Introduzione / Introduction
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THE VOICE OF MUSIC ... LA VOCE DELLA MUSICA
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ROCK

S

SANTANA - SANTANA (1969) FOREVER YOUNG

SANTANA - ABRAXAS (1970) FOREVER YOUNG

SANTANA - SANTANA 3 (1971) FOREVER YOUNG


SANTANA - CARAVANSERAI (1972) FOREVER YOUNG

SANTANA - WELCOME (1973)

SANTANA - BORBOLETTA (1974)

SANTANA - AMIGOS (1976)

A parte l’inconfondibile “marchio di fabbrica”, i quattro titoli del periodo 1972/1976 non sono legati da un filo conduttore comune, tutt’altro, ma stanno bene insieme perché segnano il passaggio graduale e coerente dalle inedite atmosfere degli esordi (Santana, Abraxas, Santana 3) alla matura sintesi stilistica che imporrà Santana tra i classici.
Caravanserai - Il novero delle canzoni si riduce alle sole Just In Time To See The Sun, All The Love Of The Universe, Stone Flower, per lasciar spazio ai pezzi strumentali [Waves Within, Look Up (To See What’s Coming Down), Song Of The Wind, La Fuente Del Ritmo, Every Step Of The Way] che fanno di Caravanserai un capolavoro inossidabile. Introdotta dall’onirica inerzia di Eternal Caravan Of Reincarnation, la complessa alchimia di suggestioni psichedeliche, fitte trame percussive e squisiti accostamenti timbrici genera un immane scroscio sonoro che Carlos riesce a frammentare con assoli sempre ispirati e originali. Decisivo il contributo di Gregg Rolie (tastiere) e Neal Schon (chitarra) che, subito dopo le registrazioni, se ne andranno per fondare i Journey con Aynsley Dunbar e Ross Valory.
Welcome - Tipico album di transizione, stretto tra due pietre miliari e incerto tra diversi indirizzi espressivi, Welcome contiene tuttavia alcuni motivi di interesse, tra cui il fenomenale duetto con John McLaughlin (Flame-Sky), la prestigiosa presenza di Flora Purim (Yours Is The Light, Love, Devotion & Surrender), l’elegante piano elettrico di Tom Coster (Samba De Sausalito), l’immancabile sagra ritmica (Mother Africa) a cura di Michael Shrieve (batteria), Armando Peraza e José Chepito Areas (percussioni). Da procurarsi, custodire e ascoltare in abbinamento a Love Devotion Surrender, inciso nello stesso anno e cointestato a Santana e McLaughlin: al netto di sbandate mistiche, divise da infermieri e soprannomi improbabili (Devadip, Mahavishnu), è comunque un pregevole saggio a opera di eccelsi improvvisatori.
Borboletta - Una doverosa menzione per il povero Enrico Sisti che, durante la sua pregressa attività di cronista musicale, si sbracciò invano per tessere le lodi di Borboletta. Aveva ragione, il disco ha retto egregiamente la prova del tempo. Dal raffinato amalgama di influenze jazz (Aspirations, Here And Now), echi tropicali (Canto De Los Flores, Borboletta), stupendi arrangiamenti fusion (Flor De Canela, Promise Of A Fisherman) ed episodi più radiofonici (Life Is Anew, Give And Take, One With The Sun, Practice What You Preach, Mirage), affiora l’inimitabile chitarra del leader, ormai affiancato a tempo pieno dal fedele Tom Coster.
Amigos - Con l’ingresso in formazione di Greg Walker, marcantonio dotato di una splendida voce acuta molto simile a quella di Steve Winwood, i Santana schierano il loro miglior cantante di sempre, perfezionando la svolta verso una raffinata pop-song dal retrogusto esotico (Let Me, Tell Me Are You Tired, Let It Shine). Il che non impedisce al grande messicano di concepire uno standard che, oltre ogni previsione, supererà persino la fama di Samba Pa Ti: le memorabili otto note iniziali, la sublime bellezza del tema, la torrida fuga latina e il lancinante fraseggio elettrico di Europa (Earth’s Cry Heaven’s Smile) si sono ormai installati nell’immaginario collettivo dell’intero orbe terracqueo. - B.A.


SANTANA - FESTIVAL (1977)

SANTANA - INNER SECRETS (1978)

SANTANA - MARATHON (1979)

SANTANA - ZEBOP! (1981)

SANTANA - SHANGO’ (1982)

SANTANA - BEYOND APPEARENCES (1985)

SANTANA - FREEDOM (1987)

SANTANA - SUPERNATURAL (1999)

BOB SEGER - RAMBLIN’ GAMBLIN’ MAN (1969)

BOB SEGER - NOAH (1969)

BOB SEGER - MONGREL (1970)

BOB SEGER - BRAND NEW MORNING (1971)

BOB SEGER - SMOKIN’ O.P.’S (1972)

BOB SEGER - BACK IN ‘72 (1973)

BOB SEGER - SEVEN (1974)

BOB SEGER - BEAUTIFUL LOSER (1975)

BOB SEGER - NIGHT MOVES (1976)

BOB SEGER - STRANGER IN TOWN (1978)

BOB SEGER - AGAINST THE WIND (1980)

SHAKATAK - DRIVIN’ HARD (1981)

SHAKATAK - NIGHT BIRDS (1982)

SHAKATAK - INVITATIONS (1982)

SHAKATAK - OUT OF THIS WORLD (1983)

SIMON & GARFUNKEL - THE COLUMBIA STUDIO RECORDINGS 1964-1970 FOREVER YOUNG

AMBROSE SLADE - BALLZY (1969)

SLADE - PLAY IT LOUD (1970)

SLADE - COZ I LUV YOU (1972)

SLADE - SLAYED? (1972)

SLADE - OLD, NEW, BORROWED AND BLUE (1974)

SLADE - SLADE IN FLAME (1974)

SLADE - NOBODY’S FOOLS (1976) FOREVER YOUNG

SLADE - WHATEVER HAPPENED TO SLADE (1977)

SLADE - RETURN TO BASE ... (1979)

SLADE - WE’LL BRING THE HOUSE DOWN (1981)

SLADE - TILL DEAF DO US PART (1981)

SLADE - THE AMAZING KAMIKAZE SYNDROME (1983)

SPARKS - HALFNELSON / SPARKS (1971/1972)

SPARKS - A WOOFER IN A TWEETER’S CLOTHING (1972)


SPARKS - KIMONO MY HOUSE (1974) FOREVER YOUNG

SPARKS - PROPAGANDA (1974) FOREVER YOUNG

Il più inglese tra i “complessi” americani*. Puro genio spalmato lungo mezzo secolo: molti li hanno scoperti con la svolta elettronica di N° 1 In Heaven, qualcuno riuscì ad aggirare la censura che soppresse Introducing Sparks, altri continuano a prediligere le prime folli invenzioni di A Woofer In A Tweeter’s Clothing (peraltro prodotto da Todd Rundgren) o di Halfnelson … eppure, legittimi gusti personali a parte, i super-classici degli Sparks sono indubbiamente Kimono My House e Propaganda. Se il look dal vivo proponeva la combinazione più bizzarra con effetti esilaranti - un esagitato bellimbusto hippy e un impassibile travet dalle sembianze hitleriane - l’opera in studio accentuava il disorientamento audio-visivo: uno stile ibrido, zeppo di frattaglie glam, residui bubblegum, melodie brillanti, ritmi isterici, umorismo surreale, prodotto con certosina perizia da Muff Winwood e sorretto dall’eccezionale compattezza della band britannica cui si debbono i superbi arrangiamenti di entrambi gli album: prima Martin Gordon, poi Ian Hampton (basso elettrico), quasi assieme Adrian Fisher e Trevor White (chitarre), stabile il compianto Norman “Dinky” Diamond (batteria). La sequenza introduttiva di ciascun disco è da annali del rock.
Kimono My House - Il teatrale crescendo al cardiopalma che fa da ouverture a This Town Ain’t Big Enough For Both Of Us culmina nell’esplosione di un proiettile vagante, per poi deflagrare in una parossistica sparatoria funzionale allo sviluppo narrativo … è solo l’inizio … l’oggettiva bellezza di temi come Here In Heaven, Thank God It’s Not Christmas, Talent Is An Asset illustra il limpido talento musicale di Ron Mael, il quale esibisce altresì un’impagabile vena di sceneggiatore comico su Amateur Hour (consigli per seduttori alle prime armi) e Hasta Mañana Monsieur [l’imperscrutabile espressione inclusa nel testo (... kimono my house mon amour ...) distorce il titolo di un vecchio successo di Rosemary Clooney (Come On-A My House)]. Per registrare Falling In Love With Myself Again, gloriosi marchi come Gibson e Rickenbacker subiscono la dissacrante coercizione di piegarsi ai farseschi passaggi strumentali di un assurdo minuetto in ¾ [qualche anno dopo (Lil’ Beethoven), Ron Mael partorirà un’analoga I Married Myself].
Propaganda - Se possibile, la qualità artistica si affina ulteriormente. La pop-song intesa come esecuzione meticolosa e sollazzo intelligente lambisce vette raggiunte solo dai 10cc (anche Sheet Music è del 1974). Il fulmineo preludio “a cappella” di Propaganda predispone l’ascoltatore alla vertiginosa serie di capolavori in arrivo: se At Home At Work At Play, B.C., Something For The Girl With Everything travisano i concetti di riff e filastrocca mescolandoli con naturalezza, Thanks But No Thanks e Don’t Leave Me Alone With Her§ si installano nell’immaginario privato con uno spiccatissimo senso dell’eufonia, mentre le beffarde, stravaganti considerazioni su materie impegnative come guerra ed ecologia diventano, rispettivamente, Reinforcements e Never Turn Your Back On Mother Earth, due canzoni sublimi da collocare in cima al repertorio degli Sparks. [P.S. - 1) *Ron e Russell Mael sono nati e cresciuti a Los Angeles. 2) Le origini ebraiche dei fratelli fugano ogni sospetto malevolo. 3) §Solo omonima della Don’t Leave Me Alone With Her di Daryl Hall (Sacred Songs).] - B.A.


SPARKS - INDISCREET (1975) FOREVER YOUNG

Tanto tempo fa qualcuno scrisse che Indiscreet era il Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band degli Sparks. L’anonimo recensore intendeva sottolineare l’estrema originalità dell’album e, nonostante un’affermazione greve e ridondante, ci azzeccò in pieno. Per assecondare l’infallibile senso melodico di Ron Mael serviva una direzione competente ma disinibita: Tony Visconti era l’uomo ideale. Rispetto agli altri dischi del periodo 1974/1977, il suono distorto della chitarra elettrica resta in secondo piano, per lasciare spazio alle giocose tastiere di Ron, a spiritosi arrangiamenti bandistici (Get In The Swing; Looks, Looks, Looks), e a solenni quartetti d’archi (Under The Table With Her) che accentuano l’esuberante comicità dei testi. Hospitality On Parade, Tits e Without Using Hands ci ricordano che nelle canzoni degli Sparks la componente “demenziale” non va mai a detrimento della musica. L’inguaribile temperamento ‘vaudeville’ dei fratelli Mael non impediva loro di proporre scintillanti motivetti pop-rock come How Are You Getting Home?, The Lady Is Lingering e Happy Hunting Ground. La sorpresa della ristampa CD è una spettacolare versione di I Want To Hold Your Hand, prodotta da Rupert Holmes: la sofisticata rilettura orchestrale del classico dei Beatles poggia su un’intelligente manipolazione degli accordi e sulla matura interpretazione di Russell Mael. Un succulento assaggio dell’imminente, attesissima collaborazione (Big Beat). - B.A.


SPARKS - BIG BEAT (1976) FOREVER YOUNG

Ci credereste? Un album degli Sparks prodotto da Rupert Holmes! Prima che accadesse veramente l’avremmo considerata un’ipotesi demenziale. Quasi come un disco dei Gentle Giant prodotto da Barry Manilow. Vediamo. I più strampalati esponenti dell’agonizzante scena ‘glam’ collaborano con l’aristocratico autore corteggiato da Broadway, Dionne Warwick e Manhattan Transfer. Cosa aspettarsi? In realtà, come solo i grandi registi sanno fare, Rupert non interferì nei folli processi creativi di Ron Mael - e come avrebbe potuto? - limitandosi a rifinire i dettagli tecnici affinché, a fronte di arrangiamenti intenzionalmente scarni, fosse garantita la migliore qualità sonora possibile: ne scaturì un suono potente, privo di sbavature, che valorizza al massimo la coesione dell’ottima band e il falsetto, sempre straordinario, di Russell Mael. I Bought The Mississippi River, oltre che per i divertenti sproloqui del protagonista, si ricorda per il superbo rullante di Hilly “Boy” Michaels e per un effervescente assolo elettrico di Jeffrey Salen, che spinge il brano verso il suo climax. La pianola giocattolo che saltella sulla schizofrenica Confusion accentua l’effetto comico di un irresistibile, penetrante ritornello. Dissertare sul significato di canzoni intitolate Everybody’s Stupid o I Want To Be Like Everybody Else non ci porterebbe da nessuna parte, ma il successo artistico degli Sparks deriva proprio dal felice connubio tra l’esilarante nonsense dei testi e il continuo ricorso a buffi cliché musicali (Big Boy; Screwed Up; Nothing To Do; White Women). Impossibile restare fermi e zitti quando la sezione fiati introduce la “felliniana” I Like Girls. La ristampa CD contiene due inediti che sono altrettante preziose parodie (Tearing The Place Apart; Gone With The Wind). - B.A.


SPARKS - INTRODUCING SPARKS (1977) FOREVER YOUNG

Uno dei grandi misteri del secolo scorso, un autentico “best kept secret”. Il capolavoro degli Sparks, pubblicato dalla CBS dopo il divorzio dalla Island, che diventa anche il disco più raro della storia. Buon Dio, perché accadono queste cose? Per la prima volta, invece di utilizzare una band “privata”, i fratelli Mael arruolarono alcuni specialisti esterni. Il professionismo dei session-men non imbrigliò la prorompente sregolatezza di Ron e Russell che, anzi, ebbero modo di sbizzarrirsi nella personalizzazione di alcuni polverosi “topoi” espressivi: un paio di sentiti omaggi ai Beach Boys (Over The Summer; A Big Surprise), un accorato lamento blues (Girls On The Brain), uno spensierato inno all’eterna giovinezza (Forever Young), persino una spericolata incursione nel folclore cosacco (Goofing Off), in cui il connubio tra carica dissacrante e abilità strumentale raggiunge livelli eguagliati solo dai 10cc e da Zappa. Non mancano due autocitazioni stilistiche: I’m Not e Occupation vivono di un miracoloso equilibrio tra canzone pop e filastrocca per bambini. Con la frizzante melodia di Ladies, vicina ad alcune cose dei Supertramp, Ron Mael continua a sfogare la propria inguaribile ossessione per le donne. Those Mysteries chiude degnamente l’album (e la stagione più felice degli Sparks) con un ironico interrogativo sul senso della vita. In tutti gli episodi, l’esito musicale non è mai meno che superbo. [P.S. - Il CD è stato ristampato solo nel 2006, su etichetta personale degli artisti (Lil’ Beethoven), tramite riversamento digitale da una copia in vinile, probabilmente perché il master analogico risultava smarrito o indisponibile: davvero ci si può biasimare quando esultiamo per il collasso finanziario dell’industria discografica?] - B.A.


SPARKS - N°1 IN HEAVEN (1979)

SPARKS - TERMINAL JIVE (1980)

SPARKS - WHOMP THAT SUCKER (1981)

SPARKS - ANGST IN MY PANTS (1982)

SPARKS - SPARKS IN OUTER SPACE (1983)

SPARKS - PULLING RABBITS OUT OF A HAT (1984)

SPARKS - MUSIC THAT YOU CAN DANCE TO (1986)

SPARKS - INTERIOR DESIGN (1988)

SPARKS - GRATUITOUS SAX & SENSELESS VIOLINS (1994)

SPARKS - BALLS (2000)

SPARKS - LIL’ BEETHOVEN (2002)

SPARKS - HELLO YOUNG LOVERS (2006)

SPIRIT - SPIRIT (1968)

SPIRIT - THE FAMILY THAT PLAYS TOGETHER (1969)

SPIRIT - TWELVE DREAMS OF Dr. SARDONICUS (1970)

SPLIT ENZ - MENTAL NOTES (1975)

SPLIT ENZ - SECOND THOUGHTS (1976)

SPLIT ENZ - DIZRYTHMIA (1977)

SPLIT ENZ - FRENZY (1978)

SPLIT ENZ - TRUE COLOURS (1979)


BRUCE SPRINGSTEEN - THE WILD, THE INNOCENT & THE E STREET SHUFFLE (1973)

I personaggi di Springsteen vivono nella provincia americana, svolgono lavori segnati dal fischio della sirena, si fanno travolgere da amori tormentati, sono attratti dal miraggio della “terra promessa”. Eppure c’è sempre spazio per la redenzione. Rosalita (Come Out Tonight) è un inno alla fuga da quella vita: una miscela esplosiva di R&B, con accelerazioni improvvise e il sax di Clarence Clemons sempre in evidenza. Già all’epoca Bruce si avvaleva di musicisti rodati da lunghe tournée in tutti gli angoli degli Stati Uniti: David Sancious e Danny Federici (tastiere), il discusso - ma efficace - Vini Lopez (batteria) e lo stesso Clemons (tenore) formano il poderoso architrave che sostiene gli arrangiamenti (New York City Serenade; Incident On 57th Street; Kitty's Back). Un disco classico. - Antonio Ravetti Pasquali


BRUCE SPRINGSTEEN - BORN TO RUN (1975)

BRUCE SPRINGSTEEN - THE RIVER (1980)

STEALERS WHEEL - STEALERS WHEEL (1972)

AL STEWART - MODERN TIMES (1975)

AL STEWART - YEAR OF THE CAT (1976)

AL STEWART - TIME PASSAGES (1978)

ROD STEWART - SING IT AGAIN ROD (1973)

ROD STEWART - ATLANTIC CROSSING (1975)

ROD STEWART - A NIGHT ON THE TOWN (1976)


ROD STEWART - FOOT LOOSE & FANCY FREE (1977)

Grazie ai successi planetari di Reason To Believe (Sing It Again Rod), Sailing (Atlantic Crossing) e Tonight’s The Night (A Night On The Town), nel 1977 il cantante scozzese era già diventato “Rod Stewart”. Quell’anno, poco prima di svilire una nobile carriera con l’imbarazzante Da Ya Think I’m Sexy?, Rod incise un ultimo grande album che si raccomanda per la splendida ballad You’re In My Heart, accompagnata da Fred Tackett e poi assurta a inno calcistico, per il sanguigno arrangiamento dal retrogusto progressive di You Keep Me Hangin’ On e, soprattutto, per una memorabile, meravigliosa cover di (If Loving You Is Wrong) I Don’t Want To Be Right, dolorosa cronaca adulterina in chiave soul scritta da Homer Banks, Carl Hampton e Raymond Jackson, di cui Stewart si impossessa con “sospetta” naturalezza, offrendone una versione persino più espressiva delle storiche registrazioni di David Ruffin (David Ruffin) e Millie Jackson (Caught Up). L’eterna storia del poveruomo con moglie e figli a carico che tocca il fondo imbarcandosi in una relazione clandestina e senza futuro sollecita l’intensa prova vocale di Rod e l’efficace accostamento tra il piano acustico di David Foster, pioniere A.O.R. e ospite assiduo di queste pagine, e la chitarra elettrica di Steve Cropper, mitico autore di Knock On Wood, In The Midnight Hour e (Sittin’ On) The Dock Of The Bay, trasformando una canzone d’amore in un’opera d’arte. Chi ancora non la conosce, corra ad ascoltarla. - B.A.


ROD STEWART - VAGABOND HEART (1991)

STEPHEN STILLS - STEPHEN STILLS (1970)

STEPHEN STILLS - MANASSAS (1972)


STOOGES - THE STOOGES (1969)

STOOGES - FUN HOUSE (1970)

Frastuono assordante. Spirito ribelle. Vigore inesausto. C’è gente a cui questa roba piace. Chi siamo noi per sindacare certe scelte? Inoltre, se proprio si apprezza il rock ad alto voltaggio, le prime incisioni di MC5 e Stooges vantano almeno una caratteristica positiva e indiscutibile: la spontaneità. Vorremmo solo osservare che si tratta di album risalenti al biennio 1969/1970, cioè a ben sei anni prima che del punk si udisse anche il più flebile vagito. Ma allora, non paia tendenzioso un interrogativo dettato dallo sconcerto: che bisogno c’era di quel fenomeno da baraccone - chiedete a Malcolm McLaren - che ha ucciso la fantasia decretando la fine di processi autenticamente creativi come il progressive e l’A.O.R.? In altre parole, caro giovane anarco-insurrezionalista che non sei altro, non potevi goderti questa musica nella sua forma originale senza sbriciolarci i testicoli con caricature scadenti e intempestive? Come hai fatto a non accorgerti che la “new wave” era già morta e sepolta nel 1970? Eri troppo indaffarato con siringhe e cucchiaini? Lo sai che per colpa tua la “stampa specializzata” cominciò a perseguitare senza tregua chiunque sapesse suonare uno strumento e che noi dovemmo spendere una fortuna per cercare i dischi di Rupert Holmes e Bobby Caldwell in Giappone? Chi paga i danni? Forse i tuoi amici punk-a-bestia? - B.A.


STYLE COUNCIL - INTRODUCING THE STYLE COUNCIL (1983)

STYLE COUNCIL - CAFÈ BLEU (1984)

STYLE COUNCIL - OUR FAVOURITE SHOP (1985)


SUPERTRAMP - CRIME OF THE CENTURY (1974) FOREVER YOUNG

Diversi anni prima dei Pink Floyd (The Wall) e in anticipo anche sui Kinks (Schoolboys In Disgrace), i Supertramp demoliscono il sistema educativo occidentale con l’accusa lucida e circostanziata di School. Introdotta da un’armonica memore di Ennio Morricone e dall’arpeggio elettrico che si insinua in un cortile gremito di bambini, la canzone presenta al mondo il quintetto rifondato con l’arrivo di Dougie Thomson (basso), Bob C. Benberg (batteria) e John Anthony Helliwell (fiati). L’inedita sintesi di pop inglese, scorie progressive, echi jazz e dottrina Beatles è evidenziata dall’arrangiamento che, con micidiale precisione, incunea strofa e intermezzo in una portentosa fuga strumentale. Due fattori, in particolare, determineranno il successo artistico dell’album: 1) la qualità hi-fi ottenuta dal mago dei suoni Ken Scott, che superava persino i traguardi appena raggiunti da The Dark Side Of The Moon; 2) i rispettivi stili degli autori - Roger Hodgson e Richard Davies - ormai maturi e definiti. Idealista, visionario, a tratti mistico, Hodgson leva un inno alla speranza con la struggente melodia di Hide In Your Shell, per poi passare ai sogni traditi di If Everyone Was Listening e al giocoso anticonformismo della filastrocca Dreamer, ripresa nientemeno che da Renato Zero (Sgualdrina). Altrettanto sensibile, ma più concreto e sanguigno, Davies espone la propria filosofia col gagliardo R&B di Bloody Well Right, i cui stacchi ritmici vengono smussati da un elegante assolo di sax. Altrove Richard disegna romantici anti-eroi sconfitti dalla vita: un perdente irrecuperabile (Rudy) e un pazzo che, per sfuggire al manicomio, dissimula i disturbi psichici con l’istrionismo (Asylum). Crime Of The Century cala il sipario all’insegna della suspense: un colpo di scena finale ci rivela che, dietro al “crimine del secolo”, si celano i colpevoli più insospettabili … - B.A.


SUPERTRAMP - CRISIS? WHAT CRISIS? (1975) FOREVER YOUNG

I Supertramp - insieme a 10cc, Roxy Music, Al Stewart e Queen - animarono la scena britannica intorno alla metà degli anni '70, durante il passaggio dal progressive al degrado morale, tentando una strada diversa per salvare il rock dall’estinzione. A.O.R. all’inglese? Lo ammettiamo: l’espressione è balorda. Ma non è colpa nostra se i giornalisti hanno abusato per anni del linguaggio, svuotando di ogni significato anche quelle poche sigle, definizioni ed etichette dotate di una pur minima coerenza semantica. Pertanto, se parlare di “arte pop” può risultare mistificante, molto semplicemente i Supertramp a) recuperavano il piano acustico in un’epoca dominata dalla grancassa assillante della “disco” e dalle chitarre scordate del punk; b) continuavano a credere nel potere della melodia proprio mentre la stampa perseguitava Paul McCartney per le sue Silly Love Songs; c) esibivano come membro stabile della formazione addirittura un fiatista, dal gusto molto retrò (John Anthony Helliwell). La band era guidata da un tandem di autori fuori dal comune: Richard Davies, splendida voce sottilmente gutturale e agilissime dita honky-tonk; Roger Hodgson, indole tormentata, voce quasi fanciullesca, un vero asso con chitarre e tastiere. Dopo un disco da “isola deserta” come Crime Of The Century, il nuovo album è annunciato da una copertina geniale, realizzata ancora dal grande Fabio Nicoli. Per individuare affinità e differenze tra lo stile di Hodgson e quello di Davies si raffrontino, rispettivamente, Easy Does It e Sister Moonshine, radiose e cantabili, con Ain’t Nobody But Me e Another Man’s Woman, trainate da una vigorosa spinta ritmica. Analogo criterio ludico-cognitivo può applicarsi a Lady (Hodgson), scandita dall’impeto percussivo del Wurlitzer, e Poor Boy (Davies), calata in un’atmosfera swing artefatta eppure credibile, anche grazie all’elegante assolo di clarinetto. Su A Soapbox Opera, l’inclinazione drammaturgica di Hodgson è sottolineata da un magnifico arrangiamento orchestrale di Richard Hewson. Intonata in coppia da Roger e Richard, Just A Normal Day è una languida ballad culminante in un luminoso intervento al sax soprano di Helliwell. Fa male osservare quanto il titolo - Crisis? What Crisis? - si attagli perfettamente alle capacità di discernimento degli italiani. - B.A.


SUPERTRAMP - EVEN IN THE QUIETEST MOMENTS (1977)


SUPERTRAMP - BREAKFAST IN AMERICA (1979)

Crime Of The Century e Crisis? What Crisis? sembravano fatti apposta per lanciare su un mercato non ancora drogato di TV una musica costruita su scritture complesse - ma non contorte - e grandi spazi per il virtuosismo. Ai Supertramp, inglesi, raffinati e ribelli in egual misura, competeva quel settore mediano fra progressive e pop-song cui ambivano, facendo però ricorso a un maggior quoziente di creatività e ironia, anche i 10cc. Breakfast In America iniziava come un disco dei Genesis e proseguiva secondo gli estri pianistici di Roger Hodgson e Richard Davies, ai quali era affidato il compito di scandire il vorticoso ritmo di canzoni allegre, spiritose, radiofoniche, mai banali, composte ma anche un po’ folli. Alcune sono diventate dei classici (Goodbye Stranger, Breakfast In America, Take The Long Way Home). The Logical Song arrivò in quel limbo dal quale cento motivi definiscono un’epoca. La spavalda eccentricità che la band seppe mostrare e "controllare" in occasione di questo album suona fresca ancora adesso, e se a qualcuno venisse in mente di riempirci una cassetta, accostandoli ai 10cc di Bloody Tourists, chi mai potrebbe dargli torto? - Enrico Sisti


SWING OUT SISTER - IT’S BETTER TO TRAVEL (1987)

SWING OUT SISTER - KALEIDOSCOPE WORLD (1989)

SWING OUT SISTER - GET IN TOUCH WITH YOURSELF (1992)

 

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