|  |  A.O.R. 
 BONNIE RAITT - BONNIE
        RAITT (1971) BONNIE RAITT - GIVE
        IT UP (1972) BONNIE RAITT - TAKIN
        MY TIME (1973) BONNIE RAITT - STREETLIGHTS
        (1974) BONNIE RAITT - HOME
        PLATE (1975) BONNIE RAITT - SWEET
        FORGIVENESS (1977) BONNIE RAITT - THE
        GLOW (1979) BONNIE RAITT - GREEN
        LIGHT (1982) BONNIE RAITT - NICK
        OF TIME (1989) BONNIE RAITT - LUCK
        OF THE DRAW (1991) KENNY RANKIN - MIND
        DUSTERS (1967) KENNY RANKIN - FAMILY
        (1969) KENNY RANKIN - LIKE
        A SEED (1972) 
 KENNY RANKIN - SILVER MORNING (1974)
          KENNY
        RANKIN - INSIDE (1975) 
 KENNY RANKIN - THE
        KENNY RANKIN ALBUM (1976)  KENNY RANKIN - AFTER
        THE ROSES (1980)   Uninfausta
        massima* sentenzia che only
        the good die young 
 Kenny
        Rankin se nè andato troppo presto, ma la sua
        inestimabile eredità musicale ci ha consentito di
        resistere in unepoca contraddistinta da
        degrado (etico) e squallore (estetico). Nellideale
        quadrumvirato dei cantautori che amano il jazz, egli siede alla destra di Michael
        Franks, accanto a Ben Sidran
        e Robert Kraft.
        Con gli album della maturità (1974/1980) Kenny definisce
        il proprio stile, consistente nellinconfondibile
        amalgama timbrico attorno a cui ruotano i finissimi
        arrangiamenti fusion: una voce
        da usignolo in grado di interpretare con intensità tanto
        le pagine autografe quanto gli evergreen (antichi e
        moderni), la chitarra classica per generare, secondo le
        esigenze, un morbido arpeggio o un pizzicato ritmico,
        listintiva sagacia del connoisseur
        per assemblare scalette oculate ed eleganti.
        Particolarmente attratto dal repertorio dei Beatles, egli ne aveva già inciso
        un paio di brani nel disco del 1969 [While
        My Guitar Gently Weeps, Dear Prudence (Family)],
        entrambi tratti dal Doppio
        Bianco ma, in questo poker che segna il
        trasloco dalla Little
        David alla Atlantic,
        include le cover originalissime e memorabili di Penny
        Lane, With A Little Help From My Friends
        (antitetica ma complementare rispetto alla storica
        versione di Joe Cocker),
        Blackbird, While My Guitar Gently Weeps
        (stavolta aggiornata con la regia di Don Costa).   Esponente
        emerito della comunità A.O.R.,
        che contribuiva a promuovere rilanciando le canzoni
        scritte da colleghi in ascesa [On And On (Stephen
        Bishop), You (Bill
        Champlin)], Kenny era in grado di trarre profitto
        dalle firme di veterani e fuoriclasse disparati - la
        soave filastrocca di Pussywillows, Cat-tails (Gordon
        Lightfoot), linno libertario di People Get
        Ready (Impressions
        / Curtis
        Mayfield), il retrogusto swing di Up From The
        Skies (Jimi
        Hendrix), le atmosfere psico-soul di Creepin (Stevie
        Wonder), lindolente malinconia di Lyin
        Eyes [Eagles
        (Don
        Henley, Glenn Frey)],
        lo slancio passionale di You Are So Beautiful (Billy
        Preston), la confessione etilica di Marie (Randy
        Newman). Appropriandosi con naturalezza di preziosi
        standard come Heres That Rainy Day e When
        Sunny Gets Blue, Rankin venera da un lato i totem di Frank Sinatra (No One Cares)
        e Art
        Pepper (Living Legend),
        dallaltro le icone di Anita
        ODay (Waiter, Make Mine Blues) e Barbra
        Streisand (Simply Streisand). Oltre che sulla
        icastica, sublime Strings, la squisita cifra
        espressiva del songwriter si apprezza su tre solenni
        title-track come Silver Morning, Inside, After
        The Roses. La folta schiera di ospiti illustri
        annovera, tra gli altri, Deniece
        Williams e Michael
        Omartian 
 i CD ancora si trovano 
 fate
        presto, salvate quel che resta di questo folle 2018
        
 [P.S. - 1) *Anche titolo di un classico di Billy Joel
        (The Stranger). 2) Su
        Here In My Heart del 1997 rileggerà
        magistralmente Ive Just Seen A Face.] - B.A.
 
 KENNY RANKIN - HIDING IN MYSELF (1988)
          Come dite? State per
        mollare tutto e vi accingete a partire per unisola
        deserta? Mare, sole, frutta e crostacei? Splendido! Ma
        prima mettete in valigia almeno un CD di Kenny Rankin:
        farà da colonna sonora allozio rigenerante goduto
        sotto le palme. In particolare, suggeriamo Hiding In
        Myself, uno dei titoli più rappresentativi del
        taciturno cantautore americano. Kenny impiega ancora la
        formula con cui dal 1967 propone un serie ininterrotta di
        album personali ed eleganti: strumentisti di classe,
        repertorio scelto con gusto, fuga dalla caducità delle
        mode. La sezione ritmica composta da Lee Sklar (basso) e
        Vinnie Colaiuta (batteria) garantisce una propulsione
        fluida e potente. Intenditore sopraffino, Kenny affianca
        al proprio pregiato materiale pezzi scritti da artisti
        con cui non teme di confrontarsi. Le due cover di Marvin
        Gaye sono da antologia: 1) dalloscuro film
        blaxploitation
        diretto da Ivan Dixon - Trouble Man
        (Detective G.) - Kenny
        riprende lomonimo tema conduttore affidandolo
        allacuminata chitarra elettrica di Steve Lukather;
        2) lamore fisico che ispirò la canzone prediletta
        di Rob Fleming* - Lets
        Get It On - sboccia di nuovo nellasciutto,
        finissimo arrangiamento acustico a base di percussioni,
        contrabbasso e corde di nylon. Con versi degni di un
        poeta - «
 she moves,
        eyes follow, longing to touch, they want her so much
        
» - Jimmy
        Webb offre la sua She Moves, Eyes Follow,
        serenata perfetta per il languido stile vocale di Kenny,
        incisa anche da Jimmy nel 2005 (Twilight Of The
        Renegades). Hiding In Myself e Keep The
        Candle Burnin ribadiscono il talento di Rankin
        per la ballad sofisticata, mentre Lovin Side
        e She Knows Me Well ne risvegliano gli spiriti
        animali. Il mito di Sansone ridotto allimpotenza
        rivive nelle epiche parole di Delila - «
 oh you Delila, why did you
        cut his hair 
» - assumendo i toni
        allegorici di un risentimento tutto maschile. Se banjo e
        armonica a bocca diffondono gli echi agresti di Muddy
        Creek, su Down The Road risuona lo stupendo
        coro beat di David Crosby. [P.S. - *Protagonista del
        romanzo High Fidelity (Alta Fedeltà)] - B.A.
 
 KENNY RANKIN - BECAUSE
        OF YOU (1991) KENNY RANKIN - PROFESSIONAL
        DREAMER (1995) KENNY RANKIN - HERE
        IN MY HEART (1997) KENNY RANKIN - A
        SONG FOR YOU (2003) RASCALS - GROOVIN (1967) HELEN
        REDDY - I DONT
        KNOW HOW TO LOVE HIM (1970) HELEN
        REDDY - HELEN REDDY (1971) 
 HELEN
        REDDY - I AM WOMAN (1972)  Tom Catalano
        compilava il repertorio di Helen
        Reddy applicando un metodo consolidato e risalente,
        su per li rami, fino alle memorabili scalette
        di Sinatra: grandi canzoni,
        arrangiamenti di classe, interpretazioni sentite. In
        questo caso, linizio è affidato a un evergreen di Kenny Rankin - Peaceful
        - sulle cui royalties lautore ha costruito una
        carriera: Helen ne assimila lanelito alla quiete
        con estrema naturalezza. Presente nel primo album (I
        Dont Know How To Love Him) e inopinatamente
        assurta a inno del movimento femminista, I Am Woman
        viene riarrangiata e proposta come title-track. Disilluso
        affresco di una rapporto in crisi, This
        Masquerade imporrà il genio di Leon
        Russell allattenzione di Carpenters
        (Now & Then), Cybill Shepherd (Mad About The Boy), George
        Benson (Breezin),
        Shirley
        Bassey (All By Myself) etc.: la stupenda cover
        di Helen vale il disco. Addetto agli spartiti, Artie
        Butler mostra una spiccata sensibilità poetica firmando I
        Didnt Mean To Love You, gradita scoperta di un
        sentimento inatteso ma travolgente [diverso approccio ma
        stesso tema di Im Not In Love (The Original
        Soundtrack) e I Dont Need You
        (Adventure)]. Il
        popolare standard di Don McLean - And I Love You So
        - coglie Helen nel suo mood più romantico: amore =
        serenità. Monumento eretto da Ralph MacDonald e William
        Salter per le voci di due giganti (Roberta Flack &
        Donny Hathaway) e, insieme, anello
        mancante dellevoluzione dal soul allA.O.R.,
        Where Is The Love esalta la versatilità di Helen,
        che ne offre una versione sublime. Il solito Paul
        Williams ci commuove con la sua brama di fuga dalla pazza
        folla e le sue melodie rubate in Paradiso (What Would
        They Say?). Un insolito divertissement di Barry Mann
        e Cynthia
        Weil - The Last Blues Song - chiude in
        bellezza. Correva lanno 1972. - B.A.
 
 HELEN REDDY - LONG
        HARD CLIMB
        (1973)  Ammettiamolo: erano
        altri tempi. Il circolo virtuoso allora propedeutico alla
        realizzazione di un album oggi è considerato arcaico e,
        soprattutto, non redditizio. Quando un grande produttore
        incontrava linterprete dei suoi sogni, chiedeva il
        finanziamento alla casa discografica (lifting e cocaina
        non avevano ancora guastato lambiente), stilava con
        cura amorevole una lista di canzoni dautore cui
        attingere e reclutava i musicisti più adatti a incidere
        il materiale selezionato. Come noto, gli odierni
        responsabili A&R badano ad altri aspetti - telegenia,
        look etc. - anchessi dotati di un
        innegabile rilievo, per carità, ma che da soli non
        bastano a fare bei dischi. Per questo le ristampe della Raven sono
        così preziose. Dopo aver recuperato classici da
        isola deserta come A
        Tramp Shining e Reunion,
        letichetta australiana pesca nellinestimabile
        catalogo Capitol di Helen
        Reddy. Avvolto in un lussuoso portfolio
        fotografico di Norman
        Seeff, Long Hard Climb volò nella top-ten
        statunitense sulla scia di due singoli esplosivi: Delta
        Dawn, potente gospel dello scozzese Alex Harvey, e Leave
        Me Alone (Ruby Red Dress), micidiale ritornello pop
        (rispettivamente, 1° e 3° posto in U.S.A.). Ma
        anche gli altri brani sono eccezionali: A Bit Of OK,
        2.09 minuti di melodie e versi che recano il prestigioso
        sigillo di Peter Allen e Carole Bayer Sager; Lovin
        You, allegra variazione dixieland di John Sebastian,
        risalente ai tempi dei Lovin Spoonful; Dont
        Mess With A Woman, risoluto slogan
        femminista che ribadisce con grinta il
        messaggio di I Am Woman; The West Wind Circus,
        dramma circense narrato dal punto vista di una bambina; Until
        Its Time For You To Go, languida
        torch-song di Buffy Sainte-Marie,
        da ascoltare al lume di candela; If We Could Still Be
        Friends, struggente ballad segnata dalla classe di un
        immenso Paul Williams; The Old Fashioned Way,
        danza della nostalgia per volteggiare sulla pista da
        ballo come si faceva una volta. Serenata di rara finezza
        scritta da Ron Davies ben prima che i pionieri A.O.R. espugnassero la West
        Coast, Long Hard Climb propone uninevitabile
        sfida fra due signore della voce: dolce e sensuale la
        versione di Maria Muldaur (Maria Muldaur), più
        sofisticata quella di Helen, entrambe straordinarie.
        Brillante la supervisione di Tom Catalano. Strepitosi gli
        arrangiamenti di Al Capps e Lee Holdridge. [P.S. - 1) La Raven ha
        opportunamente abbinato due titoli - I Am Woman; Long
        Hard Climb - in uno stesso CD; 2) Nei
        credits figura il nome di Lorenzo
        7Panella, meticoloso archivista A.O.R.
        nonché apprezzato consulente di Peninsula.] - B.A.
 
 HELEN
        REDDY - LOVE SONG FOR JEFFREY (1974) HELEN
        REDDY - FREE AND EASY (1974) HELEN
        REDDY - NO WAY TO TREAT A LADY (1975) HELEN
        REDDY - MUSIC, MUSIC (1976) HELEN
        REDDY - EAR CANDY (1977) HELEN REDDY - WELL
        SING IN THE SUNSHINE (1978) HELEN
        REDDY - LIVE IN LONDON (1978) HELEN
        REDDY - REDDY (1979) HELEN
        REDDY - TAKE WHAT YOU FIND (1980) HELEN
        REDDY - PLAY ME OUT (1981) HELEN
        REDDY - IMAGINATION (1983) LEE RITENOUR - RIT
        (1981) LEE RITENOUR - RIT/2
        (1982) BRUCE
        ROBERTS - BRUCE ROBERTS (1977) BRUCE
        ROBERTS - COOL FOOL (1980) 
 DAVID ROBERTS - ALL
        DRESSED
        UP ... (1982)    Lamore è cieco. Di conseguenza,
        almeno una volta a tutti è accaduto (o potrebbe
        succedere) di farsi sedurre da una figura femminile più
        o meno popolare, sebbene non ufficialmente codificata nel
        bestiario antropologico contemporaneo: la trucida rurale*
        
 spesso dotata di forte personalità, provvista di
        vivida intelligenza ma corrotta da modelli di riferimento
        deteriori (televisione, oroscopo, dediche in diretta),
        priva delle smanie consumistiche della cugina
        metropolitana (in questo risiede parte del suo fascino),
        costei vi ha fatto riscoprire il gusto plebeo dello
        sghignazzo in pubblico, lo spasso puerile della
        barzelletta greve, un sempre più piacevole abbandono
        delle inibizioni borghesi fin quasi alle soglie del rutto
        libero fantozziano 
 tanta genuina simpatia ha però
        i suoi effetti collaterali 
 al primo giro in
        cabriolet, la fanciulla requisisce la costosa autoradio McIntosh appena
        installata per deliziarvi con le antologie di Biagio
        Antonacci, Gianluca
        Grignani e tutti
        quei cantanti con le facce da bambini e con i loro cuori
        infranti 
 annichilendo la
        vostra più intima natura per risultare credibili,
        fingerete di gradire 
 non è difficile immaginarvi
        accennare un sorriso mentre vi sanguinano le orecchie
        
 nessuno vi ha obbligato 
 ma se voleste
        recuperare in fretta e, addirittura, tentare una cauta
        manovra di persuasione, ecco il nostro consiglio pratico:
        All Dressed Up ..., il capolavoro dimenticato di
        David Roberts. Brillante autore (parole e musica)
        dellintera scaletta, in possesso di una voce
        limpida, acuta, potente, prototipo del lead
        singer adulto (Bobby
        Kimball, Tommy
        Funderburk, Jay
        Gruska etc.), David avrebbe potuto ricoprire con
        successo quel ruolo tanto nei Toto quanto nei Chicago. Il
        gigante buono Greg Mathieson
        (produzione, tastiere) cura la regia dirigendo
        personalmente la straordinaria band
        stabile (Steve
        Lukather, Jeff
        Porcaro, Mike
        Porcaro) e coordinando alcuni contributi di lusso (Jay
        Graydon, David
        Foster, Bill
        Champlin). Preludio al fulmicotone con
        limmacolato inno rock di All
        In The Name Of Love, in cui il protagonista chiede
        venia per gli inenarrabili casini commessi in preda alla
        gelosia. La memorabile Someone Like You attende
        ancora il gemellaggio con Hold The
        Line: terzine pianoforte/batteria galvanizzate
        dalla chitarra distorta, drammatico riff discendente e
        impetuoso ritornello botta-e-risposta 
 da paura!
        Forse suggestionati dal mood nostalgico e dalle armonie
        struggenti, adotteremmo Boys Of Autumn come
        perfetta colonna sonora per lestate che finisce. Too
        Good To Last è una sofisticata melodia condotta a
        tempo medio che assurge al rango di instant
        classic grazie alla splendida versione di Nielsen
        & Pearson (Blind
        Luck). Le irresistibili note del nuovo disco si
        udirono anche ai piani alti del gineceo soul: Diana Ross
        interpretò senza troppa convinzione la pur magnifica Anywhere
        You Run To (Silk Electric), Nancy Wilson
        riprese magistralmente la sontuosa ballad Midnight
        Rendezvous insieme a Ramsey
        Lewis (The Two Of Us). Solo omonima dello
        standard di Barry Mann
        e Cynthia
        Weil, Never Gonna Let You Go si segnala per lo
        stupendo intervento di Lukather, mentre i due episodi
        meno personali [Shes Still Mine (Thats My
        Girl), Another World] non inficiano il valore
        complessivo dellalbum. Esaltato dai vertiginosi
        stacchi ritmici, dal torrido fraseggio elettrico, dal
        passo marziale della batteria e dallamara storia di
        un commiato, lo spettacolare arrangiamento quasi-fusion di Wrong
        Side Of The Tracks contrassegna una delle pagine
        più significative del lessico A.O.R.
        [Lost In The Hurrah (Blue Desert), Nothin You Can Do About It
        (Airplay), The Higher You Rise (Maxus) etc.]. Sulla
        copertina, il discutibile trend estetico degli anni
        Ottanta è temperato dallironia della foto sul
        retro, che scherza col modo di dire del titolo (all dressed up with nowhere to go
        
 vestito di tutto punto senza un posto dove andare)
        
 confidiamo che, grazie al nostro suggerimento
        (canzonette di classe), non sia più il vostro caso
        
 [P.S. - Perché quando si dimise Bobby
        Kimball i Toto non reclutarono seduta stante David
        Roberts? Mistero.] - B.A.
 *©Riccardo Meloni©Eugenio
        Finardi
 
 JESS RODEN - JESS RODEN (1974) JESS RODEN - YOU CAN KEEP
        YOUR HAT ON (1976) JESS RODEN - PLAY IT
        DIRTY, PLAY IT CLASS (1977) JESS RODEN - THE PLAYER
        NOT THE GAME (1978) 
 JESS RODEN - STONECHASER
        (1980)   Con la scusa del
        titolo - Brand New Start - iniziate dalla terza
        canzone: un inebriante elisir di fine anni Settanta si
        diffonderà nella stanza, lasciandovi col rimpianto di
        cosa sarebbe stato se avessimo seguito la testa e il
        cuore (A.O.R.) invece di
        vellicare gli istinti più abietti (punk e derivati). Al
        di là dellingente valore artistico, infatti, il
        messaggio sottinteso era inequivocabile: RESISTERE SI
        PUÒ. Come? Luomo probo lo sa: bontà danimo,
        rispetto per il prossimo, un po di talento. È
        chiedere troppo? Non si direbbe, eppure 
 credeteci,
        proporre idee interessanti nel 1980 equivaleva a
        bestemmiare in chiesa. Stonechaser deve il suo
        fascino al fecondo connubio tra il retroterra europeo di
        Jess e letimo blues del linguaggio impiegato.
        Sebbene la matrice americana della musica sia evidente,
        Roden la filtra attraverso una sensibilità tutta
        inglese: pronuncia squisita (vocali sfuggenti,
        erre soppresse) e sobria compostezza delle
        atmosfere differenziano questo da altri dischi affini e
        coevi, accrescendone la nobile prerogativa di best
        kept secret. Ciascuna metà del vecchio formato in
        vinile viene affidata a un produttore dal curriculum
        prestigioso: da una parte Leon Pendarvis (Mark/Almond, Michael Franks)
        dallaltra Joel Dorn (Roberta Flack, Bette Midler,
        Leon Redbone).
        La supervisione dei due veterani brilla anche grazie al
        contributo di Rob Mounsey (tastiere), Peter Bunetta,
        Chris Parker (batteria), Neil Jason, Rick Chudacoff,
        Anthony Jackson (basso), Jeff Mironov (chitarre), Arno
        Lucas, Luther Vandross (cori). Nonostante la suddivisione
        dei compiti tra Dorn e Pendarvis, gli arrangiamenti
        conservano unomogenea eleganza formale: la grinta
        soul di Prime Time Love e Deeper In Love,
        lintrigante refrain della splendida Brand New
        Start, laccorata supplica di Believe In Me,
        gli amorosi sensi di Loving You, lintensa
        interpretazione di Bird Of Harlem, che rimanda al
        Vannelli più ispirato, il dolce ritmo ballabile di If
        Ever You Should Change Your Mind, il reggae ecumenico
        di One World, One People. Ovunque, la voce di
        Roden sfodera una consumata maturità espressiva. - B.A.
 Consulenza: Lorenzo
        7Panella 
 LINDA RONSTADT - LINDA
        RONSTADT (1971) LINDA RONSTADT - DONT
        CRY NOW (1973) LINDA RONSTADT - HEART LIKE A
        WHEEL (1974) LINDA RONSTADT - PRISONER IN
        DISGUISE (1975) LINDA RONSTADT - HASTEN DOWN
        THE WIND (1976) LINDA RONSTADT - SIMPLE
        DREAMS (1977) LINDA RONSTADT - GET CLOSER (1982) ROSIE (DAVID LASLEY / LYNN PITNEY /
        LANA MARRANO) -
        BETTER LATE THAN NEVER (1976) ROSIE (DAVID LASLEY / LYNN PITNEY /
        LANA MARRANO) - LAST
        DANCE (1977) MICHAEL
        RUFF - ONCE IN A LIFETIME
        (1984) 
 TODD RUNDGREN - SOMETHING/ANYTHING?
        (1972)   Something/Anything?
        is the double album that on its release in 1972
        established Todd Rundgren as a major force in popular
        music - a position he has yet to relinquish almost three
        decades later. His third solo album, it contains two US
        Top 20 singles, I Saw The Light and Hello
        It's Me, together with another 23 songs of
        extraordinary diversity that showcase Rundgren's talent
        as songwriter, musician, vocalist, arranger - even
        engineer. The tracks demonstrate the wide range of
        influences that were later echoed in his varied
        production activities. He covers all the stylistic bases
        with ease. From the guitar heroics of Black Maria
        to the pre-punk guitar thrash of Couldn't I Just Tell
        You. From the singer-songwriter sweetness of Marlene
        to the saccharin vitriol of It Wouldn't Have Made Any
        Difference. In isolation, these tracks have
        SOMETHING for everyone - together on this album they will
        make you wonder whether Todd Rundgren will ever do
        ANYTHING to surpass the breadth and accessibility of this
        collection. - Martin Fielding
 
 TODD
        RUNDGREN - A WIZARD A TRUE STAR (1973) 
 TODD RUNDGREN - TODD
        (1974)  Continuando a
        elaborare uninedita combinazione di hard-rock,
        soul, psichedelia e pop-song, dopo A Wizard A True
        Star Rundgren pubblica un altro album indispensabile
        - doppio come Something/Anything? - a conferma di
        unurgenza espressiva in pieno fermento. Lungo i
        quattro lati del Long Playing (17 tracce nel CD) si
        susseguono influenze e stili disparati. Lapertura
        quasi dadaista di How About A Little Fanfare? ci
        catapulta nel mondo alieno del personaggio, mentre I
        Think You Know evidenzia subito lindiscusso
        talento di un grande autore. Alterando le voci con una
        tecnica impiegata anche da Zappa e 10cc, An
        Elpees Worth Of Toons irride la folle pretesa
        di cambiare il mondo con un disco (per carità 
        niente nomi). Alcuni pezzi strumentali dallo spiccato
        sapore lisergico (The Spark Of Life; Drunken
        Blue Rooster; Sidewalk Cafe) potrebbero
        suonare datati, ma il raffronto con gli artificiosi
        revival imposti dalle mode svela una sincerità di
        accenti ben diversa. Sperimentatore ingegnoso, già
        allora Todd riusciva a ottenere un prototipo artigianale
        di batteria elettronica manipolando i ritmi pre-settati
        dellorgano Farfisa. Titolo e arrangiamento di In
        And Out The Chakras We Go (Formerly Shaft Goes Out To
        Space) tradiscono in modo palese luso di
        sostanze psicotrope (lo stesso artista ne ammetterà il
        consumo), eppure il risultato musicale è sempre
        godibile. Le sagome dei Beatles si scorgono in controluce
        su A Dream Goes On Forever, deliziosa miniatura
        pianistica che verrà ripresa sia dal vivo (Back To
        The Bars) che nel brillante esperimento
        'bossa-lounge' del 1997 (With A Twist ...). La
        straordinaria finezza melodica di Useless Begging
        risale direttamente a Bacharach, mentre Izzat Love?
        possiede il contagioso dinamismo di un singolo delle
        Supremes. Anticipando il punk di circa due anni, la
        furente carica nichilista di Heavy Metal Kids
        relega nel cassonetto quella sciagurata parodia di
        rivolta giovanile. Introdotta da un tema sinistro che
        ricorre a disturbarne la placida atmosfera
        'hippy', Dont You Ever Learn? è
        unaltra gemma del repertorio di Rundgren. Il
        vertice dellalbum è The Last Ride,
        capolavoro che vale una carriera: Donny Hathaway incontra
        Phil Spector, immagini trascendenti si fondono a echi
        metafisici, spazio, tempo e gravità si annullano in una
        ballad atipica e meravigliosa, di cui Todd proporrà
        anche una stupenda versione live (Back To The Bars).
        Un passaggio lirico di micidiale potenza ne sottolinea il
        climax emotivo: «I thought I
        knew just everything 
 but I turned away love when I
        needed it most». Lintervento di Peter
        Ponzel (sax soprano) e lassolo hendrixiano di Todd
        completano uno spettacolo memorabile. Il finale arriva
        con un brano registrato in concerto a Central Park - Sons
        Of 1984 - fiducioso inno post-'68 che scavalca Orwell
        ma approda al nuovo millennio professando un ottimismo
        ormai anacronistico: «Worlds
        of tomorrow / life without sorrow / take it because
        its yours / sons of 1984». Grazie comunque
        per averci creduto, Todd. - B.A.
 
 TODD
        RUNDGREN - INITIATION (1975) 
 TODD RUNDGREN - FAITHFUL
        (1976)    Non
        senza una certa sfrontatezza, Todd
        Rundgren elaborò una personale chiave di lettura per
        studiare i testi sacri del rock,
        guadagnandosi sul campo la promozione dal grado di
        apprendista a quello di stregone della canzone moderna.
        Selezionate con cura alcune pagine nei cataloghi di Beatles, Yardbirds, Beach Boys,
        Hendrix e Dylan, Todd ne realizzò altrettante copie
        carbone di sorprendente fedeltà (Faithful ...
        appunto). Uninguaribile abitudine
        allinconcludenza spinse la stampa
        specializzata ad accusare lartista di
        megalomania, quando invece sarebbe bastato poco per
        apprezzare la felice, stimolante provocazione
        dellalbum: Rain, Strawberry Fields
        Forever, Good Vibrations erano opere così
        perfette per cui lunica interpretazione possibile
        consisteva nel riprodurle identiche agli originali.
        Limpegno profuso nella registrazione determinò una
        somiglianza tale per cui solo un ascoltatore esperto
        riuscirebbe a distinguere le versioni di Rundgren da
        quelle autentiche (Deface
        The Music avrebbe estremizzato il
        discorso). La seconda facciata del disco conteneva nuovo
        materiale firmato da Todd e almeno quattro capolavori che
        entreranno nel suo repertorio classico: il barocco
        arpeggio acustico di Cliché; Love Of The
        Common Man, stupenda pop-song in cui brilla la
        preziosa chitarra elettrica dellautore; The Verb
        To Love, maestosa ballad ispirata al soul
        di Philadelphia; Black And White, raro esempio di
        hard intelligente. - B.A.
 
 TODD RUNDGREN - HERMIT OF
        MINK HOLLOW (1978)   Todd Rundgren
        aveva già sperimentato la registrazione in solitudine,
        sfruttando in modo pionieristico la tecnica delle
        sovraincisioni, ma Hermit Of Mink Hollow è il
        primo album in cui egli suona tutti gli strumenti
        (chitarre, tastiere, batteria, sax etc.) e canta tutte le
        parti vocali. Regista assoluto anche della parte
        produttiva, Todd si avvalse solo dellaiuto
        occasionale di Mike Young, un amico aspirante musicista,
        incaricato di premere i pulsanti per far partire i
        nastri. La leggiadria dei temi non deve trarre in
        inganno: fresco reduce dalla tumultuosa relazione con la
        modella Bebe Buell, Rundgren si ritirò in campagna per
        annegare il proprio rovello emotivo nella musica. Da
        quella dimora tranquilla e isolata, il suo talento
        spiccò il volo con canzoni sublimi, venate di
        disincantato realismo, formalmente affini a Smokey
        Robinson e ai Beatles. Amare riflessioni sullamore
        (Hurting For You) si alternano a generosi slanci
        di speranza (All The Children Sing; Fade Away).
        Le parole di Can We Still Be
        Friends potranno risultare tenere o spietate, in
        base allindole dellascoltatore, ma il senso
        di inevitabilità trasmesso dalla melodia, ciclica e
        dolente, la collocano accanto alle più preziose
        miniature degli anni '70, insieme a Imagine e Im
        Not In Love. Le successive interpretazioni di Robert Palmer, Rod Stewart, Marc Jordan e
        Wilson Bros. ne confermeranno il valore. Bag Lady
        è un lamento pianistico dedicato alle vecchiette che
        mendicano per le strade di New York: struggente il
        contrasto tra leleganza degli accordi e il sofferto
        lirismo delle parole. Ancora al piano, Todd intona Lucky
        Guy, sconsolato ritratto di un inguaribile egoista,
        con una strofa centrale in cui la chitarra fa il verso a
        Brian May. Il rimpianto di un ragazzo scappato di casa è
        espresso con grande compostezza su Too Far Gone,
        replica al maschile del classico di Lennon &
        McCartney Shes Leaving Home. Una pressante
        esortazione a intervenire contro la fame nel mondo
        riecheggia nelle sonorità lancinanti di un brano in
        stile Utopia, opportunamente intitolato Bread:
        
 save your
        regrets for the dead, but for the living / give them love
        and give them bread 
.
        Larrangiamento dei cori tocca spesso livelli di
        complessità stupefacenti. Sulla bizzarra Onomatopoeia,
        un collage di 60 effetti sonori reali rimbalza contro il
        rispettivo equivalente onomatopeico, pronunciato
        in successione da Todd. Sembra incredibile, ma cè
        ancora qualcuno che non conosce questo disco. - B.A.
 
 TODD
        RUNDGREN - BACK TO THE BARS (1978) TODD
        RUNDGREN - HEALING (1981) TODD
        RUNDGREN - THE EVER POPULAR TORTURED ARTIST
        EFFECT (1983) 
 TODD RUNDGREN - A
        CAPPELLA (1985)  Dopo aver sedotto il
        pubblico più esigente con repliche perfette di venerate
        icone rock (Faithful),
        suggestivi giochi di prestigio in studio (Hermit Of Mink Hollow)
        e unimpudente sfida ai Beatles
        (Deface The Music),
        Rundgren si cimentò con la prova più difficile. A parte
        alcuni sporadici inserti percussivi di natura incerta, A
        Cappella si regge interamente sulle sovraincisioni
        vocali di Todd. I cori fungono da arrangiamento per
        canzoni atipiche (Lost Horizon; Blue Orpheus;
        Johnee Jingo), che talora raggiungono
        leccellenza assoluta: Pretending To Care è
        diventato uno standard in grado di sopravvivere anche una
        volta decontestualizzato, come dimostrano le superbe
        versioni di Janis Siegel (Short Stories) e
        Jennifer Warnes (The Hunter); con le sue parole
        sincere e dignitose, Honest Work confuta le tesi
        sulla flessibilità molto meglio dei
        vaniloqui di qualche ex-sindacalista incapace. Votate
        Rundgren. - B.A.
 
 TODD
        RUNDGREN - 2nd
        WIND TODD
        RUNDGREN - NO WORLD ORDER
        (1993) TODD
        RUNDGREN - THE INDIVIDUALIST (1995) TODD
        RUNDGREN - WITH A TWIST ... (1997) TODD
        RUNDGREN - STATE (2013) TODD
        RUNDGREN - WHITE KNIGHT (2017) 
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