Introduzione / Introduction
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THE VOICE OF MUSIC ... LA VOCE DELLA MUSICA
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A.O.R.

C

BOBBY CALDWELL - BOBBY CALDWELL (1978)

Ripubblicato come What You Won’t Do For Love. - Per alcuni anni, negli scaffali dei negozi, il primo disco di Bobby Caldwell è stato regolarmente catalogato sotto la voce “disco-music”. In effetti, la Clouds e la T.K. Productions erano marchi specializzati nel settore. Inoltre, lo stile ingenuamente “dance” all’inizio del primo brano (Special To Me) simboleggia l’ostacolo insormontabile oltre cui il bottegaio sprovveduto e il critico somaro non si spingono mai. Sia come sia, l’inconveniente ha impedito anche ai segugi più abili di individuare un talento già maturo, in possesso di doti artistiche fuori dal comune e in grado di sfornare, con l’album d’esordio, nientemeno che What You Won’t Do For Love, quintessenza del concetto stesso di “instant classic”. Per fortuna, i meritati successi di Bobby hanno consentito il recupero di questo album, ora reperibile quasi ovunque. E allora ecco l’incontro fatale con My Flame, Can’t Say Goodbye, Down For The Third Time ... e con una voce memorabile. Da allora, in tanti abbiamo imparato a riconoscere e ad amare le copertine con il pupazzetto stilizzato e la luna sullo sfondo. - B.A.


BOBBY CALDWELL - CAT IN THE HAT (1980)


BOBBY CALDWELL - CARRY ON (1982) FOREVER YOUNG

Oggi i suoi album vendono una quantità di copie considerevole, ed egli è ormai ben più che un artista di culto. Ma nel 1982 Bobby Caldwell si affacciava timidamente sull’impegnativa ribalta dell’A.O.R. con un disco ispirato, fresco e, considerato l’ambito, persino originale. Proprio all’epoca del più deprimente conformismo espressivo, la classe straripante di Carry On impose Caldwell tra i maestri della pop-song adulta. I suoi modelli erano, allora come oggi, Stevie Wonder e Burt Bacharach da un lato, Frank Sinatra e Cole Porter dall’altro. Il massiccio uso delle tastiere (piano acustico, Rhodes, organo, sintetizzatore etc.) non appesantiva minimamente gli elegantissimi arrangiamenti, distanti anni luce sia dalla caotica rozzezza del punk che dalle patetiche velleità dei fichetti “new romantic”. L’incantevole Jamaica evidenzia un talento melodico innato e un sentimento autentico per l’isola caraibica: soffice come una brezza l’arrangiamento orchestrale di Marty Paich. Un seducente ritmo “in levare” si insinua tra le pieghe di Loving You, con i Tower Of Power che mettono in scena una splendida coreografia fiatistica stile “Basie meets Marley”. Sunny Hills aggiorna la caustiche riflessioni con cui sei anni prima gli Eagles avevano raccontato lo stile di vita californiano: cullata dal piano elettrico, la canzone si chiude con uno squisito fraseggio jazz di Steve Lukather, spuntato dallo studio accanto dove stava registrando Toto IV. All Of My Love, Words e Carry On sono gli altri episodi salienti di un disco che, insieme a The Nightfly, Angel Heart, A Hole In The Wall e Runaway ha salvato gli anni Ottanta dalla catastrofe. L’editore del sito desidera esprimere il proprio sentito ringraziamento a Steve Khan che, in una missiva del 1982, oltre a congratularsi per la vittoria dell’Italia ai Mondiali di Spagna, raccomandava caldamente l’ascolto di questo album. Lungimirante. - B.A.


BOBBY CALDWELL - AUGUST MOON (1983)

Bobby Caldwell lo conoscono in trenta in tutta Italia, ma sono trenta affezionati cultori di un caldo e sofisticato linguaggio soft, un crossover tra black e pop aperto ad altre sollecitazioni, che accomuna alcuni artisti di margine, molto bravi e quasi sempre molto sfortunati: Marc Jordan, Robbie Dupree, Pages, etc. - August Moon [è] un disco registrato nel 1983 di cui fino al 1988 non si sapeva nulla, nemmeno che esistesse. Sono canzoni che parlano d'amore, per confermarne complessità e limiti. I pezzi sono brevi, quasi tirati via, ma ci sono delle idee (Sherry; Fräulein; Saying Goodnight) che siamo contenti di non aver perduto. - Enrico Sisti

Oggi sembra un dato irrilevante, ma allora, scoprire che un album di Bobby Caldwell veniva pubblicato con 6 anni di ritardo suscitò scalpore e rabbia: come se non fosse già abbastanza difficile e costoso procurarsi quei pochi, preziosi dischi A.O.R.! Con August Moon Bobby affinava i contenuti rivoluzionari di Carry On, rubando qualche idea ai Toto (Sherry; Fräulein), interpretando uno stupendo inedito di Bill LaBounty (She Loves My Car), verniciando qualche brano con un pizzico di elettronica (Class of 69; Once You Give In), senza mai snaturare il proprio stile. Nel finale Caldwell recupera Never Loved Before, un capolavoro scritto l’anno prima per Roberta Flack (I’m The One). - B.A.


BOBBY CALDWELL - HEART OF MINE (1989) FOREVER YOUNG

Osiamo? Osiamo. Bobby Caldwell possiede un talento paragonabile a quello di Stevie Wonder. La sua capacità di produrre classici a ripetizione è prodigiosa e inesauribile. Egli sa abbinare armonie sofisticate e parole sincere, coniugando con la massima naturalezza comunicativa ed eleganza. Heart Of Mine è l’ideale sequel di Carry On e, come il capolavoro del 1982, è un disco paradigmatico e perfetto. Bobby canta e suona tutti gli strumenti, col piccolo aiuto di una sezione fiati e di alcuni specialisti [Jimmy Haslip (basso), Michael Landau (chitarre), Richard Elliot (sax)]. L’album si apre con tre ballad: Heart Of Mine, soave ode all’autocommiserazione di cui si è servito anche Boz Scaggs per annegare i propri rimpianti (Other Roads); Real Thing, passionale e romantica; Next Time (I Fall), ripresa da Peter Cetera in duetto con Amy Grant (Solitude/Solitaire). Il perfetto incastro tra i rintocchi delle tastiere e le sinuose strofe cantate hanno reso All Or Nothing At All un autentico “instant classic”, prontamente interpretato da Al Jarreau (Heart’s Horizon). Negli stessi giorni Bobby prestava voce e penna a Richard Elliot, registrando la stupenda In The Name Of Love per sé e, con un arrangiamento diverso, per il sassofonista (Take To The Skies). Even Now sublima la caratura dell’autore in una deliziosa canzone pop firmata insieme al bassista degli YellowJackets, mentre First Time trasmette l’entusiasmo del testo con un refrain brillante e cantabile. Apertamente ispirata allo stile Chicago, Stay With Me arrivò al n° 1 in Giappone proprio grazie a Peter Cetera, che la incise per la colonna sonora del film Princess From The Moon. Sospesa tra melodia pura ed echi esotici, China rinnova i fasti dell’indimenticabile Jamaica (Carry On). - B.A.


BOBBY CALDWELL - SOLID GROUND (STUCK ON YOU) (1991)


BOBBY CALDWELL - WHERE IS LOVE (1993)

Un rapido sondaggio d’opinione tra gli appassionati di A.O.R. (relativamente numerosi anche in piccoli centri di provincia) ha rivelato che Where Is Love è l’album meno apprezzato di Bobby Caldwell. Niente paura, la famigerata categoria dei “compagni che sbagliano” ha infestato anche l’ambiente musicale. Probabilmente la ragione dello spiacevole equivoco risiede in una certa omogeneità tra i due dischi precedenti (Heart of Mine; Solid Ground) e questo. Come se tre gioielli non fossero meglio di due. Bobby Caldwell scrive meravigliose canzoni d’amore con la stessa naturalezza con cui respira, e questa è “solo” una nuova raccolta di colonne sonore adatte ad ogni occasione, cantate da una voce stupenda e suonate magnificamente. Ascoltate Where is Love, Once Upon A Time, One Love, Shape I’m In, Trying Times: il consueto, brillante livello della produzione di Caldwell è riconfermato e i brani, gusti personali a parte, si equivalgono. Certo, se su Love Lite ci fosse stato un batterista vero al posto della drum-machine saremmo stati tutti più contenti: d’altra parte, dove si trovano più pezzi soul dal contenuto lirico-musicale così autentico? Le interpretazioni old-fashioned di I Get A Kick Out Of You e Don’t Worry ‘Bout Me erano state anticipate da Stuck On You (Solid Ground), ma l'estrema padronanza dello stile mostrata da Bobby ha piacevolmente sorpreso anche i fedelissimi: due orchestre vere, swing a volontà, l’omaggio a Sinatra inequivocabile ma originale, e un riscontro di pubblico tale da suggerire il progetto di un intero album dedicato al genere (Blue Condition). - B.A.


BOBBY CALDWELL - SOUL SURVIVOR (1995)


BOBBY CALDWELL - BLUE CONDITION (1996)

BOBBY CALDWELL - COME RAIN OR COME SHINE (1999)

I dividendi raccolti con l’attività della Sin-Drome vengono investiti per coronare un vecchio sogno. Smessi i panni del brillante innovatore A.O.R., Caldwell organizza un’orchestra strepitosa, si traveste da crooner e ripercorre le sacre orme di Sinatra nello studio 'A' della Capitol. Recuperando le partiture di quegli arrangiamenti storici (Nelson Riddle, Quincy Jones, Claus Ogerman etc.), Bobby interpreta un’accurata selezione di classici con la sua voce duttile e swingante (Old Devil Moon, You Got To My Head, Angel Eyes, Street Of Dreams, I Concentrate On You, Guess I’ll Hang My Tears Out To Dry, The Best Is Yet To Come etc.). L’effetto è sensazionale. - Giancarlo Mei

Approfittiamo della meritoria iniziativa di Caldwell per una comunicazione di servizio. Nello sventurato paese in cui un piduista (tessera n° 1816, fascicolo n° 625) può controllare i media e arrivare al governo, i “beni rifugio” rappresentano l’ultima chance per dormire sonni tranquilli. Ai nostri clienti suggeriamo una forma di risparmio diversificata, cui ricorrere prima che sia troppo tardi: i cofanetti di Sinatra (Capitol + Reprise) e l’integrale dei Beatles. - B.A.


BOBBY CALDWELL - PERFECT ISLAND NIGHTS (2005)

Ciao Bobby. Come stai? Scusa se ti riceviamo sulla porta, ma la casa è in uno stato pietoso: ratti in decomposizione, escrementi dappertutto e il televisore che trasmette a schermo intero il primo piano di Baget Bozzo. Ecco come siamo ridotti dopo sei anni dal tuo ultimo album. Finalmente ti sei deciso a tornare. Sappi allora che l’ascolto assiduo di Perfect Island Nights sta producendo effetti miracolosi sulla malattia e sempre più spesso gli atroci dolori causati dall’I.C.S. (Indottrinamento Collettivo Sistematico) lasciano spazio a lunghi attimi di sollievo. L’inconfondibile stile dei tuoi capolavori (Carry On; Heart Of Mine etc.) appare felicemente immutato, e un accorto uso della tecnologia dona agli arrangiamenti suoni sempre più belli e moderni. Non ci è sfuggita la tua infatuazione per la chitarra, in evidenza sull’elegante assolo di In The Afterlife, così come apprezziamo l’inedito gusto per i ritmi latini che affiora su Our Day Will Come, omaggio esplicito all’indimenticabile versione dei Carpenters (Now & Then), e su Donna, deliziosa rumba solo omonima della geniale parodia ‘bubblegum’ con cui i 10cc espugnarono le classifiche inglesi. Le stupende melodie di Can’t Get Over You, Call Me Up, Rain ed Extra Mile provano che l’ispirazione della tua penna è intatta, ma con la cover di Where Is The Love ci hai commosso fino alle lacrime: l’idea di cantarla in coppia con Deniece Williams, in ricordo dello storico duetto tra Donny Hathaway e Roberta Flack, esalta il tuo profilo di artista sensibile e appassionato. Custodiremo questa gemma inestimabile accanto all’interpretazione originale (Roberta Flack & Donny Hathaway) e a quella di Helen Reddy (I Am Woman). Un passaggio di Crazy For Your Love deve qualcosa allo spartito di Heartbreaker, scritto dai Bee Gees per Dionne Warwick, il che non toglie nulla al valore della tua canzone. Le finezze strumentali di I Need Your Love aggiornano lo spirito del blues al 2005, mentre il soave ritornello di Perfect Island Night induce un’insopprimibile brama di notti trascorse in riva al mare, sotto le stelle … a proposito, stavamo pensando a quella foto su retro del CD … due palme, un’amaca e il tramonto all’orizzonte: non avresti un posto libero da quelle parti? - B.A.


BOBBY CALDWELL - HOUSE OF CARDS (2012)

GLEN CAMPBELL - GENTLE ON MY MIND (1967)

GLEN CAMPBELL - BY THE TIME I GET TO PHOENIX (1967)

GLEN CAMPBELL - HEY, LITTLE ONE (1968)

GLEN CAMPBELL - A NEW PLACE IN THE SUN (1968)

GLEN CAMPBELL / BOBBIE GENTRY - BOBBIE GENTRY & GLEN CAMPBELL (1969)

GLEN CAMPBELL - WICHITA LINEMAN (1968)

GLEN CAMPBELL - GALVESTON (1969)

GLEN CAMPBELL - TRY A LITTLE KINDNESS (1970)

GLEN CAMPBELL - NORWOOD (1970)

GLEN CAMPBELL - THE LAST TIME I SAW HER (1971)

GLEN CAMPBELL / ANNE MURRAY - ANNE MURRAY & GLEN CAMPBELL (1971)

GLEN CAMPBELL - GLEN TRAVIS CAMPBELL (1972)

GLEN CAMPBELL - I KNEW JESUS (BEFORE HE WAS A STAR) (1973)

GLEN CAMPBELL - I REMEMBER HANK WILLIAMS (1973)

GLEN CAMPBELL - HOUSTON (I’M COMIN’ TO SEE YOU) (1974)


GLEN CAMPBELL / JIMMY WEBB - REUNION (1974) FOREVER YOUNG

Mettetevi comodi. Abbiamo cose importanti da dirvi. In un mondo nel quale chi cerca emozioni autentiche viene mortificato col Grande Fratello o assediato da orde di “animatori turistici”, c’è ancora un’oasi in cui risplendono talento, verità e bellezza. Dopo aver raccolto in un prezioso CD i primi due album di Richard Harris (The Webb Sessions 1968-1969), con questa ristampa l’australiana Raven si impone come etichetta del nuovo millennio, innalzando un presidio a difesa di chiunque desideri rigenerare il proprio spirito al riparo dall’omologazione forzata. Glen Campbell aveva già attinto al catalogo di Jimmy Webb (By The Time I Get To Phoenix, Wichita Lineman, Galveston etc.), ma il progetto del 1974, concepito con la benedizione di Jimmy Bowen, mitico produttore di Dean Martin, esaltava il magico equilibrio tra due personalità forti, complementari e predestinate all’incontro. Liquidato da qualche incosciente come un conservatore, in realtà Webb era un fine intellettuale, sempre sensibile a quello che accadeva intorno a sé e pronto a intercettare i segnali più stimolanti per rielaborarli secondo i propri canoni estetici. Al tipico gusto per le orchestrazioni di forte impatto Jimmy aggiunge un tocco di concretezza strumentale, coinvolgendo alcuni professionisti del circuito californiano e suonando egli stesso il pianoforte. Un esempio illuminante di questo approccio più “terreno” è la versione della classica Roll Um Easy di Lowell George che, assimilata da Campbell, diventa Roll Me Easy, gioioso inno all’amore donato senza riserve, laddove la versione dei Little Feat (Dixie Chicken) manteneva un tono più introverso. Quando l’A.O.R. maturato nei primi anni Ottanta non esisteva neanche - sebbene con Powerful People Gino Vannelli avesse già avviato la sperimentazione - Reunion celebrava un periodo in cui canzone d’autore, “musica leggera”, fermenti culturali e commistioni stilistiche (pop, rock, country etc.) raggiungevano una sintesi perfetta, elaborando una koinè che sarebbe sopravvissuta a “febbre”, riflusso e spille da balia. Nulla ha potuto scalfire la grazia imperitura di questi capolavori: il tema conduttore di Wishing Now, disegnato dalla chitarra acustica; la potenza del coro gospel su It’s A Sin (When You Love Somebody); l’orgoglio ferito di Adoration, che offre a Campbell lo spunto per mettere in luce le sue prodigiose doti di interprete; l’appassionata ostinazione di Just This One Time; il solenne crescendo lirico di You Might As Well Smile, che Art Garfunkel avrebbe ripreso su Watermark con un titolo diverso (Shine It On Me); la romantica timidezza di About The Ocean, scritta da Susan Webb, autrice dallo stile pressoché identico a quello del celebre fratello; e ancora, The Moon’s A Harsh Mistress, dolente omaggio a un “tòpos” della poesia universale; Ocean In His Eyes, straziante messaggio per un uomo che piange a dirotto; I Keep It Hid, mini-sinfonia animata da suggestive variazioni ritmico-melodiche, che Jimmy aveva già arrangiato per le Supremes (The Supremes Produced And Arranged By Jimmy Webb). In ogni passaggio la voce di Glen si dispiega in tutta la sua straordinaria estensione, alle prese con un repertorio evidentemente congeniale. [P.S. - La Raven ha pubblicato Reunion cambiando il titolo in Reunited, e inserendo nel CD (quasi) tutte le canzoni firmate da Webb e incise da Campell dal 1974 al 1988] - B.A.

Jimmy Webb is the best songwriter and arranger living today - possibly of all time. He marries a lyric with a melody, and a melody with a chord progression better than any writer today. Included in this album are some of the finest songs he has ever written, and the material once again ranks Jimmy among the most prolific of our contemporary songwriters. To put it simply, I enjoy singing Jimmy Webb songs because they are my kind of music. As a human being, Jimmy is a genius of our time, a great friend, and I love him. - Glen Campbell

Despite attempts in past years to arbitrarily categorize Glen Campbell’s efforts as “country” or “pop” (or any one of a number of equally cloudy adjectives) he remains an original. It is time to put generalities and contrived criticism back into politics where they belong and let talent shine: Glen Campbell stands today more than ever, in a long distinguished career, a singer for all seasons. - Jimmy Webb


GLEN CAMPBELL - ARKANSAS (1975)

GLEN CAMPBELL - RHINESTONE COWBOY (1975)


GLEN CAMPBELL - BLOODLINE (1976)

È ancora concepibile, in una bella domenica di sole, uscire in auto per godersi l’alta fedeltà dell’impianto stereo ascoltando un album prediletto dei bei tempi andati? Per convincersi che ancora ne valga la pena, i più scettici provino con Bloodline: la voce di Glen Campbell al suo acme, una memorabile pagina di Jimmy Webb, una scaletta scelta con trasporto, due produttori con gli attributi ... davvero, cos’altro serve? Reduci dall’incoraggiante esperienza di Rhinestone Cowboy, con cui l’uomo dell’Arkansas aveva riconquistato il mondo dopo i trionfi di By The Time I Get To Phoenix e Galveston, Dennis Lambert e Brian Potter insistono con quella formula vincente: il successo commerciale non verrà bissato, quello artistico dura ancora oggi. Gli arrangiamenti combinano brillantemente la pulizia sonora dell’A.O.R., la soave comunicativa del country-rock e il gusto melodico del miglior pop anni '70. Lo stato di grazia dell’interprete dona a ciascuna canzone l’intensità dei classici: The Bottom Line, amara ballad sulla fine di un amore, Baby Don’t Be Givin’ Me Up, ennesima promessa di fedeltà di un incorreggibile sottaniere, Everytime I Sing A Love Song, inno alla gioia di cantare scritto da Gloria Sklerov e Phyllis Molinary, Don’t Pull Your Love / Then You Can Tell Me Goodbye, splendido medley che abbina una strofa di Lambert & Potter al ritornello di un vecchio successo dei Casinos, Lay Me Down (Roll Me Out To Sea), quasi-standard di Larry Weiss inciso nello stesso anno anche da Barry Manilow (Tryin’ To Get The Feeling), San Francisco Is A Lonely Town, una coppia in crisi vede la disillusione subentrare alle speranze [Ben Peters firmerà anche la stupenda Don’t Give Up On Me per Dean Martin (The Nashville Sessions)]. Con la sublime Christiaan No (registrata dall’autore su El Mirage), il miracolo di Reunion si ripete in uno dei rari esempi di dedica filiale non retorica: la cadenza folk scandita dalla chitarra acustica di Fred Tackett e dalle rifiniture elettriche di Larry Carlton sottolinea il messaggio di cauto ottimismo che un padre deluso dalla propria generazione indirizza a suo figlio. - B.A.


GLEN CAMPBELL - SOUTHERN NIGHTS (1977)

GLEN CAMPBELL - BASIC (1978)

GLEN CAMPBELL - HIGHWAYMAN (1979)

GLEN CAMPBELL - SOMETHING ‘BOUT YOU BABY I LIKE (1980)

GLEN CAMPBELL - IT’S THE WORLD GONE CRAZY (1981)

GLEN CAMPBELL - OLD HOME TOWN (1982)

GLEN CAMPBELL - STILL WITHIN THE SOUND OF MY VOICE (1987)

GLEN CAMPBELL - LIGHT YEARS (1988)

BILL CANTOS - WHO ARE YOU (1995)

CAPTAIN & TENNILLE - LOVE WILL KEEP US TOGETHER (1975)

CAPTAIN & TENNILLE - POR AMOR VIVIREMOS (1976)

CAPTAIN & TENNILLE - SONG OF JOY (1976)

CAPTAIN & TENNILLE - COME IN FROM THE RAIN (1977)

CAPTAIN & TENNILLE - DREAM (1978)

CAPTAIN & TENNILLE - MAKE YOUR MOVE (1979)

CAPTAIN & TENNILLE - KEEPING OUR LOVE WARM (1980)

CAPTAIN & TENNILLE - MORE THAN DANCING (1982)

ENZO CARELLA - VOCAZIONE (1977)

CARPENTERS - (OFFERING) TICKET TO RIDE (1969)

CARPENTERS - CLOSE TO YOU (1970)

CARPENTERS - CARPENTERS (1971)

CARPENTERS - A SONG FOR YOU (1972)

CARPENTERS - NOW & THEN (1973)


CARPENTERS - HORIZON (1975) FOREVER YOUNG

L’insolenza secondo cui la musica dei Carpenters sarebbe un’antitesi del “vero” rock è una di quelle scempiaggini tutte italiane - tipiche, per capirci, di autorevoli esponenti della “stampa specializzata” come Gino Castaldo o Riccardo Bertoncelli - con cui durante l’aperitivo in terrazza ci si parla addosso fra cani, porci e “addetti ai lavori”. Questo atteggiamento fatuo e insincero - che vi esortiamo a ripudiare con un bel dito medio in erezione o, secondo l’umore, col più scomposto “gesto dell’ombrello” - ha prodotto tali e tanti danni nei lettori più indifesi per cui ancora oggi è impossibile assistere a un concerto senza ritrovarsi accanto un esagitato strafatto di canne che si dimena rovinandoci lo spettacolo. Eccessi di una sacrosanta rivolta giovanile che però, come prevedibile, avrebbero provocato la patetica reazione del “riflusso” (un altro aborto sociale). Ci risiamo … per colpa di qualche stronzo quasi tutto lo spazio della recensione è servito a pontificare contro “lor signori” … resta da dire che, oltre ad essere il miglior album dei Carpenters, Horizon è un brillante gioiello di canzoni pop incise divinamente: la voce di Karen al suo massimo splendore (Love Me For What I Am), la penna di Richard ispirata come mai prima o dopo [Only Yesterday, (I’m Caught Between) Goodbye And I Love You, Aurora, Eventide], alcune pagine d’autore scelte e interpretate con sagacia [Desperado, il classico degli Eagles scoperto prima dell’exploit di Hotel California, da raffrontare con la versione di Randy Crawford (Miss Randy Crawford); Please Mr. Postman, evergreen soul di Brian Holland già consegnato alla storia dalla cover dei Beatles (With The Beatles); Solitaire, capolavoro dell’omonimo disco registrato da Neil Sedaka negli Strawberry Studios insieme ai nascituri 10cc; un sensazionale arrangiamento diretto da Billy May di I Can Dream, Can’t I?, immortale standard di Sammy Fain]. In conclusione, attenti a chinarvi per raccogliere la saponetta … diffidate di certa gente … sono gli stessi che solo l’altro ieri definivano “fascista” Clint Eastwood, “mafioso” Frank Sinatra … e “stucchevoli” i Carpenters. - B.A.


CARPENTERS - A KIND OF HUSH (1976)

CARPENTERS - PASSAGE (1977)

CARPENTERS - MADE IN AMERICA (1981)

LYNDA CARTER - PORTRAIT (1978)


VALERIE CARTER - JUST A STONE’S THROW AWAY (1977)

Spotlighting her smooth as silk vocals and magnificent range and featuring the contributions of a supporting cast of hit-making artists, Just A Stone’s Throw Away is a funky, folksy amalgamation of emotions and survives as the artist’s signature work. - CD notes

Uma Thurman che canta come Aretha Franklin? Eccola: Valerie Carter. Il disco non ottenne il successo auspicato dalla Columbia, ma la sua musica ha salvato tanti innocenti dall’epidemia punk e dal virus MTV, risultato ben più importante. La presenza di George, Payne, Barrère e ben quattro inediti firmati da Lowell rendono l’album indispensabile per i collezionisti di cimeli dei Little Feat, che verseranno una lacrima per ogni nota di quella magica slide. La dolente melodia di Heartache celebra la grandezza di Lowell George e ne tramanda fedelmente lo spirito (un raro demo della canzone è contenuto nella ristampa CD di Thanks I’ll Eat It Here); suoni e colori western solcano Face Of Appalachia; l’eco fatata di Cowboy Angel giunge fino a The Last Chance Texaco di Rickie Lee Jones; la scia jazz diffusa da Back To Blue Some More chiude l’album con un tocco di classe. Il resto del materiale vanta un’analoga, sorprendente modernità: Ooh Child, avvolta da Bill Payne nello stesso raffinato arrangiamento con cui aveva appena orchestrato la splendida One Last Look per Robert Palmer (Some People Can Do What They Like); Ringing Doorbells In The Rain, scandita da un elegante poliritmo di stampo reggae; il torrido clima funk di City Lights, generato dal dinamismo degli Earth Wind & Fire; la falcata pop-swing di So, So Happy, ennesima felice intuizione dell’infallibile Skip Scarborough; il solenne coro gospel di A Stone’s Throw Away. Valerie, dove sei? - B.A.


VALERIE CARTER - WILD CHILD (1978) FOREVER YOUNG

Il volto di una modella e la voce di una sirena? Negli anni '70 accadeva anche questo. Dopo un esordio santificato dalla benedizione di Lowell George, la fanciulla si affida all’astuto James Newton Howard che, consapevole del potenziale a disposizione, tenta il colpo grosso rimpiazzando cappelli e collanine della vecchia immagine con un look decisamente sofisticato. In termini musicali, la svolta determina un affinamento della produzione e il ricorso a strumentisti di grido (Chuck Rainey, Victor Feldman, Jeff Porcaro, vari Toto etc.) per trattare un repertorio misto: metà originali, metà pezzi d’autore. Il ritmo sobriamente ballabile di Crazy si impenna in un elettrizzante girotondo di sintetizzatori, archi e chitarre. Da Doo Rendezvous, suadente sonetto del gallese Andy Fairweather-Low, viene 'customizzato' con un fiammante assolo di Ray Parker Jr. - Il magro bilancio sentimentale di What’s Become Of Us è compensato dal valore dell’interpretazione e dal pregiato ricamo di Jay Graydon. Un Lukather in forma smagliante rafforza la temibile minaccia di Lady In The Dark, che Valerie rivolge al caro, vecchio “male chauvinist pig” - in sintesi: «non mi fate soffrire o vi distruggo». Una pimpante sezione fiati mantiene alto lo stato di eccitazione su The Story Of Love. Lo sfigato cronico di Change In Luck è tormentato da un pensiero ricorrente: «when you got nothing to cheer about / nobody wants to cheer you up». La prodigiosa architettura che lega strofa, ritornello, inciso e parole è un’ennesima dimostrazione dell’immenso talento di Tom Snow. David Lasley propone una delle prime gemme del suo catalogo - The Blue Side - già intrisa di finezza melodica e acuta sensibilità lirica. Egli condividerà con Valerie il ruolo di corista per James Taylor. Trying To Get To You, gettonata pop-song di Eugene Record, verrà ripresa anche da Helen Reddy (Reddy). Il basso fretless, la chitarra acustica, il vibrafono, l’eco onirica dell’arrangiamento e il testo quasi psicanalitico di David Batteau immergono Wild Child in una dimensione misteriosa, che rende la canzone particolarmente affascinante. Grazie alle “menti raffinatissime” degli A&R che governano l’industria discografica, Valerie inciderà un altro album solo nel 1996. Giudicate voi. - B.A.

I still believe in the musicality of Wild Child. The songwriters such as Tom Snow, David Batteau, David Lasley and Allee Willis are still among the very best there are. I, personally, can’t listen to this album or Just A Stone's Throw Away without tears for the loss of my friend, and one of the world greatest and finest drummers, Jeff Porcaro. I think everyone did a wonderful job on this record. It was James Newton Howard’s finest album production, and though it is a departure from the first album, I’m very proud of it, and grateful to everyone who was a part of it. As far standing the test of time, I can only hope listeners will decide favorably - Valerie Carter


VALERIE CARTER - THE WAY IT IS (1996)

VALERIE CARTER - FIND A RIVER (1998)

VALERIE CARTER - MIDNIGHT OVER HONEY RIVER (2003)

FELIX CAVALIERE - FELIX CAVALIERE (1974)

FELIX CAVALIERE - DESTINY (1975)

FELIX CAVALIERE - CASTLES IN THE AIR (1979)

BILL CHAMPLIN - SINGLE (1978)


BILL CHAMPLIN - RUNAWAY (1981) FOREVER YOUNG

Autore ineguagliabile, cantante duttilissimo, collaboratore insostituibile, una delle figure chiave dell’A.O.R. - Dopo lo stupendo Single (1978), Bill si avvale ancora della preziosa supervisione di David Foster, per incidere quello che resterà il suo capolavoro e, in assoluto, uno dei più bei dischi degli anni '80. Alcuni illustri protagonisti della West Coast partecipano anche alla stesura dei pezzi. Alle parole autobiografiche che Champlin ha scritto per Runaway, Steve Lukather aggiunge la grinta dei Toto, con una robusta introduzione chitarristica che però non deve trarre in inganno: l’estrema cantabilità del primo episodio prelude a un album tutt’altro che ‘hard’. L’impronta di Kenny Loggins è inconfondibile su Take It Uptown, affettuosa modernizzazione del singoli rock‘n’roll anni '50, col delizioso sax ‘urlatore’ di Tom Scott e i superbi cori di Kenny. Non poteva mancare Richard Page, per un progetto davvero audace: firmare a quattro mani una canzone intitolata nientemeno che Satisfaction. I sofisticati accordi del Fender-Rhodes, lo schiacciasassi percussivo di John Robinson, e il “corpo a corpo” tra la voce di Champlin e la sezione fiati diretta da Jerry Hey fanno dimenticare l’irriverenza nei confronti dei “Glimmer Twins”. Without You è un’originale pop-song radiofonica, divisa in tre diverse linee melodiche, mentre One Way Ticket è l’altra parentesi dura del disco, nella quale vengono abilmente mescolate potenza sonora e cura del dettaglio. Bill mette in luce il proprio versante romantico con alcuni “lenti” di classe superiore: Sara e Gotta Get Back To Love, due finissime calligrafie soul; Tonight Tonight, liberamente tratta da My Everlasting Love, una ballad che Foster aveva scritto per il disco omonimo di Ray Kennedy (Ray Kennedy); The Fool Is All Alone, malinconico finale degno degli autori (Champlin/Foster). Per i tanti che si chiedono spesso cosa significhi quella sigla curiosa (A.O.R.) questo album potrebbe rappresentare una risposta fulminante. - B.A.


BILL CHAMPLIN - NO WASTED MOMENTS (1989)

BILL CHAMPLIN - HE STARTED TO SING (1995)

JOE CHEMAY - THE RIPER THE FINER (1981)

CHER - ALL I REALLY WANT TO DO (1965)

CHER - THE SONNY SIDE OF CHER (1966)

CHER - CHER (1967)

CHER - WITH LOVE, CHER (1968)

CHER - BACKSTAGE (1968)

CHER - 3614 JACKSON HIGHWAY (1969) FOREVER YOUNG


CHER - CHER (GYPSYS, TRAMPS & THIEVES) (1971) FOREVER YOUNG

CHER - FOXY LADY (1972) FOREVER YOUNG

CHER - HALF-BREED (1973) FOREVER YOUNG

CHER - DARK LADY (1974) FOREVER YOUNG

Dopo tante crudeltà inflitte senza misericordia, finalmente da una major arriva un’iniziativa consolante. Seppure con un ritardo intollerabile, la MCA si è decisa a ristampare (su 2 CD) quattro gioielli registrati da Cher nei primi anni Settanta. Allora la pubblicazione di un album importante rappresentava il coronamento di un’alacre attività produttiva, svolta sulla base di requisiti considerati indispensabili: repertorio firmato da autori di talento, cernita meticolosa delle canzoni individuate, arrangiamenti e strumentisti in grado di esaltare le interpretazioni. In fase di supervisione, Snuff Garrett e Al Capps combinarono con successo le innovazioni formali del rock con i codici espressivi di un genere superficialmente definito “melodico”, traendo così profitto dalla grande lezione di Jerry Wexler. The Way Of Love apre il disco del '71 con un sapiente accostamento tra la voce scura e fragorosa di Cher e l’enfasi sinfonica del brano. Per oltre 120 minuti si succedono senza interruzione versioni superlative di classici come Fire And Rain (James Taylor), The Long And Winding Road (Beatles), My Love (Paul McCartney), How Can You Mend A Broken Heart (Bee Gees), A Song For You (Leon Russell), What’ll I Do (Irving Berlin), mentre un diligente lavoro di ricerca disseppelisce tesori nascosti come Don’t Hide Your Love, If I Knew Then, Train Of Thought, It Might As Well Stay Monday (From Now On), Melody. Ragazze di provincia cresciute troppo in fretta (Dixie Girl; Carousel Man), origini mezzosangue esibite con baldanza (Half-Breed; Gypsys, Tramps & Thieves), sofferte riflessioni sentimentali (He’ll Never Know): affrontando questi temi, Cher rispediva al mittente - i giornalisti - l’accusa di essersi “imborghesita”. Un laconico biglietto di addio (This God Forsaken Day) riaccende il sottile, devastante dolore di By The Time I Get To Phoenix, stavolta raccontato con compostezza da “lei”. Piccole storie sul viale del tramonto vengono celebrate nello splendore orchestrale di Living In A House Divided e Two People Clinging To A Thread. I collezionisti non mancheranno di apprezzare due brillanti opere giovanili di futuri protagonisti A.O.R.: David’s Song (David Paich) e Make The Man Love Me (Barry Mann/Cynthia Weil) offrono un sapido assaggio di intuizioni stilistiche che, oggi metabolizzate da molti artisti di rango, allora insidiavano i tradizionali metodi creativi con passaggi imprevedibili e incastri armonici inconsueti. Collocato in mezzo a capolavori come 3614 Jackson Highway e Stars, questo poker d’assi documenta fedelmente i fasti di un’epoca in cui la musica pop era ancora una cosa seria. - B.A.


CHER - BITTERSWEET WHITE LIGHT (1973)


CHER - STARS (1975) FOREVER YOUNG

Dispiace apparire invariabilmente capziosi, eppure … nel 2007 ancora non esiste un’edizione CD di Stars. Per riascoltarlo bisogna cercare il vinile nelle bancarelle o gli mp3 su Internet. Chi ha deciso che un disco prodotto e arrangiato da Jimmy Webb meritasse questo destino infame? Fateci sapere come si chiama, dove abita, se ha un telefono. Qualcuno vada a trovarlo e gli spieghi che così non si fa. Noi ci limiteremo a pochi cenni sintetici, prima di proporre ai nostri lettori uno speciale extra-bonus* scritto da Jimmy Webb in esclusiva per Peninsula. L’introduzione è affidata a Love Enough, roboante cover orchestrale di una ballad ripresa dal primo album di Tim Moore (Tim Moore), con cui Cher scatena la propria inconfondibile voce mulatta. Scelto con passione e competenza, il resto del materiale forma una preziosa collana di perle rock: Bell Bottom Blues [Eric Clapton / Derek And The Dominos (Layla And Other Assorted Love Songs)], These Days [Jackson Browne (For Everyman)], Mr. Soul [Neil Young / Buffalo Springfield (Buffalo Springfield Again)], Rock ‘n’ Roll Doctor [Little Feat (Feats Don’t Fail Me Now)], Stars [Janis Ian (Stars)]. Il tocco del “produttore” risalta soprattutto su Just This One Time, incisa anche l’anno prima insieme a Glen Campbell (Reunion), e sulla splendida Love Hurts, intramontabile canzone dei coniugi Boudleaux e Felice Bryant. - B.A.

Stars is a beautiful record. It was Cher’s first attempt at recording some serious material by top songwriters such as Jackson Browne and Lowell George among others. Most of the material was picked by her then beau David Geffen (I will deny having said that). The public was not ready for Cher to be introspective and covering singer/songwriter material was probably a mistake.» - Jimmy Webb


CHER - I’D RATHER BELIEVE IN YOU (1976)

CHER - CHERISHED (1977)

CHER - TAKE ME HOME (1979)

CHER - PRISONER (1979)

CHER - I PARALYZE (1982)


CHICAGO - GROUP PORTRAIT (1969/1980)

Questa splendida antologia può vantare due grandi meriti: aver reso giustizia a un grande gruppo, spesso irresponsabilmente maltrattato dalla critica, e aver evitato agli appassionati di perdere la testa tra i quattordici titoli originali dei Chicago. In quattro CD è racchiuso il meglio della loro discografia su Columbia e, dopo attenta verifica, si può affermare tranquillamente che non manca nulla. - B.A.


CHICAGO - 16 (1982)


CHICAGO - 17 (1984)

Dopo un esordio straordinario - il glorioso Chicago Transit Authority, manifesto musicale del '68 - la “stampa specializzata” cominciò a inasprire progressivamente gli attacchi alla band, imputandole un presunto scollamento dalle istanze politiche che ne avevano segnato i primi passi. Fesserie. If You Leave Me Now seduce il mondo, ma offrirà ulteriori pretesti agli astiosi maccartisti nostrani. Sull’onda dell’enorme successo di Hard To Say I’m Sorry (16), la formazione allargata a Bill Champlin registrerà anche 17, album nel quale - con grande imbarazzo della critica - spiccava We Can Stop The Hurtin’. Sospinta da una poderosa ritmica post-disco, spronata dalle rabbiose pennate della chitarra elettrica e dalla micidiale sezione fiati di James Pankow, la canzone offre un superbo saggio di tecnica produttiva e ingegno musicale, in cui l’eterno “ribelle” Robert Lamm infila quel richiamo alla partecipazione più convincente di mille appelli elettorali e di tante velleitarie “protest-song”: «What has happened to our town? There’s people sleeping on the ground … Shouldn’t we try to talk that boy out of his crime … Men work jobs beneath their skills … Maybe we’d better, better get involved …». … qui il coro di Champlin imprime una virata da brivido alla linea melodica. Orbene? Dov’è il disimpegno? Chi è il qualunquista? Soprattutto, a quando un atto di contrizione da parte dei “soliti sospetti”? L’abile regia del team Foster/Gatica si avverte anche nell’arrangiamento di Stay The Night, proposta dai contenuti espliciti che riuscì a penetrare persino la coriacea resistenza delle emittenti italiane. Le due ballad A.O.R. sono assolutamente meravigliose: Hard Habit To Break, scritta da Steve Kipner, e Remember The Feeling, vetrina per un’interpretazione a voce spiegata di Peter Cetera. Bill Champlin torna in scena con Please Hold On, finezza soul-rock - firmata insieme a Lionel Richie - che fu oggetto di una curiosa manipolazione. Nel missaggio utilizzato per il Long Playing mancava una strofa, che venne sacrificata per raddoppiare il ritornello, considerato forse più “radiofonico”: in seguito a un imprevedibile ripensamento, nella ristampa CD è emersa dall’oblio la parte tagliata. Il resto del materiale - pur buono - non è all’altezza degli episodi segnalati, e tuttavia 17 è un disco da avere. - B.A.


CHICAGO - 18 (1986)

RITA COOLIDGE - RITA COOLIDGE (1971)

RITA COOLIDGE - NICE FEELIN’ (1972)

RITA COOLIDGE - THE LADY’S NOT FOR SALE (1973)

RITA COOLIDGE - FALL INTO SPRING (1974)

RITA COOLIDGE - IT’S ONLY LOVE (1975)


RITA COOLIDGE - ANYTIME ... ANYWHERE (1977)

Acquistare l’ultimo album di una cantante bella e brava. Riversarlo su una cassetta al cromo. Abbassare il tettuccio della Triumph Spitfire e uscire per una passeggiata con l’autoradio a tutto volume. Nel 1977 la buona musica era un lusso ancora disponibile, col vantaggio ulteriore e, rispetto a oggi, dirimente, che il piacere dell’ascolto durava nel tempo. Provateci adesso, con qualche tormentone usa-e-getta di MTV: se, com’è probabile, ne usciste a pezzi e voleste consolarvi, potreste sempre recuperare Anytime ... Anywhere e riscoprire l’arte perduta della pop-song di classe. Il conciso slogan del poster promozionale dissimulava un tandem ritmico d’eccellenza [Lee Sklar (basso); Mike Baird (batteria)] e una superba doppia coppia di tastiere (Booker T. Jones; Mike Utley) e chitarre (Dean Parks; Jerry McGee). Oltre all’immagine seducente, Rita Coolidge vantava una voce limpida e soave, perfetta per stilizzare gli standard e proporli in chiave A.O.R.: (Your Love Keeps Lifting Me) Higher And Higher, già nota nella versione di Jackie Wilson e rilanciata in classifica da questa cover; The Way You Do The Things You Do, poesia soul di Smokey Robinson abbellita da coretti “doo wop” e ricami elettrici; Words, immortale serenata dei Bee Gees; We’re All Alone, “instant classic” di Boz Scaggs (Silk Degrees) riletto anche da Bob James con uno spettacolare arrangiamento fusion (Heads); I Don’t Want To Talk About It, biglietto d’addio del povero Danny Whitten raccolto da Rod Stewart durante il trasloco a Hollywood (Atlantic Crossing); The Hungry Years, ennesima perla scovata nel forziere di Neil Sedaka; Who’s To Bless And Who’s To Blame, vissuta ballad recante la firma del coniuge Kris Kristofferson; Good Times, celebre pagina di Sam Cooke che, con le interpretazioni di Aretha Franklin (I Never Loved A Man The Way I Love You) e Phoebe Snow (Phoebe Snow), completa una memorabile trilogia femminile. - B.A.


RITA COOLIDGE - LOVE ME AGAIN (1978)

RITA COOLIDGE - SATISFIED (1979)

CRACKIN’ - CRACKIN’ - I (1975)

CRACKIN’ - MAKING OF A DREAM (1977)

CRACKIN’ - CRACKIN’ (1977)

CRACKIN’ - SPECIAL TOUCH (1978)


CHRISTOPHER CROSS - CHRISTOPHER CROSS (1979) FOREVER YOUNG

Abbiamo cercato di associare questo album a qualche altro esordio coevo, ma non abbiamo trovati riscontri equivalenti o analoghi. Quello di Christopher Cross è un caso unico, un episodio forse irripetibile. Un paffuto carneade con la voce da chierichetto che, in pieno marasma punk/febbre, bussa alla porta della WB e viene affidato alle cure di Michael Omartian: ascoltati i provini del debuttante, l’accorto produttore si riserva quasi in esclusiva il piano acustico, orchestra gli arrangiamenti degli archi, conferma la sezione ritmica personale di Christopher - Rob Meurer (tastiere), Andy Salmon (basso elettrico), Tommy Taylor (batteria) - e recluta gli specialisti Larry Carlton, Jay Graydon, Chuck Findley, Michael McDonald, tutti veterani delle snervanti sedute di registrazione in casa Steely Dan (compreso lo stesso Omartian) … le canzoni generate da questa felice congiunzione astrale contribuiranno in misura decisiva a salvare la specie umana dagli anni Ottanta. Una volta apprezzate sovrappensiero Say You’ll Be Mine, Poor Shirley, The Light Is On, Minstrel Gigolo, si passa al piatto forte della scaletta, cinque titoli che valgono una carriera: l’incalzante andatura di I Really Don’t Know Anymore incornicia una spontanea riflessione sugli insondabili misteri dell’amore tra i cori di Michael McDonald e lo spettacolare assolo di Larry Carlton; Spinning, sublime schermaglia sentimentale interpretata con la sirena Valerie Carter e benedetta dal flicorno di Chuck Findley; Never Be The Same, scolastica pop-song nobilitata dall’intervento di Jay Graydon; Ride Like The Wind, travolgente fuga verso il confine messicano dedicata al compianto Lowell George, un inatteso, encomiabile gesto di affetto per il leader dei Little Feat appena scomparso, contraddistinto da un testo tanto trasgressivo quanto cinematografico; Sailing, evocativa ballad che, quattro anni dopo l’omonimo inno “atlantico” di Gavin Sutherland immortalato da Rod Stewart, torna a celebrare lo spirito della vela con quel memorabile, lirico slogan (… the canvas can do miracles …) condotto dall’arpeggio della Stratocaster. Oltre a sbancare la cerimonia dei Grammy nel 1981, Christopher fu accolto alla corte di Burt Bacharach per cantare di persona e comporre la colonna sonora del film Arthur insieme a Carole Bayer Sager e Peter Allen: “instant classic” per tutte le stagioni, Arthur’s Theme (Best That You Can Do) vinse pure l’Oscar. - B.A.


CHISTOPHER CROSS - ANOTHER PAGE (1983)

GINO CUNICO - GINO CUNICO (1974)

GINO CUNICO - GINO CUNICO (1976)

 

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