’t Know What Love Is di Gene DePaul e Don Raye; People, tratta dal musical di Jule Styne e Bob Merrill Funny Girl - denota una spiccatissima sensibilità interpretativa: il suono avvolgente del B3 carezza la melodia esposta dalla Gibson semiacustica, per poi fondersi con essa durante il fraseggio. Luny Tune sdrammatizza l’atmosfera con un tema stralunato e giocoso, su cui i solisti dapprima tergiversano, per poi scattare in tandem all’inseguimento della batteria. I’m An Old Cowhand, era un’esangue canzoncina di Johnny Mercer assurta al rango di “standard” dopo la versione di Sonny Rollins (Way Out West): grazie a un’intesa telepatica e alla scelta ponderata di ogni singola nota, anche Green e Young riescono a cavarne meraviglie. Un’analoga formula strumentale verrà ripresa in anni successivi da John Abercrombie (While We’re Young; Speak Of The Devil; Tactics) e Larry Goldings (Moonbird; As One; Sweet Science) che, con i rispettivi trii, si ispireranno proprio a classici come Talkin’ About!. - B.A.


GRANT GREEN - STREET OF DREAMS (1964)


GRANT GREEN - I WANT TO HOLD YOUR HAND (1965)

L’ennesima prova della grandezza dei Beatles: un brano firmato Lennon & McCartney dà il titolo a un disco della Blue Note. Anche questo fa di una canzone o di un autore un “classico”. - B.A.


JOHNNY GRIFFIN - INTRODUCING JOHNNY GRIFFIN (1956)

JOHNNY GRIFFIN - VOL. 2 / A BLOWING SESSION (1957)


JOHNNY GRIFFIN - THE CONGREGATION (1957)

Uno dei sax tenori più veloci del jazz. La sua immaginazione sprizza dalle sue agili dita, lanciando in aria, prodigalmente, idee a manciate. Non è un maestro delle grandi forme: i suoi assoli sono una collana di sorprese, di montanti “crescendo” di intensità e di incisivi effetti timbrici, tenuti insieme da una spaventosa energia fisica. Johnny Griffin è il prototipo del solista hard-bop. Pochi dei suoi primi album Blue Note sono ancora in catalogo (Introducing Johnny Griffin; The Congregation), ma vale la pena di cercarli, per la giovanile irruenza che li anima. L’incontro in sala di incisione con John Coltrane e Hank Mobley (A Blowing Session) ritrae il giovanotto appena arrivato a New York, smanioso di competere e deciso a imporre andature velocissime e a sfoderare la sua sicura superiorità. Griffin si dimostrò un elemento ideale per i Jazz Messengers di Art Blakey, di cui contribuì ad incrementare la carica esplosiva. L’album Art Blakey’s Jazz Messengers With Thelonious Monk è eccellente, benché atipico. - E.I.J.


HENRY GRIMES - THE CALL (1965)


DON GROLNICK - THE COMPLETE BLUE NOTE RECORDINGS (1989/1991) FOREVER YOUNG

DON GROLNICK - WEAVER OF DREAMS (1989)

DON GROLNICK - NIGHTTOWN (1991)

These are superb sessions, utilizing a starry personnel with exemplary finesse. - Richard Cook / Brian Morton

Dopo un’onorata carriera come pioniere fusion e prezioso collaboratore a fianco dei grandissimi (James Taylor, Steely Dan, Phoebe Snow, Steve Khan, John Scofield etc.), Don Grolnick decide di registrare il disco perfetto assecondando la mai sopita passione per il jazz. Assemblato un “dream team” a quattro fiati più sezione ritmica, egli coronerà il sogno di vedersi pubblicare addirittura due album dalla Blue Note, poi raccolti in un doppio CD postumo.
Weaver Of Dreams - Difficile mancare il bersaglio se hai a disposizione una prima linea condotta dai Brecker Brothers, irrobustita da Bob Mintzer (clarinetto basso) e Barry Rogers (trombone), alimentata dalla propulsione di Dave Holland (contrabbasso) e Peter Erskine (batteria). A partire dal minaccioso riff introduttivo di Nothing Personal*, ormai assurto al rango di classico, passando per la sinistra fanfara di Taglioni, ispirata a un’opera dello scultore Joseph Cornell (Taglioni’s Jewel Casket), fino all’enigmatica melodia di Persimmons, già proposta con un titolo diverso dagli Steps nel 1979 [Six Persimmons (Step By Step)], il gruppo dimostra di essere in forma smagliante. Suo malgrado al centro dell’attenzione, Michael Brecker risulta particolarmente efficace sugli standard (I Want To Be Happy, Or Come Fog), nei quali sciorina assoli spaventosi.
NightTown - Indisponibili per i troppi impegni personali Rogers, M. Brecker, Mintzer ed Erskine, il pianista fa di necessità virtù e recluta quattro sostituti eccellenti, poi decisivi per il successo del progetto: Steve Turre (trombone), Joe Lovano (sax tenore), Marty Ehrlich (clarinetto basso), Bill Stewart (batteria). Sia quel che sia - un inconsapevole spirito competitivo con i predecessori, l’intrinseco valore dei pezzi, una maggior cura negli arrangiamenti - qualcosa concorre a ottimizzare l’intesa. Non sembri una bestemmia ma, almeno in questo contesto, Stewart riesce addirittura a prevalere su Esrkine, instaurando una più proficua sintonia con Holland. Il lato oscuro del leader affiora nei tenebrosi temi di Heart Of Darkness e The Cost Of Living*, irresistibili spunti espressivi per i fraseggi di Lovano ed Ehrlich. Randy Brecker si mette in mostra su What Is This Thing Called Love, superba interpretazione ad alta velocità del celebre evergreen. Nighttown è una sofisticata ballad notturna che si rende indispensabile per i cultori di Joe Lovano, mentre Blues For Pop riepiloga la forza del collettivo lanciando a briglia sciolta i vari solisti. [P.S. - 1) Concepita sulle variazioni armoniche di Come Rain Or Come Shine. 2) *Entrambe le composizioni erano già state incise da Michael Brecker sul suo splendido esordio (Michael Brecker).] - B.A.


STEVE GROSSMAN - WAY OUT EAST VOL. 1 (1984)

STEVE GROSSMAN - WAY OUT EAST VOL. 2 (1984)

STEVE GROSSMAN - LOVE IS THE THING (1985)

GIGI GRYCE - NICA’S TEMPO (1955)

 

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