Introduzione / Introduction
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THE VOICE OF MUSIC ... LA VOCE DELLA MUSICA
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PROGRESSIVE

A-B

ACQUA FRAGILE - ACQUA FRAGILE (1973)

ACQUA FRAGILE - MASS MEDIA STARS (1974)

AKTUALA - AKTUALA (1973)

AKTUALA - LA TERRA (1974)

ALPHATAURUS - ALPHATAURUS (1973)

IAN ANDERSON - WALK INTO LIGHT (1983)


AREA - ARBEIT MACHT FREI (1973) FOREVER YOUNG

Il disco, equilibrata sintesi di culture musicali eterogenee, metteva in risalto la loro marcata impronta politica. - G.E.R.

Quando si parla di “flessibilità”, per zittire sicofanti e tirapiedi di turno (Brunetta, Martino, Sacconi etc.) basterebbe esibire la copertina del primo album degli Area e suonarne la musica ad alto volume. Gli argomenti affrontati vibrano ancora oggi di una stringente attualità, con la differenza che allora il “movimento” era ispirato da passioni autentiche e non da una deleteria tendenza emulativa. Resta il fatto che un disco così carico di riflessioni politiche e sociologiche è anche straordinario dal punto di vista artistico e a distanza di trent’anni sancisce il primato degli Area nell’ambito della fiorente scena europea, collocandoli accanto ai gruppi più originali e maturi dell’epoca (King Crimson, Gentle Giant, Matching Mole, Hatfield And The North etc.). L’introduzione è memorabile: una donna recita alcuni versi in arabo, un attimo prima che si scateni la melodia bellicosa e levantina di Luglio, Agosto, Settembre (Nero). Dal punto di vista strumentale, oltre agli splendidi assoli di Patrizio Fariselli (tastiere) Arbeit Macht Frei si giova della presenza di Eddy Busnello, ottimo sassofonista che abbandonerà il gruppo subito dopo l’esordio, ma che con il suo stile istintivo e sanguigno dona ai brani un’indomita vitalità. L’agguerrita formazione disegna linee nevrotiche e irregolari, mentre Demetrio Stratos si abbandona a oscenità vocali degne di un invasato: definire “cantante” uno sperimentatore così instancabile è veramente riduttivo. La specificità italiana - tuttora apprezzata dai cultori del progressive in tutto il mondo - giustifica un rigurgito di sano patriottismo. Forza, Italia! - B.A.


AREA - CAUTION RADIATION AREA (1974) FOREVER YOUNG

AREA - CRAC! (1975) FOREVER YOUNG


AREA - REVOLUTION (1973/1975) FOREVER YOUNG

Un altro successo editoriale della Comet, etichetta che sa recepire e appagare i desideri reconditi dei collezionisti più esigenti. Revolution è un prezioso scrigno che racchiude i primi tre album in studio (Arbeit Macht Frei; Caution Radiation Area; Crac!) e l’ottimo live Are(A)zione: interessante il libretto con le analisi storico-musicali di Massimo Villa, lussuose le confezioni dei singoli CD, politicamente schierata la copertina del cofanetto, peraltro in linea con l’approccio “militante” della band. Leggete cosa scrivono degli Area nella prestigiosa Gibraltar Encyclopedia Of Progressive Rock: «These guys are great! […] No one sounds like Area and no one ever will. They use fast, intricate, overlapping rhythms and their vocalist alternatively howls, whines, growls, moans and yodels (occasionally he even sings!). The singing is in Italian so I have no idea of what he's saying, but the singing style makes me wish I did.». Drizziamo la schiena: c’è un “Made in Italy” di cui possiamo andare fieri. - B.A.


AREA - MALEDETTI (1976)

Chi fosse abituato ad apostrofare gratuitamente i dissidenti con l’accusa di “bieca esterofilia”, dovrebbe spiegare la presenza, in questo sito, di un gruppo italianissimo come gli Area. Aspettiamo anche di essere illuminati su un fenomeno apparentemente singolare: a parte gli exploit mondani di Pavarotti e Bocelli, la nostra musica nel mondo è ricordata per Vivaldi, Modugno e O Sole Mio. Quale sarà mai, dunque, il motivo per cui un gruppo così legato agli anni '70 come gli Area continua ad essere rispettato e ammirato anche dal pubblico straniero, in mercati discografici smaliziati come Giappone, U.S.A., Regno Unito e Germania: forse la qualità? Ultimo album inciso dalla formazione storica degli Area, Maledetti è un piatto carico di sapori forti: l’estremismo vocale di Demetrio Stratos (Evaporazione); una convulsa improvvisazione di Fariselli su un fondale jazz-rock (Scum) in cui si intravedono le sagome di Frank Zappa e Cecil Taylor; un nuovo inno dai provocatori accenti politici (Gerontocrazia); una complicata pagina “progressive” (Giro, Giro, Tondo). La varietà stilistica del disco è evidenziata da due episodi - Diforisma Urbano e Caos (Parte Seconda) - che si avvalgono, rispettivamente, del contributo di una poderosa ritmica funky (Hugh Bullen; Walter Calloni) e di due esponenti dell’avanguardia radicale (Steve Lacy; Paul Lytton). - B.A.


ARTI + MESTIERI - TILT (1974)

C’è stato un momento in cui anche la musica italiana ha prodotto opere di valore, per le quali - tramite Internet - vengono tuttora espressi apprezzamenti incondizionati in ogni lingua. Gli Arti + Mestieri non ottennero lo stesso successo di gruppi più celebri (Orme, Banco del Mutuo Soccorso, PFM etc.), e tuttavia instillarono nuova linfa in un genere allora prossimo al declino: l’idioma fusion, adottato a discapito delle tradizionali influenze classiche, veniva arricchito dal gusto per melodie di sapore mediterraneo (Gravità 9,81; Corrosione; Positivo/Negativo; Articolazioni) e per i tempi dilatati del Davis elettrico (In Cammino). A giudizio unanime degli appassionati, trascinatore e leader della band era Furio Chirico, super-virtuoso dei tamburi che, in una torrida notte dell’estate 2002, durante una memorabile performance solitaria - chiosata da pertinenti accenni alla gloriosa stagione del progressive - entusiasmò il pubblico presente in Piazza Duca d’Acquaviva, ad Atri (TE), ostentando un’abilità tecnica intatta e un look giovanile a metà tra Hugh Jackman e Robert Carlyle, effetto della miracolosa forza rigenerante della musica. Tilt contiene diversi spunti stilisticamente pregevoli e, per chi ama la batteria, è un album indispensabile. Il successivo Giro Di Valzer Per Domani è il disco della maturità. - B.A.


ARTI + MESTIERI - GIRO DI VALZER PER DOMANI (1975)

Lo stile è sempre un rock-jazz non privo di agganci con quello della miglior Mahavishnu Orchestra, ma i brani di questo Giro Di Valzer Per Domani sono decisamente più "sentiti", più vivi di quelli presenti in Tilt. La fase puramente tecnica è ormai superata e il gruppo cerca di smussare gli angoli della propria musica, migliorando la sostanza anche a scapito della perfezione formale. I momenti più significativi sono Saper Sentire, Sagra, Valzer Per Domani, Consapevolezza Parte 1: inutile sottolineare la preparazione dei musicisti e, in particolare, dell’eccezionale batterista Furio Chirico. - Mauro Eusebi


ARZACHEL (URIEL) - ARZACHEL (1969)


ATOMIC ROOSTER - ATOMIC ROOSTER (1970)

L’organo di Crane è influenzato da Brian Auger, la formazione a tre elementi è tipica del periodo, così come lo stile - a metà tra il rock dei Cream e il progressive di Emerson, Lake & Palmer - mancano però quasi del tutto le istanze sinfoniche, ed è un bene, perché la musica rimane, almeno all’inizio, su alti livelli di tensione emotiva. - Cesare Rizzi

Il mondo prima di Emerson, Lake & Palmer. In termini di popolarità, gli Atomic Rooster non reggono il confronto con Nice (Keith Emerson) e King Crimson (Greg Lake), ma la militanza nella band di Vincent Crane consentì a Carl Palmer di sviluppare il proprio stile in un contesto proficuo e stimolante. La dimestichezza di Crane con l’ampia gamma timbrica dell’organo Hammond si traduce in una pioggia ininterrotta di splendidi suoni 'vintage', il basso di Nick Graham è potente, a tratti la sua voce ricorda quella di Roger Daltrey (Banstead) e la batteria di Palmer - già inconfondibile - trova un equivalente sportivo nella racchetta di Boris Becker, l’eleganza di una farfalla e la forza di un bisonte. Momenti topici: Friday The 13th, mini-classico dell’epoca; un’originale cover di Broken Wings, scritta da John Mayall; la buriana percussiva che infuria su Decline And Fall. Impeccabile la ristampa CD della Comet. - B.A.


AUDIENCE - THE HOUSE ON THE HILL (1971)


KEVIN AYERS - JOY OF A TOY (1969)

L’infanzia al seguito del patrigno, ufficiale britannico in Malesia, lo segnerà per sempre, infondendogli un’insopprimibile passione per sole, spiagge e dolce vita. Le sue doti distintive - una languida voce baritonale, lo stile in bilico tra pop e avanguardia e l’innato contegno aristocratico - ne fecero un curioso ibrido hippie-dandy. Tuttavia, al netto di talune indolenze, idiosincrasie e ingenuità espressive, in ciascun album di Kevin Ayers è possibile cogliere qualche perla. Joy Of A Toy rimane forse il suo lavoro più rappresentativo, nobilitato dalle rifiniture orchestrali del fedele David Bedford, dalla batteria di Robert Wyatt e da un’ispirazione ancora memore dei Soft Machine (The Soft Machine): proprio a quello storico esordio risale la prima versione di una filastrocca firmata da Ayers, qui ulteriormente stravolta in chiave dadaista (Joy Of A Toy Continued). Intrise di fragranze psichedeliche e pura poesia, le quattro stupende ballad evocano, rispettivamente, una giornata uggiosa (Town Feeling), un’incantevole fanciulla in altalena (Girl On A Swing) e due misteriose figure femminili appena reduci da un tè con Eleanor Rigby e Lady Jane [Eleanor’s Cake (Which Ate Her); The Lady Rachel*]. Il gioiello dell’album, Song For Insane Times, aggrega i Soft Machine del biennio 1968/1969 (Ayers, Wyatt, Ratledge, Hopper) per un inconsueto capolavoro in equilibrio tra jazz, progressive e canzone d’autore: il microfono perfora la diafana trama elettro-acustica emettendo un timbro che ai cinefili potrebbe ricordare Donald Sutherland. [P.S. - *La ristampa CD della Harvest contiene anche la versione integrale dello splendido arrangiamento inciso da David Bedford nel 1972.] - B.A.


KEVIN AYERS - SHOOTING AT THE MOON (1970)

KEVIN AYERS - WHATEVERSHEBRINGSWESING (1972)

KEVIN AYERS - BANANAMOUR (1973)

KEVIN AYERS - THE CONFESSIONS OF DR. DREAM (1974)

KEVIN AYERS - SWEET DECEIVER (1975)

KEVIN AYERS - ODD DITTIES (1976)


KEVIN AYERS - YES WE HAVE NO MAÑANAS ...
SO GET YOUR MAÑANAS TODAY (1976)

Uno degli ultimi, innati, autentici dandy è scomparso qualche settimana fa (18 Febbraio 2013), a soli 68 anni, spirando nel sonno a Montolieu, seconda dimora mediterranea dopo Deià, ove custodiva i ricordi dell’infanzia in Malesia e trovava quel che non poteva offrirgli la natìa Inghilterra. I disperati tentativi di farne un divo pop - prima ci provò la Harvest, poi la Island - continuavano a fallire dinanzi alla congenita indolenza di un artista insofferente a riti e obblighi dello show-biz. La carriera individuale, intrapresa per inerzia dopo una perplessa ma decisiva partecipazione all’esordio discografico dei Soft Machine, produrrà una dozzina di album graziosi, leggeri, discontinui, ma che serbano sempre almeno una o due gemme ciascuno. Rispetto ad altri, Yes We Have No Mañanas ... So Get Your Mañanas Today vanta una maggiore consistenza della scaletta e almeno sette canzoni sono degne di nota. Assecondato da una band in cui brillano tre esponenti del rock più vintage e meno compromesso - Ollie Halsall (chitarra) dei Patto, Rob Townsend (batteria) dei Family, Richard “Charlie” McCracken (basso elettrico) dei Taste, Kevin Ayers intona un pugno di ritornelli tanto frivoli quanto irresistibili: il gospel corale di Star, l’astiosa filastrocca di Mr. Cool, le vetuste atmosfere di Ballad Of Mr. Snake recapitano altrettanti, sottintesi strali al cinismo e all’incompetenza dei traffichini A&R (chi mai poteva sognare che trent’anni dopo Internet ne avrebbe propiziato il trasloco all’ospizio dei poveri?), mentre gli orecchiabili refrain di Love’s Gonna Turn You Around e The Owl, l’ode per pianoforte e voce di Yes I Do, gli echi caraibici di Everyone Knows The Song, il delizioso arrangiamento di Falling In Love Again - obsoleto standard di Friedrich Hollaender e Reginald Connelly - esibiscono il languido romanticismo dell’interprete. Pochi giorni prima di morire aveva lasciato una delle sue chitarre presso il caffè di Montolieu che frequentava, allegandovi un biglietto autografo: «celui qui veut jouer joue» … per chiunque voglia suonarla … grazie e addio, Kevin … - B.A.


KEVIN AYERS - RAINBOW TAKEAWAY (1978)

KEVIN AYERS - THAT’S WHAT YOU GET BABE (1980)


KEVIN AYERS - DEIÀ ... VU (1980)

Inciso in studio con musicisti locali durante il soggiorno a Maiorca, Deià ... Vu deve la storpiatura del titolo proprio al nome del mitico villaggio (Deià) in cui Kevin si era trasferito per seguire le tracce del poeta Robert Graves. Il peculiare amalgama di ironia e romanticismo è evidente sin dai titoli: Champagne And Valium, gustoso blues ipocondriaco, Thank God For A Sense Of Humour e Be Aware Of The Dog, filastrocche agrodolci da ascoltare oziando su una spiaggia deserta. Bella la versione reggae della classica Lay Lady Lay di Bob Dylan. Alle sedute partecipò anche Ollie Halsall (My Speeding Heart), formidabile chitarrista dei Patto e fraterno amico di Ayers. Il languido baritono di Kevin è sempre emozionante, anche se dalle canzoni traspare un cronico cedimento al disimpegno creativo: distratto dagli agi di una “dolce vita” ricercata con ostinazione, egli ormai considerava il rock un interesse residuale. Pubblicato in edizione limitata, il Long Playing divenne immediatamente un oggetto di culto per collezionisti. La ristampa CD dell’etichetta iberica Blau colmò la lacuna solo in parte: dal 1998 l’album sembra scomparso e per trovarlo conviene tentare una ricerca recandosi sull’isola o telefonando a qualche negozio di Palma. - B.A.


KEVIN AYERS - DIAMOND JACK AND THE QUEEN OF PAIN (1983)

KEVIN AYERS - AS CLOSE AS YOU THINK (1986)

KEVIN AYERS - STILL LIFE WITH GUITAR (1992)


BACK DOOR - BACK DOOR (1972) FOREVER YOUNG

CDLPQuelle pecore che vagolano nella brughiera innevata sono silenti depositarie di una storia bellissima, per quanto ignota ai più. Tutto comincia quando Colin Hodgkinson (basso elettrico) e Ron Aspery (alto/soprano; flauto) decidono di scappar via dalla pazza folla londinese per rifugiarsi a Redcar, tranquilla cittadina distesa tra i ventosi pascoli dello Yorkshire e affacciata sul Mare del Nord. Nella vicina Middlebrough viene reclutato il batterista Tony Hicks. Nascono i Back Door, singolare complesso undeground che si esibisce regolarmente tra le vetuste mura del Lion Inn, un antico, appartato pub presso Blakey Ridge. I concerti del trio destano sensazione e, poco a poco, inizia a spargersi la voce che in una vecchia osteria di provincia si ascolta un sound mai udito prima: jazz-rock? free-funk? progressive? Neanche le compagnie discografiche riescono a inquadrare quella musica, rifiutandone la pubblicazione con l’infame tiritera del “no commercial potential”. Invece di desistere, i tre amici incidono a Londra materiale sufficiente per un Long Playing (3 e 4 Giugno 1972), stampano l’album in proprio e lo distribuiscono, tra una birra e l’altra, agli entusiasti avventori della locanda. Una copia del disco auto-prodotto arriva nella redazione del New Musical Express e, finalmente, scoppia il caso. In possesso di una tecnica straordinaria e formati alla dottrina dell’improvvisazione, i Back Door creano arrangiamenti di stupefacente compiutezza senza ricorrere al sostegno armonico di tastiere o chitarre, scelta espressiva pressoché inconcepibile ai tempi di Keith Emerson e Robert Fripp. Il cuore pulsante della band è Hodgkinson, fenomenale virtuoso mancino che sta al Fender Precision come Scott LaFaro al contrabbasso e, non sembri un’eresia, Jimi Hendrix alla Stratocaster: sottratto lo strumento alla ripetitiva funzione di metronomo, Colin lo colloca al centro della scena, cavandone accordi, arpeggi, assoli, colpi ‘slap’ e giri melodici su cui imperversano sax e batteria. Il drammatico incedere di Vienna Breakdown è contraddetto dai bruschi unisoni di Hodgkinson e Aspery, che stabiliscono subito la peculiarità stilistica dei Back Door. Lieutenant Loose è un monologo di Hodgkinson che, con due mani e quattro corde, genera un prodigioso flusso sonoro. I dinamici ritmi fusion di Plantagenet, Slivadiv e Jive Grind esaltano l’eclettismo di Aspery, che alterna fraseggi fluidi e veloci a striduli effetti starnazzanti, allora osati solo da avanguardisti come Anthony Braxton o Evan Parker. Al soave tema coltraniano di Human Bed, disegnato dal flauto di Aspery, si oppone il convulso interplay di Catcote Rag. Un geometrico break intercalante stravolge il rilassato clima blues di Waltz For A Wollum. Gli echi balcanici di Folksong e la zigzagante gimcana di Back Door evocano, rispettivamente, il Coltrane di My Favorite Things e l’Ornette di Change Of The Century. Nonostante un linguaggio così rivoluzionario, soprattutto per l’epoca, quando si celebrano i grandi bassisti inglesi (Chris Squire, Percy Jones, Bill MacCormick, John Greaves etc.), il nome di Hodgkinson è tuttora omesso anche dai più autorevoli libri specializzati. Il CD della Warner Bros. immortala un capolavoro che trascende mode e categorie (la stessa etichetta ebbe il merito di promuovere il vinile dall’edizione “indipendente” a quella “ufficiale”). - B.A.


BACK DOOR - 8th STREET NITES (1974)

BACK DOOR - ANOTHER FINE MESS (1975)

BACK DOOR - ACTIVATE (1976)

BALLETTO DI BRONZO - YS (1972)


BANCO DEL MUTUO SOCCORSO - BANCO DEL MUTUO SOCCORSO (1972) FOREVER YOUNG

Sostenere che il retroterra classico dei giovani europei agì da catalizzatore per lo sviluppo del progressive è un vezzo un po’ snob che distoglie l’attenzione da un dato ben più eloquente: quella musica fu concepita in un’epoca durante la quale LE CASE DISCOGRAFICHE OFFRIVANO AGLI ARTISTI L’OPPORTUNITÀ DI REALIZZARE ANCHE LE IDEE PIÙ ORIGINALI, PURCHÉ ANIMATE DA ISPIRAZIONE AUTENTICA. In proposito, Gianni Nocenzi racconta che la celeberrima copertina sagomata “mise davvero in crisi la Ricordi […] e creò grossi problemi a tutta la meccanizzazione […] perché non potevano essere utilizzati i contenitori standard.” (Francesco Mirenzi, Rock Progressivo Italiano Vol. II - Castelvecchi Editore). Ciononostante, il progetto fu portato avanti e oggi il “salvadanaio” è una venerata icona del rock più libero e creativo. L’impiego di un cantante “vero” come Francesco Di Giacomo distingueva il Banco del Mutuo Soccorso da quasi tutti i gruppi italiani coevi, spesso incapaci di onorare adeguatamente quel ruolo (con le rilevanti eccezioni di Area, Orme e PFM): dotato di una voce dal timbro ieratico e di una presenza scenica che attirò l’interesse di Federico Fellini (Satyricon; Roma; Amarcord), egli è una delle figure chiave della contaminazione tra idioma underground e ascendenze “colte”. L’organico a due tastiere (i fratelli Nocenzi) consentiva al BMS di imbastire uno spesso tessuto armonico, ricamato con le magnifiche melodie scritte da Vittorio Nocenzi. L’album si compone quasi interamente di tre splendide suite - R.I.P. (Requiescant In Pace), Metamorfosi, Il Giardino Del Mago - galvanizzate da un continuo susseguirsi di variazioni ritmiche, fughe vertiginose e momenti di teatrale solennità. L’influenza di Yes ed Emerson, Lake & Palmer si avverte chiaramente, ma rifarsi con profitto a modelli illustri non è vietato, anzi. Il ricorso a espedienti ingenui ma funzionali - gli aulici versi recitati nel prologo (In Volo), il realismo sonoro di un breve interludio (Passaggio) - contribuiva a stimolare la curiosità del ricettivo pubblico del 1972. Per capire che i tempi sono cambiati basta guardarsi attorno: agli estrosi fricchettoni di quel periodo sono subentrati manichini tetri, inespressivi, squallidi, oppressi da capoccetti A&R che, tra una sniffata e l’altra, chiedono loro di “indossare” gli strumenti, piuttosto che di suonarli. Povera Italia. Poveri noi. - B.A.


BANCO DEL MUTUO SOCCORSO - DARWIN! (1972) FOREVER YOUNG

Se una sciacquetta che si atteggia a manager imprime un moto retrogrado al sistema educativo nazionale decretando il creazionismo di stato, un album come questo diventa indispensabile, oltre che attualissimo. Il titolo col punto esclamativo esibisce un eloquente manifesto programmatico, in omaggio allo scienziato inglese che liberò l’uomo dal giogo della superstizione. La geniale teoria di Charles Robert Darwin viene documentata attraverso una serie di fasi distinte, in cui arrangiamenti di squisita fattura progressive si sposano a testi di uno spessore poetico pressoché unico nella scena italiana di quegli anni. Memorabile l’incipit lirico di L’Evoluzione: “… prova a pensare un po’ diverso, niente da grandi dei fu fabbricato, ma il creato s’è creato da sé, cellule, fibre, energia e calore … e se nel fossile di un cranio atavico riscopro forme che a me somigliano, allora Adamo non può più esistere … e ora ditemi se la mia genesi fu d'altri uomini o di un quadrumane …”. Un diluvio di ritmi convulsi e timbri policromi suggerisce l’incessante fermento cellulare in atto sulla Terra appena nata. La Conquista Della Posizione Eretta si apre con una fuga strumentale raffigurante la metamorfosi che portò i nostri progenitori a differenziarsi dal resto del mondo animale; Francesco Di Giacomo descrive con trasporto l’attimo che segnò il destino di una specie: “… steli di giunco e rughe d'antica pietra, odore di bestia, orma di preda, nient'altro vede il mio sguardo prono, se curva è la mia schiena … potessi drizzare il collo oltre le fronde e tener ritto il corpo opposto al vento … io provo e cado e provo e ritto sto per un momento …”. Le tumultuose orchestrazioni prodotte da tastiere (fratelli Nocenzi) e batteria (PierLuigi Calderoni) si placano sulla leggiadra Danza Dei Grandi Rettili, per accompagnare un branco di dinosauri che, nonostante la mole, pascola agile a tempo di valzer. Toccante ballad preistorica, 750.000 Anni Fa … L’Amore? racconta l’impulso passionale di un ominide che, attratto da una femmina, è incapace di esprimere le proprie emozioni: “... corpo chiaro dai larghi fianchi … ti danza il seno mentre corri a valle … ai pozzi le labbra secche vieni a dissetare  … se mi vedessi fuggiresti via … io non posso possederti … la mente vuole, ma il labbro inerte non sa dire niente … ma chi son io, uno scimmione senza ragione …”. L’alleanza fra simili si dimostra proficua su Cento Mani E Cento Occhi, per poi lasciare il passo alle sconsolate, ineluttabili considerazioni sulla caducità dell’"homo sapiens" (Miserere Alla Storia; Ed Ora Io Domando Tempo Al Tempo Ed Egli Mi Risponde … Non Ne Ho!). Da ascoltare alle Galápagos. - B.A. / Cesare Rizzi


BANCO DEL MUTUO SOCCORSO - IO SONO NATO LIBERO (1973) FOREVER YOUNG

A volte il destino sa essere cinico (crudele, iniquo, beffardo … fate voi): la prematura, tragica morte di Francesco Di Giacomo è stata annunciata in diretta al festival di Sanremo … forse noi possiamo rendergli omaggio esortandovi a riascoltare quella voce dall’inimitabile piglio operistico e dall’immane forza melodrammatica … se tre film con Federico Fellini (Satyricon, Roma, Amarcord) vi bastano … A parere di moltissimi, Io Sono Nato Libero è il capolavoro del Banco del Mutuo Soccorso, oltre che uno dei vertici del progressive (italiano e internazionale). Il titolo della suite introduttiva (Canto Nomade Per Un Prigioniero Politico) è un magistrale saggio di impegno militante e cultura letteraria: ispirato al golpe cileno del 1973 (pressoché in tempo reale), vagamente evocativo di un verso leopardiano*, si sviluppa lungo un variopinto caleidoscopio strumentale e attraverso passaggi cantati di straordinaria intensità lirica (… e voi donne dallo sguardo altero, bocche come melograno, non piangete perché io sono nato libero … non sprecate per me una messa da requiem …). La meravigliosa ballata acustica Non Mi Rompete vanta una melodia dagli echi rinascimentali, parole sublimi e un memorabile inciso vocale che ne innalzano lo spessore artistico al livello delle storiche canzoni “sonnolente” di John Lennon [I’m Only Sleeping (Revolver), I’m So Tired (The Beatles)]. Scritta dal taciturno Gianni Nocenzi, La Città Sottile elabora un cupo tema di quattro note esposto dal pianoforte, esaltando l’intesa tra gli stessi fratelli Nocenzi e i formidabili PierLuigi Calderoni (batteria), Renato D’Angelo (basso elettrico), Rodolfo Maltese (chitarre). L’arrangiamento di Dopo ... Niente È Più Lo Stesso esibisce il caratteristico repertorio di variazioni metriche, atmosfere convulse, fughe repentine scandite dagli angosciosi ricordi di un reduce sopravvissuto all’inferno di Stalingrado (… cosa ho vinto … quando io ora so che sono morto dentro, tra le mie rovine? … voi chiamate “giusta guerra” ciò che io stramaledico …). Traccia II - ideale seguito di Traccia, dal primo album - è un ampolloso epilogo in chiave barocca condotto dai sintetizzatori. [P.S. - 1) *Canto Notturno Di Un Pastore Errante Dell’Asia. 2) Appena subentrato a Marcello Todaro, che però sulla copertina risulta ancora membro effettivo, dunque non è chiaro chi dei due suoni sui diversi brani.] - B.A.


BANCO DEL MUTUO SOCCORSO - GAROFANO ROSSO (1976)


BANCO DEL MUTUO SOCCORSO - COME IN UN’ULTIMA CENA (1976) FOREVER YOUNG

Almeno in Italia, Come In Un’Ultima Cena segna l’angoscioso spartiacque tra la stagione della libertà creativa - ormai agonizzante - e gli orrendi anni dell’omologazione forzata. Eppure, sfuggito ai radar di collezionisti e appassionati travolti dalla bolgia del riflusso, il disco è a tutti gli effetti un manufatto progressive. Con la formazione classica ormai rodata e coesa ai massimi livelli (Francesco Di Giacomo, Vittorio Nocenzi, Gianni Nocenzi, Rodolfo Maltese, Renato D’Angelo, Pierluigi Calderoni), il Banco del Mutuo Soccorso elabora un complesso affresco di relazioni umane intese secondo sensibilità, logiche e clichè dell’epoca. Introdotto da una copertina memorabile ideata da Caesar Monti*, il tema fu davvero concepito durante un occasionale convivio tra i membri dell’entourage. A livello stilistico, la differenza più apprezzabile rispetto ai tre capolavori precedenti (Banco del Mutuo Soccorso, Darwin!, Io Sono Nato Libero) consiste in una sottile liofilizzazione degli arrangiamenti, con passaggi strumentali che privilegiano la sintesi rispetto alla (pur efficace) ridondanza espressiva del passato. L’accostamento sonoro tra il rinomato amalgama elettro-acustico (pianoforte, organo, sintetizzatore, chitarre, batteria) e la voce operistica di Francesco contraddistingue momenti di inconsueta intensità lirica e musicale [… A Cena, Per Esempio (… sto rinchiuso in un ventre di bue … ho ascoltato miti d’eroi e poeti ruffiani …), Il Ragno (… io da sempre ho usato l’astuzia coi miei giochi di geometria … è sciocco rischiare … sono per tutti un saggio, ma certo scrupoli io non ne ho … tendo l’agguato a chi resta ammirato dalla mia abilità … dentro i miei pregiati sudari, delicato cullo la preda …), Si Dice Che I Delfini Parlino (… dopo la tempesta ho vagato a lungo tra i coralli … ho temuto di non saltare più al sole, ma il desiderio d’immenso scuoteva le mie reni, io dall’abisso sono risalito … non fuggire l’onda, anche se ha l’odore dell’arpione …), Fino Alla Mia Porta (… sui gradini del vostro rifiuto, io sto salendo fino alla mia porta … questa volta l’arpa notturna suona invano il canto delle paure … questa notte, come un atlante, sopra la terra mi sono modellato …)], che si alternano a evocative melodie rinascimentali (È Così Buono Giovanni, Ma ..., La Notte È Piena) e impetuose fughe collettive [Slogan, Voilà Mida (Il Guaritore)]. Pubblicato dalla Manticore di Emerson, Lake & Palmer. Tradotto in inglese da Angelo Branduardi per l’edizione internazionale (As In A Last Supper). [P.S. - *Lo stesso Monti, tempo dopo, riadattò e propose - senza successo - un’immagine analoga per l’esordio solista di Mick Jagger (inquadrato alla maniera del Cristo Morto di Andrea Mantegna, sullo sfondo delle Balze di Volterra, supino su una croce, in scarpe da tennis e coperto solo da un drappo sulle parti intime, brandendo un martello con una mano il soggetto si piantava un chiodo nell’altra … troppo audace anche per il cantante dei Rolling Stones …] - B.A.


BANCO DEL MUTUO SOCCORSO - CANTO DI PRIMAVERA (1979)

BARCLAY JAMES HARVEST - ONCE AGAIN (1971)

BARCLAY JAMES HARVEST - BARCLAY JAMES HARVEST
AND OTHER SHORT STORIES
(1971)

BARCLAY JAMES HARVEST - BABY JAMES HARVEST (1972)

BARCLAY JAMES HARVEST - EVERYONE IS EVERYBODY ELSE (1974)

BARCLAY JAMES HARVEST - TIME HONOURED GHOSTS (1975)

BARCLAY JAMES HARVEST - OCTOBERON (1976)

BARCLAY JAMES HARVEST - GONE TO EARTH (1977)

FRANCO BATTIATO - POLLUTION (1973)

FRANCO BATTIATO - SULLE CORDE DI ARIES (1973)


BELLA BAND - BELLA BAND (1978)

Saremo pure anime semplici, ma noi amiamo questo album. L’edizione CD arriva a trent’anni dall’originale tiratura in vinile, il che la dice lunga su come è messa l’industria discografica. Per non parlare della “stampa specializzata”: nessuna delle numerose enciclopedie progressive italiane riporta anche solo due righe su Bella Band. Eppure, il quintetto toscano, nato e defunto con questo splendido esordio, vantava un’esemplare lucidità programmatica. Con un team analogo a quello del Perigeo e uno stile egualmente debitore dei Soft Machine post-Third e dei Weather Report pre-Heavy Weather, i cinque artisti aggiungevano ai propri arrangiamenti un irriducibile gusto per la concretezza strumentale. In sostanza, la raffinata sezione ritmica [Mauro Sarti (batteria), Tonino Camiscioni (basso)] alimentava una prima linea [Riccardo Cioni (tastiere), Roberto Buoni (fiati), Luigi Fiorentino (chitarre)] in perenne lotta per l’assolo più bello. I quattro lunghi brani - Faidadiesis, Promenade, Porotostrippa Sul Pero, Cipresso Violento - tutti stupendi, partono da semplici spunti melodici per lasciare amplissimo spazio ai fraseggi dei solisti: i suoni del sintetizzatore ARP, della “solid body”, del clarinetto e del sax sono a dir poco magnifici. Copertina memorabile. - B.A.


BIGLIETTO PER L’INFERNO - BIGLIETTO PER LINFERNO (1974)

B.L.U.E. - BRUFORD LEVIN UPPER EXTREMITIES (1998)

B.L.U.E. - BLUE NIGHTS (2000)

BRAND X - MISSING PERIOD (1976)


BRAND X - UNORTHODOX BEHAVIOUR (1976) FOREVER YOUNG

Nonostante gli sforzi per essere pluralisti ed esaustivi, si torna sempre al primo amore: chiamatelo come volete, ma l’amalgama ottenuto fondendo l’improvvisazione del jazz con l’estetica del progressive ha prodotto alcuni dei più bei dischi del nostro tempo. Insieme a King Crimson e National Health, i Brand X figurano tra i massimi esponenti di un nobile “sottogenere” quasi sempre assente dalle pagine delle riviste specializzate. L’album d’esordio ottenne una certa notorietà per la presenza di Phil Collins che, in quell’ambito spontaneo e stimolante, sfogava gli istinti repressi nei Genesis. Ma Unorthodox Behaviour è un piccolo capolavoro “a prescindere”. Il tempo dispari di Nuclear Burn introduce uno stile fatto di ritmi spezzati, accordi complessi, virtuosismi tecnici, riff vertiginosi, assoli sbalorditivi. L’organico subirà un turnover continuo, ma la classe strumentale di John Goodsall (chitarra), Percy Jones (basso) e Robin Lumley (tastiere) è già in evidenza, esaltata da una straordinaria intesa col celebre batterista. Il quartetto appare coeso e versatile sul funky claudicante di Born Ugly, sul frenetico incedere di Running Of Three e sul convulso arrangiamento di Smacks Of Euphoric Hysteria, per poi esibire la propria finezza espressiva sullo splendido tema di Euthanasia Waltz, che verrà riproposto con esiti analoghi anche dal vivo (Livestock). Copertina Hipgnosis. - B.A.


BRAND X - MOROCCAN ROLL (1977)


BRAND X - LIVESTOCK (1977) FOREVER YOUNG

Questi sensazionali concerti registrati a Londra (Ronnie Scott’s, Marquee, Hammersmith) ratificano l’abilità dei Brand X nella triplice fase di approccio - scrittura, arrangiamento, improvvisazione - allo sviluppo del jazz moderno. Divulgato dagli apostoli e co-leader Percy Jones (basso fretless) e John Goodsall (chitarre), il nuovo verbo assimilava la ricerca degli sperimentatori* Blue Note, il disincanto degli anni Settanta, lo stralunato surrealismo di Canterbury, l’apertura mentale del Miles Davis elettrico, elaborando un indefinibile idioma sospeso tra progressive e fusion. Col poliedrico Robin Lumley stabile alle tastiere e l’ingresso in formazione del percussionista/compositore scozzese Morris Pert (Settembre 1976), la band approda al suo momento più felice. Il suono pulsa ipnotico e avvolgente, combinando gli effetti “spaziali” di Lumley, lo stile “parlato” di Jones, i vertiginosi fraseggi di Goodsall. Su due brani (Nightmare Patrol, Malaga Virgen), il batterista americano Kenwood Dennard subentra con disinvoltura a Phil Collins, presente sugli altri (Euthanasia Waltz, -Ish, Isis Mourning), anche se ormai quasi del tutto riassorbito dai Genesis senza Peter Gabriel. Da non perdere: Nightmare Patrol, sinistro tema originale firmato Goodsall/Dennard che, esposto dalle note del Moog e dall’arpeggio della Stratocaster, pare poi ripiegarsi su se stesso; Euthanasia Waltz, splendido arrangiamento live dell’“instant classic” tratto da Unorthodox Behaviour, impossibile decidersi tra le due versioni. Copertina memorabile, tra le più belle dello studio Hipgnosis. Nel 1999 la Buckyball Music ha dissepolto un’altra preziosa esibizione dal vivo dello stesso organico (Chicago, 1977), pubblicandola nell’eccellente doppio CD Timeline. [P.S. - *Eric Dolphy, Freddie Hubbard, Bobby Hutcherson, Jackie McLean, Sam Rivers, Larry Young etc.] - B.A.


BRAND X - MASQUES (1978) FOREVER YOUNG

Desiderosi di provare il loro valore anche senza la prestigiosa egida di Phil Collins, a sua volta indaffarato a garantire la sopravvivenza dei Genesis dopo la defezione di Steve Hackett, i Brand X rinnovano l’organico reclutando due nuovi, straordinari elementi: il batterista Chuck Bürgi e il tastierista Peter Robinson, quest’ultimo fondatore dei Quatermass (Quatermass) e per molti anni accanto a Shawn Phillips. Con il progressive ormai asfissiato dalle deiezioni punk e dopo un capolavoro come LiveStock, l’appuntamento in studio appare decisivo, ma le forti motivazioni artistiche consentono a John Goodsall e Percy Jones di incidere il più bel disco jazz-rock del 1978, a pari merito con Of Queues And Cures. Il quintetto riserva ampio spazio a Morris Pert e, soprattutto, alle sue splendide composizioni. Proprio le pagine firmate dal percussionista scozzese fanno la differenza: la ninnananna notturna di Black Moon; gli echi mediterranei di Earth Dance; i convulsi movimenti di Deadly Nightshade, tenebrosa mini-suite che nell’arco di undici minuti alterna pause oniriche a fughe concitate, fino all’incandescente assolo di Goodsall. L’originale linguaggio dei Brand X, fatto di complessi incastri ritmici, aperture melodiche, influenze fusion e improvvisazioni vertiginose, raggiunge il culmine espressivo con gli arrangiamenti di Access To Data, The Poke e The Ghost Of Mayfield Lodge. Sulla breve title-track va in scena un fitto dialogo instaurato tra l’armamentario esotico di Pert e il basso “parlante” del gallese Percy Jones, uno dei massimi specialisti dello strumento elettrico insieme a Jaco Pastorius, Jeff Berlin e Marcus Miller. La copertina è una sorta di involontaria replica mediorientale all’intrigante figura asiatica immortalata su Aja dagli Steely Dan. - B.A.


BRAND X - PRODUCT (1979)

BRAND X - DO THEY HURT? (1980) FOREVER YOUNG

Morris Pert voleva ritirarsi in Scozia … gli unici elementi stabili e motivati della formazione originale rimanevano il misterioso John Goodsall (chitarre) e il gallese Percy Jones (basso elettrico) al quale, in alcuni brani del biennio 1979/1980, addirittura subentra John Giblin, uomo di fiducia di Phil Collins, pure presente in queste memorabili sedute (negli stessi giorni i due assistevano John Martyn in studio per lo splendido Grace & Danger) … le dolenti note ci impongono di ricordare che la “stampa specializzata” massacrò questi album, col risultato di abbandonare definitivamente la generazione dell’epoca in balia dei cafoni da balera e dei ritardati punk.
Product - Product contiene un paio di canzoni affidate a Collins, interessanti ma del tutto antitetiche rispetto alla specialità dei Brand X, consistente nel redigere immacolate pagine strumentali in cui la squisita caratura tecnica si fondeva con l’eccezionale spessore musicale, al servizio di un inedito idioma jazz/rock/fusion/progressive … ecco che, infatti, con Dance Of The Illegal Aliens e Not Good Enough - See Me! il messaggio arriva forte e chiaro, sull’onda sonora del fretless “parlante” di Jones - anche autore - rincorso dalle incendiarie svisate di Goodsall, dalle eteree percussioni di Pert, dalle sopraffine performance di Peter Robinson (tastiere) e Mike Clark (batteria). Scritta dal tastierista/fondatore Robin Lumley, Algon (Where An Ordinary Cup Of Drinking Chocolate Costs £8,000,000,000) alterna burrascosi scrosci ritmici a pause dal retrogusto accademico. Lasciando spazio alla firma di ciascun membro della formazione, la scaletta sfocia nell’inconsueto, seducente mood latino di Rhesus Perplexus (Giblin), per poi impennarsi nel convulso crescendo di ... And So To F ... (Collins).
Do They Hurt? - Con la malignità tipica della sputtanatissima categoria, una “rivista di settore” insinuò che Do They Hurt? fosse stato assemblato con gli avanzi di Product … vera o falsa, l’insinuazione/notizia è del tutto irrilevante … dal funk sghembo sillabato da Jones sull’introduttiva Noddy Goes To Sweden, ai raffinati arpeggi “single coil” di Goodsall che, su Voidarama e Cambodia, si sviluppano in roboanti procelle elettriche, passando per il “tipico” arrangiamento Brand X di Triumphant Limp, semi-improvvisato su alcuni riff sovrapposti e col fuoriclasse dei Genesis ancora coinvolto, fino ai capolavori del disco - Fragile e D.M.Z. - in cui l’intesa tra Percy Jones e Peter Robinson, sbocciata su Masques, giunge a maturazione grazie al proficuo fiancheggiamento di Mike Clark, reduce dalle battute di caccia con gli HeadHunters di Herbie Hancock: sopra il tappeto “mobile” disteso dalla batteria e dalle percussioni, decorative fioriture cesellate dal piano acustico sono contraddette dalle loquaci interruzioni del basso elettrico e dai fraseggi mozzafiato della chitarra. Le surreali note di copertina furono compilate da Michael Palin dei Monty Python. Una pietra miliare indispensabile per chi ha amato Of Queues And Cures, One Of A Kind, Expresso II, Studio Tan etc. - B.A.


BRAND X - X COMMUNICATION (1992) FOREVER YOUNG

BRAND X - MANIFEST DESTINY (1996)

BRAND X - TRILOGY (1979/1992/1996)

Una ristampa inestimabile, a cura della Buckyball Music, dinamica etichetta gestita con gusto e competenza da Marc Wagnon. Il triplo CD (Trilogy) è proposto in un elegante cofanetto digi-pack e comprende gli ultimi due album dei Brand X (X Communication; Manifest Destiny) più una preziosa registrazione dal vivo (Live / September 27 1979) con Phil Collins.
X Communication - A dodici anni dall’ultimo disco ufficiale (Is There Anything About? conteneva scarti di studio, peraltro raccolti senza il consenso della band), Percy Jones e John Goodsall ritornano con un lavoro stupendo, che fuga le perplessità preventive suscitate - spesso a ragione - dalle “reunion”. L’esito positivo del progetto si deve in buona parte all’ingaggio di Frank Katz, batterista raffinato, potente, fantasioso, che stimola i due veterani compensando con un inesauribile sostegno ritmico l’assenza delle tastiere e la riduzione del combo a trio. I fondali armonici vengono ulteriormente integrati dai suoni artificiali della chitarra “midi”, mentre i temi consistono perlopiù in pochi riff squadrati, granitici, perentori, utili a offrire uno spunto per i brucianti interventi di Goodsall e l’inimitabile stile “parlato” di Jones. I pezzi sono tutti bellissimi, ma vanno citati almeno i complessi arrangiamenti di Kluzinski Period e Church Of Hype, la splendida fuga jazz di Xanax Taxi, la penetrante melodia di Liquid Time, costruita alternando sustain e arpeggi, la parentesi acustica di Healing Dream, il monologo “fretless” di Strangeness, gli spericolati fraseggi elettrici di A Duck Exploding, il rituale percussivo di Zero DB.
Manifest Destiny - Privo delle scorie pseudo-intellettuali prodotte dall’avanguardia, Manifest Destiny diventa un brillante affresco musicale degli anni Novanta, influenzato dalla vita frenetica e dal frastuono metropolitano di New York. Buckyball MusicImpersonando il ruolo che fu di Bobby Hutcherson nelle sedute “sperimentali” della Blue Note, il vibrafonista elvetico Marc Wagnon aggiunge sfumature di pigmento sintetico a un trama strumentale meno vivace rispetto alle policromie sonore di Livestock o Masques, ma anche più elastica e manipolabile. È un po’ quello che accadde ai pionieri del ‘free’ (Ornette Coleman, Eric Dolphy, Jackie McLean etc.) quando rinunciarono al piano: meno vincoli prestabiliti, più spazio per l’improvvisazione. Se i virtuosismi di Goodsall e Wagnon collocano Operation Hearts And Minds a metà strada tra fusion e progressive, altrove predomina un sinistro clima cibernetico accentuato dai glaciali ‘sample’ di Franz Push (True To The Click; Virus; XXL), dalle algide luci al neon di Five Drops, dall’ossessiva scansione funky di The Worst Man, dalle stoccate elettroniche di Drum DDU. Lo strepitoso duetto tra Katz e Jones (Mr. Bubble Goes To Hollywood) rievoca l’indimenticabile colloquio virtuale tra Terry Bozzio e Pat O’Hearn (Rubber Shirt) montato da Zappa su Sheik Yerbouti.
Live / September 27 1979 - Concerto inedito in cui, con l’unica eccezione di Malaga Virgen (Moroccan Roll), vengono proposti brani estratti dal discusso Product. La formazione a due tastiere (Robin Lumley, Peter Robinson) consente un’attenta rilettura del materiale selezionato, di cui si giovano soprattutto le nuove versioni di Algon (Where An Ordinary Cup Of Drinking Chocolate Costs £8.000.000.000) e Dance Of The Illegal Aliens. Un significativo documento dell’arte dei Brand X. - B.A.


BRAND X - TIMELINE (1977/1993)


BILL BRUFORD - FEELS GOOD TO ME (1978)

Bill Bruford è uno dei più intelligenti e raffinati batteristi inglesi (insieme a Barriemore Barlow, Simon Phillips e qualche altro). La sua lunga carriera è un esempio di integrità artistica e il suo contributo ai capitoli discografici più riusciti di gruppi come Yes (i primi cinque album) e King Crimson (1973/1974) è stato determinante. In un’intervista di molti anni fa, presentando questo disco, Bill confessò che il suo sogno era quello di creare qualcosa che durasse nel tempo, che vendesse anche solo due copie al giorno, ma in maniera costante. Con questo lavoro egli ha realizzato quel sogno. - B.A.


BILL BRUFORD - ONE OF A KIND (1979) FOREVER YOUNG

L’incompiuta Grande Enciclopedia di Rockstar riconosce a Bill Bruford una “spiccatissima sensibilità ritmica”, un “forte senso del dinamismo percussivo” e una “calibratissima caratura tecnica”. Qualità indiscutibili, che si ritrovano puntualmente in questo disco interamente strumentale, che ogni appassionato pone ai vertici di un’ideale classifica del meglio degli anni Settanta. One Of A Kind è il secondo atto della vicenda solista di Bill e mette in vetrina l’affiatatissimo quartetto di virtuosi riunito su Feels Good To Me: Bruford ai tamburi, lo stupefacente Jeff Berlin al basso, il dio della chitarra Allan Holdsworth e Dave Stewart, tastierista di altissimo lignaggio (Egg; Hatfield And The North; National Health). I quattro, nonostante le prodigiose doti tecniche, si mettono al servizio della musica e, senza noiose ostentazioni, realizzano un’eccezionale sintesi tra composizione, arrangiamento e interventi solistici, il tutto nobilitato da splendide melodie. Scampoli di rock progressivo, echi di Canterbury e una netta propensione all’improvvisazione sono gli elementi caratteristici di questa musica, che riprende il discorso interrotto poco prima dai National Health. L’assenza di parti cantate consente ai quattro di concentrarsi meglio sul metodo compositivo. Il leader si rivela autore dotato e sensibilissimo. Ricordiamo Forever Until Sunday e Travels With Myself - And Someone Else, di una bellezza struggente; Fainting In Coils, sempre di Bruford, ispirata alla Alice In Wonderland di Lewis Carroll; The Abingdon Chasp, uno splendido tema di Allan Holdsworth, dalla melodia sfuggente e ingegnosa; Five G, un classico per tutti i bassisti del mondo, grazie a un’incredibile introduzione ‘slap’ di Jeff Berlin; il tonitruante brano di apertura, Hell’s Bells, scritto da Dave Stewart e dal compianto Alan Gowen. Quest’ultima potrebbe essere una fantastica sigla di apertura per qualche disc-jockey illuminato, ma ve ne sono? - B.A.


BILL BRUFORD - THE BRUFORD TAPES (1979)

BILL BRUFORD - GRADUALLY GOING TORNADO (1980)


BILL BRUFORD / PATRICK MORAZ - MUSIC FOR PIANO AND DRUMS (1983)

Disco strano, indefinibile, bellissimo. Tanta improvvisazione, ma non è jazz. Riferimenti colti, ma non può dirsi musica classica. Due veterani degli anni Settanta, eppure nessuna nostalgia. Riepilogo. Il modesto riscontro commerciale ottenuto col suo quartetto, a fronte degli spettacolari esiti artistici raggiunti da album come Feels Good To Me e One Of A Kind, rischiava di scoraggiare Bill Bruford. Che fare? Seguendo l’istinto, Bill sceglie la stimolante formula del duo ed entra in sala d’incisione con Patrick Moraz. Malgrado la comune militanza negli Yes, i due non avevano mai suonato insieme. Il retroterra accademico del tastierista svizzero, passato alla storia per aver preso il posto di Rick Wakeman nel 1974 (Relayer), e il blasonato curriculum progressive di Bruford (Yes, King Crimson, Genesis, National Health etc.), sebbene apparentemente inconciliabili, generano una mirabile simbiosi di talenti puri. Gli arrangiamenti scheletrici e l’impegnativo contesto strumentale assorbono tutte le risorse timbriche della batteria e l’intera tavolozza cromatica del pianoforte: la cantabile aria di Children’s Concerto, assecondata da Bruford con giocosa esuberanza; la sinistra atmosfera di Living Space, colonna sonora ideale per un film ad alta tensione; i serrati fraseggi di Any Suggestions e Hazy; l’andatura ansimante di Eastern Sundays; i geometrici virtuosismi di Symmetry; gli echi esotici di Blue Brains; la romantica melodia di Galatèa. Nonostante una carriera già lunga e prestigiosa, Bruford esibisce un inedito, sorprendente campionario di invenzioni ritmiche. Per tentare un parallelo con un’opera analoga, sebbene diversa nell’approccio, suggeriamo l’ascolto di Streams Of Consciousness di Max Roach e Dollar Brand. - B.A.


BILL BRUFORD / PATRICK MORAZ - FLAGS (1985)


BILL BRUFORD’S EARTHWORKS - EARTHWORKS (1987) FOREVER YOUNG

BILL BRUFORD’S EARTHWORKS - DIG? (1989) FOREVER YOUNG

BILL BRUFORD’S EARTHWORKS - ALL HEAVEN BROKE LOOSE (1991) FOREVER YOUNG

1986. Al momento di stilare un bilancio della propria carriera, dopo aver militato nei primi e migliori Yes e in due storiche formazioni dei King Crimson, suonato brevemente con Gong, Genesis, National Health, fondato il supergruppo U.K. e inciso a proprio nome il capolavoro assoluto One Of A Kind, il batterista inglese, stanco della routine, per dirla con Vladimir Il'ic Ul'janov, si chiedeva «che fare?». Nella sua avvincente autobiografia, egli racconta di come decise di reclutare Django Bates e Iain Ballamy dopo aver ascoltato alla TV i Loose Tubes. Lo spettacolo offerto dalla prodigiosa orchestra/cooperativa britannica aveva risvegliato in Bill un amore giovanile: l’improvvisazone.
Earthworks - Quando fu pubblicato il disco omonimo, in pochi scommisero sulla sopravvivenza degli Earthworks oltre l’esordio. In realtà, Bill Bruford avrebbe inciso sotto quelle insegne fino ai giorni del ritiro ufficiale (2009). L’esperimento era volto a coniugare l’audacia stilistica del progressive, la libertà espressiva del jazz e l’uso intelligente della batteria elettronica Simmons, del cui marchio Bruford era anche testimonial. Prodotto insieme al cervellone Dave Stewart, l’album esaltava le doti artistiche e organizzative del leader, rigenerando la musica grazie all’apporto di integrità e freschezza delle nuove leve. Molti i momenti da ricordare: l’energia cinetica sprigionata su Thud e Bridge Of Inhibition, il brusco passaggio dalla prima alla seconda parte di Making A Song And Dance, il retrogusto folk di Up North, gli assoli di piano e batteria su Pressure, il composto lirismo di It Needn’t End In Tears, le vertiginose variazioni di Emotional Shirt, il travolgente spunto ritmico di My Heart Declares A Holiday, poi ripreso per introdurre lo splendido live Random Acts Of Happiness. Durante la tournée, dissapori personali tra Mick Hutton e Iain Ballamy - i due vennero alle mani in Norvegia - portarono all’allontanamento dell’ombroso contrabbassista.
Dig? - Nel 1988 a Mick Hutton subentra Tim Harries che, alternando il fretless elettrico al contrabbasso, rende il tessuto strumentale ancor più duttile. Il repertorio resta su livelli altissimi grazie alla certosina accuratezza con cui Bruford predispone le varie fasi, coordinando scrittura, arrangiamento ed esecuzione. Occhi puntati sulle scosse sismiche di Stromboli Kicks, sui magnifici fraseggi di Dancing On Frith Street [Ballamy (sax soprano), Bates (bombardino)], sulle ingannevoli sembianze mainstream di A Stone’s Throw, sull’iridescente trama sonora di Libreville, sulle algide atmosfere di Pilgrim’s Way, ispirate ad alcune pagine della ECM anni Ottanta, quelle che Ralph Towner e John Abercrombie rifinivano con eleganti pennellate di sintetizzatore.
All Heaven Broke Loose - Il progetto Earthworks - tra le pochissime cose salvabili di quell’epoca oscena - approda a una sintesi compiuta col terzo capitolo, nel quale intesa collettiva e scioltezza individuale generano l’idioma che, in seguito, Bruford avrebbe ulteriormente sgrossato fino alla pura dimensione acustica. La piena maturità del quartetto si apprezza in egual misura sugli episodi più rilassati (Forget-Me-Not, Candles Still Flicker In Romania’s Dark), su quelli più dinamici (Hotel Splendour, Nerve, Splashing Out) e sulla suite conclusiva [All Heaven Broke Loose: (I)Psalm, (II) Old Song]. - B.A.


BILL BRUFORD’S EARTHWORKS - STAMPING GROUND (1993) FOREVER YOUNG

BILL BRUFORD / RALPH TOWNER / EDDIE GOMEZ
IF SUMMER HAD ITS GHOSTS
(1998)

BILL BRUFORD’S EARTHWORKS - A PART, AND YET APART (1999) FOREVER YOUNG

BILL BRUFORD’S EARTHWORKS - THE SOUND OF SURPRISE (2001) FOREVER YOUNG

BILL BRUFORD’S EARTHWORKS - FOOTLOOSE AND FANCY FREE (2002) FOREVER YOUNG


BILL BRUFORD’S EARTHWORKS - RANDOM ACTS OF HAPPINESS (2004) FOREVER YOUNG

In una straordinaria intervista pubblicata su un CD promozionale, rispondendo a una domanda sulle opposte reazioni con cui la critica aveva accolto le metamorfosi stilistiche degli Earthworks, dall’alto del proprio indiscusso carisma Bill Bruford pronuncia una frase orgogliosa e perentoria: «… I know what I like and happily I do what I like and I don’t have to wait and worry what critics like …». Dato il pulpito particolarmente autorevole, l’affermazione è un’autentica scomunica della “stampa specializzata”, categoria che ha fatto di invidia, menzogna e ipocrisia le ragioni fondanti della sua stessa esistenza. Frastornati dall’eclettismo di Bruford, gli “esperti” non tolleravano che, dopo aver suonato con (le migliori formazioni di) Yes e King Crimson, il batterista inglese militasse brevemente nei Genesis, incidesse uno dei più bei dischi progressive di tutti i tempi (One Of A Kind), riesumasse con Patrick Moraz il duo piano/batteria (Music For Piano And Drums; Flags), allestisse una nuova band votata all’improvvisazione e, non appena ottenuti i primi riconoscimenti, abbandonasse l’idioma post-fusion per esprimersi in un ambito squisitamente acustico. Eppure, come dimostra la carriera ultraventennale degli Earthworks, aveva sempre ragione lui. Registrato dal vivo allo Yoshi’s di Oakland, Random Acts Of Happiness è l’ennesimo capolavoro del quartetto, un disco capace di entusiasmare persino la severa redazione di Down Beat. Libero dalle nocive interferenze delle major grazie a una dinamica etichetta personale (Summerfold / Winterfold), Bruford condivide la propria arte con Tim Garland (sax tenore/soprano; clarinetto basso), Steve Hamilton (pianoforte) e Mark Hodgson (contrabbasso), valenti jazz-men britannici succeduti a colleghi altrettanto bravi come Django Bates, Iain Ballamy, Patrick Clahar, Tim Harries etc.: il ritmo dispari di My Heart Declares A Holiday, l’arrangiamento cameristico di One Of A Kind (dal suddetto, omonimo classico) e la versione strumentale di Seems Like A Lifetime Ago [splendida melodia già interpretata dalla seducente voce di Annette Peacock e dal flicorno di Kenny Wheeler (Feels Good To Me)] palesano il retroterra underground del leader. Su diversi episodi, Garland si dimostra solista ispirato e autore di talento: le sobrie atmosfere latine di Tramontana e Bajo Del Sol, la fuga del flauto su White Knuckle Wedding, la finezza armonica di Modern Folk, Turn And Return e Speaking With Wooden Tongues giustificano la prestigiosa co-intestazione dell’album. Deliziosi i disegni in copertina di Dave McKean. - B.A.


BILL BRUFORD’S EARTHWORKS - EARTHWORKS UNDERGROUND ORCHESTRA (2006) FOREVER YOUNG

WORLD DRUMMERS ENSEMBLE
(BILL BRUFORD / CHAD WACKERMAN / LUIS CONTE / DOUDOU N’DIAYE ROSE)
A COAT OF MANY COLORS
(2006)

 

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