Introduzione / Introduction
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THE VOICE OF MUSIC ... LA VOCE DELLA MUSICA
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PROGRESSIVE

H-I

STEVE HACKETT - VOYAGE OF THE ACOLYTE (1975)

STEVE HACKETT - PLEASE DON’T TOUCH (1978)

STEVE HACKETT - SPECTRAL MORNINGS (1979)

STEVE HACKETT - DEFECTOR (1980)

CLAIRE HAMILL - OCTOBER (1972)

PETER HAMMILL - FOOL’S MATE (1971)

PETER HAMMILL - CHAMELEON IN THE SHADOW OF THE NIGHT (1973)

PETER HAMMILL - THE SILENT CORNER AND THE EMPTY STAGE (1974)

PETER HAMMILL - IN CAMERA (1974)

PETER HAMMILL - NADIR’S BIG CHANCE (1975)


PETER HAMMILL - OVER (1977) FOREVER YOUNG

One of the best albums ever made about the end of a relationship and the trauma that results, Over is a harrowing document of the failure of a long-term relationship Hammill had been in. With a brief side-step to examine the loss felt by parents when their children move out (Autumn), Hammill exposes feelings of guilt, rage, betrayal, attempts at understanding, attempts at healing. From the self-recrimination of the furious Crying Wolf, to the angry lashing out of Time Heals through the heart-wrenching sadness of This Side Of The Looking Glass (with Hammill turning in a beautiful vocal performance against an orchestral setting), to the extremely tentative healing steps of Lost And Found (which includes a middle eight that concludes La Rossa from Van Der Graaf Generator’s Still Life in a cynical way) the songs avoid compromise and simplicity, making this a sometimes difficult listening experience - the lyrics are often bitterly clever and cutting. Beautifully produced, Over is Peter Hammill at his musical and lyrical best. - Steven McDonald

Recorded in 1976 between VDGG incarnations, Over was a sizably brave and equally flawed exercise in open-heart surgery, based on the departure of Hammill’s long-term lover, and musically underscored for maximum in-your-face impact. Ever the self-dissecting aesthete, his attempt to reconcile feelings of guilt, anger and hopelessness is endearingly sincere or insufferably self-pitying, depending on your taste for confessional catharsis, and for Hammill’s academic, inherently English vernacular and meandering melodies. The acoustic Alice (Letting Go) is unnervingly close to the bone, the vitriolic Betrayed is much easier to confront, but the elegiac mood brings out some of his most elegant songs like the orchestrated, gothic gloom of This Side Of The Looking Glass, the weeping-willowy Autumn and the episodic Time Heals. - Martin Aston


PETER HAMMILL - THE FUTURE NOW (1978) FOREVER YOUNG

Dal 1978 al 1981 Peter Hammill ha realizzato quattro album (The Future Now; PH7; A Black Box; Sitting Targets) che suscitano ancora oggi stupore e ammirazione per come egli sia riuscito a non subire la nefasta influenza delle triviali tendenze dell’epoca e, insieme, ad essere così ineguagliabilmente moderno. Si possono formulare due ipotesi al riguardo. Peter Hammill: a) ha fatto sempre solo ciò in cui credeva, prescindendo da qualsiasi altra considerazione e rispettando, così, un principio fondamentale per ogni artista onesto; b) è dotato di un talento musicale e poetico straordinario. Da quando si sono sciolti definitivamente i Van Der Graaf Generator (1978), Hammill si è dedicato esclusivamente ai suoi lavori solisti, anche se è sempre stato difficile decifrare la differenza tra i dischi del gruppo e quelli del leader (egli è per i VDGG quello che Ian Anderson è per Jethro Tull). Dopo un’opera del livello di Over ci si chiedeva se Peter sarebbe stato in grado di progredire ancora. Incredibile! C’è riuscito! Non vi fate ingannare dal “finto” rock di Pushing Thirty, peraltro godibile, in cui il quasi trentenne Hammill rivendica orgogliosamente la propria coerenza di fronte ai personaggi plastificati dello show-biz. Superato il primo brano, dietro l’angolo spunta un bastimento carico di invenzioni musicali e nuovi stili che nascono e muoiono in tre minuti. Su un fondale percussivo disegnato con tratto leggero da batteria elettronica e basso, Peter recita alla sua maniera il testo di Second Hand, pedinato dal sax “parlante” di David Jackson. La cupa melodia di Trappings si avvita su se stessa, illustrando con dovizia di particolari gli imprevisti del successo: “but he's got no home and he's got no friends / and the human mass repel him ... they've blown out his brains with sticky kiddies' sweets / the limo, the coke, the celebrity guest-list, the today jokes and the gutter press ... these are the trappings of success ...”. I suoni spettrali di Energy Vampires danno vita alle allucinazioni di una rock-star perseguitata dai fan. Le grida disperate che si levano da Still In The Dark e The Future Now, appena attutite dal piano, esprimono l’angoscia per una società che non sa rispondere agli interrogativi dell’uomo moderno. Gli agghiaccianti cori di Mediaevil creano un’atmosfera gotica non proprio adatta a una seratina disimpegnata, ma l’effetto “pelle d’oca” è garantito. Sulla denuncia anti-apartheid di A Motor-Bike In Afrika, la sezione ritmica è davvero affidata al suono di un motore a scoppio sintetizzato. Le contorte sonorità elettro-acustiche di The Cut sono esaltate dal trattamento dell’Aphex Aural Exciter, un marchingegno che allora era considerato il ‘non plus ultra’ dell’hi-fi. Lo stesso accorgimento tecnico è adottato per If I Could che, se vi fidate, è una delle più belle e originali canzoni d’amore degli anni '70. Accostarsi a Peter Hammill con questo disco non è la soluzione più semplice, ma un minimo di coraggio potrebbe regalare momenti indimenticabili. - B.A.


PETER HAMMILL - PH7 (1979) FOREVER YOUNG


PETER HAMMILL - A BLACK BOX (1980) FOREVER YOUNG

Another emphatic, powerful and technically excellent production from Peter Hammill. More rocky than PH7 or The Silent Corner And The Empty Stage, less techno than Sittings Targets, this recording smooths a path between the '70s and the '80s. The lyrics are searching, poetic, psychological. It is difficult to choose a highlight: the hypnotic Fogwalking makes an instant impression, while the multipart Flight spans all aspects and facets of Hammill's talents: from gentle through loud and brash and back to gentle again, studded with the inimitable sax of David Jackson. The multipart piece is one of Hammill's trademarks: he takes a lyrical theme and expands it, story-like, through several short, connected pieces. - Ali Sinclair


PETER HAMMILL - SITTING TARGETS (1981) FOREVER YOUNG

Sitting Targets porta alle estreme conseguenze il discorso brillantemente avviato con The Future Now. La forma canzone viene magistralmente adattata alla ferrea logica di creazioni che immaginiamo nascano già compiute nella mente dell’autore. La scelta di qualche titolo è legata al gusto personale, dal momento che siamo di fronte a un disco pressochè perfetto. Breakthrough imposta l’atmosfera generale, con i suoi inquietanti accordi di piano elettrico seguiti dalla voce di Hammill che, per un istante, ricorda in modo impressionante quella di Roy Harper. My Experience poggia su un’intelaiatura ritmica costruita a strati, che lascia supporre una preparazione in studio particolarmente laboriosa. Ophelia si aggiunge a una serie di stupende canzoni eseguite con la chitarra acustica [If I Could (The Future Now); My Favourite (PH7)]. Stranger Still è scarna ma emozionante, voce, pianoforte e un maestoso coro ottenuto con le sovraincisioni. L’incedere concitato del ritmo di What I Did è sottolineato da suoni distorti e dalla voce del protagonista che urla: “... I want to rewrite my past ... I guess I was my own worst enemy ... I think I must have been crazy to do what I did ...”. Peter suona un po’ tutti gli strumenti, coadiuvato qua e là da qualche esterno e dai fedeli Guy Evans (batteria) e David Jackson (sassofoni). Una nota di biasimo alla Virgin che, nella ristampa CD, tecnicamente ineccepibile, non ha inserito i testi, peraltro presenti nel LP originale e, come sempre, molto importanti per un artista come Hammill. - B.A.


PETER HAMMILL - ENTER K (1982)

LPCDThe usual Hammill combination of musical excellence and the deepest emotions this side of hell. Shades of David Bowie in The Great Experiment and Happy Hour. Dramatically moody Dont Tell Me (which also appears, rearranged, on The Love Songs) contrasts with the upbeat, tongue-in-cheek Paradox Drive. The centerpiece has to be The Unconscious Life: the vast, full range of Hammills vocal gymnastics coupled with David Jacksons soulful sax make this song unforgettable. - Ali Sinclair


PETER HAMMILL - PATIENCE (1983)

PETER HAMMILL - THE LOVE SONGS (1984)

PETER HAMMILL - SKIN (1986)

PETER HAMMILL - AND CLOSE AS THIS (1986)

PETER HAMMILL - IN A FOREIGN TOWN (1988)

PETER HAMMILL - OUT OF WATER (1990)

PETER HAMMILL - THE FALL OF THE HOUSE OF USHER (1991)

PETER HAMMILL - FIRESHIPS (1992)

PETER HAMMILL - THE NOISE (1993)

PETER HAMMILL - ROARING FORTIES (1994)

PETER HAMMILL - X MY HEART (1996)

PETER HAMMILL - THIS (1998)

PETER HAMMILL - NONE OF THE ABOVE (2000)

PETER HAMMILL - WHAT, NOW? (2001)

PETER HAMMILL - THE THIN MAN SINGS BALLADS (2002)

PETER HAMMILL - CLUTCH (2002)

PETER HAMMILL - INCOHERENCE (2004)

PETER HAMMILL - SINGULARITY (2006)

PETER HAMMILL - THIN AIR (2008)

PETER HAMMILL - CONSEQUENCES (2012)


HATFIELD AND THE NORTH - HATFIELD AND THE NORTH (1973) FOREVER YOUNG

Un piccolo capolavoro progressive dei primi anni Settanta: armonie complicate e affascinanti, spirito patafisicoalla Soft Machine, nonsense che affiorano qua e là, i quattro della serie Bonanza in copertina e una memorabile quanto misurata partecipazione vocale di Robert Wyatt (Calyx), appena dimesso dall’ospedale. - E.R.

La ristampa CD contiene il 45 giri Let’s Eat Real Soon, all’epoca escluso dall’album. - B.A.


HATFIELD AND THE NORTH - THE ROTTERS CLUB (1975) FOREVER YOUNG

Uno dei bersagli preferiti da sedicenti giornalisti e raccomandati vari erano i cosiddetti “super-gruppi”, formazioni composte da musicisti provenienti a loro volta da diversi complessi di una qualche notorietà, che si coalizzavano in vista di un ambizioso progetto comune (il caso più celebre è rappresentato da Emerson, Lake & Palmer). Archiviato l’ennesimo fallimento della critica, ricordiamo un nome, tra i tanti, che non ha ricevuto i riconoscimenti che meritava, soprattutto per un linguaggio forse troppo avanzato rispetto all’epoca e al gusto corrente: gli Hatfield And The North. I quattro membri avevano vissuto altrettante fondamentali esperienze nell’ambito del progressive: Dave Stewart (tastiere) aveva fondato e diretto gli Egg; Richard Sinclair (basso, voce) era stato leader dei Caravan; Phil Miller (chitarra) aveva militato nei Matching Mole di Robert Wyatt; Pip Pyle (batteria) veniva dai Gong di Daevid Allen. Dopo lo splendido esordio (Hatfield And The North), The Rotters’ Club immortala su disco il suono di Canterbury, fotografandone la fase più esaltante. Un musicologo potrebbe versare fiumi di inchiostro per illustrare i singoli brani, ma senza l’ascolto diretto qualcosa andrebbe perso comunque, proprio per la peculiarità di una sintesi ottenuta distillando gli ingredienti più disparati: rock e jazz, improvvisazione e parti scritte, avanguardia e ortodossia. Alle corrosive sonorità degli strumenti elettrici si alternano gli immacolati vocalizzi delle Northettes (Amanda Parsons, Barbara Gaskin, Ann Rosenthal), mentre Stewart e Miller dialogano alla pari con l’ospite Jimmy Hastings, che passa dal fraseggio free del sax (The Yes No Interlude; Mumps) agli accenti pastorali del flauto (Fitter Stoke Has A Bath; Didn’t Matter Anyway). L’avventura degli Hatfield And The North durò poco, ma la loro saga non si interruppe: con l’eccezione di Sinclair, confluito nei Camel, la band si reincarnerà nei National Health, ultimi gloriosi esponenti di un genere ormai in via di estinzione. [P.S. - Per intitolare il suo affresco letterario sugli anni Settanta (The Rotters’ Club / La Banda Dei Brocchi), lo scrittore inglese Jonathan Coe si è esplicitamente ispirato a questo album.] - B.A.


HENRY COW - LEG END (1973) FOREVER YOUNG

Chi ha amato Little Red Record, The Rotters’ Club e Of Queues And Cures probabilmente apprezzerà anche Leg End. Per gli altri, il discorso merita un approfondimento. Nel senso che persino i collezionisti più ingordi e gli ascoltatori più audaci potrebbero restare spiazzati di fronte alla severa avversione al compromesso degli Henry Cow. Sgombriamo il campo anche da un altro ostacolo: l’impegno politico della band. Suonavano bene? Facevano bei dischi? Tanto basta. L’accessorio ideologico è solo un trastullo per gli habituè dei centri sociali. La formazione dell’esordio rimane la più coesa e incisiva: Tim Hodgkinson (tastiere), John Greaves (basso), Fred Frith (chitarre, archi), Chris Cutler (batteria), Geoff Leigh (fiati), cinque intellettuali freak decisi a scardinare le fondamenta del sistema con l’arma più potente: la (buona) musica. La materia sonora prodotta dal quintetto si componeva di sostanze eterogenee: suggestioni zappiane assorbite attraverso l’ascolto assiduo di Uncle Meat; scorie di avanguardia europea sedimentate nelle improvvisazioni di Leigh; echi di Canterbury riflessi nei contorti fraseggi di Frith; particelle rock ormai indistinte e percepibili solo grazie all’impiego della strumentazione elettrica. Filtrata al mixer da Mike Oldfield, reduce dai trionfi di Tubular Bells e protégé di una Virgin ancora feconda, Nirvana For Mice distilla in cinque minuti l’estetica degli Henry Cow: le atmosfere variano di continuo, condizionate dalle imprevedibili invenzioni timbriche di Frith e dallo spigoloso linguaggio di Cutler, uno dei percussionisti più personali espressi dal circuito underground. Nel microcosmo primitivo di Amygdala, capolavoro firmato da Hodgkinson, si alternano oasi di quiete protette dalla voce del flauto e turbolente bufere ritmiche scatenate dai tempi dispari. Un attimo prima di precipitare nel caos, i cigolii free di Teenbeat Introduction vengono convogliati negli arrangiamenti intelligibili di Teenbeat ed Extract From “With The Yellow Moon And Star”, per poi dissolversi nello splendido assolo di Frith su Teenbeat Reprise. Le farneticazioni orali di The Tenth Chaffinch e Nine Funerals Of The Citizen King propongono una lettura estrema della forma “canzone”, che anticipa l’imminente alleanza artistica con gli Slapp Happy (Desperate Straights; In Praise Of Learning). Ispirato al calembour del titolo (Leg End), il calzerotto raffigurato in copertina diventerà simbolo del gruppo. - B.A.


HENRY COW - UNREST (1974)

HENRY COW / SLAPP HAPPY - DESPERATE STRAIGHTS (1974)

HENRY COW / SLAPP HAPPY - IN PRAISE OF LEARNING (1975)

HIGH TIDE - SEA SHANTIES (1969)

HIGH TIDE - HIGH TIDE (1970)

STEVE HILLAGE - FISH RISING (1975)

STEVE HILLAGE - L (1976)

STEVE HILLAGE - MOTIVATION RADIO (1977)


STEVE HILLAGE - GREEN (1978)

Dopo la militanza nella formazione storica dei Gong [Flying Teapot (Radio Gnome Invisible Part 1); Angel’s Egg; You; Shamal], Steve Hillage intraprende una carriera solista che produrrà alcuni dischi pregevoli e almeno un classico (Fish Rising). Ricco di influenze attinte a molte fonti, a distanza di trent’anni anche Green conserva un freschezza intatta. Forti della prestigiosa regia di Nick Mason e spalleggiati da un coeso tandem americano [Curtis Robertson Jr. (basso elettrico); Joe Blocker (batteria)], il chitarrista inglese e la fedele Miquette Giraudy (sintetizzatori) rifiniscono il proprio stile intriso di jazz-rock, mistica hippy e fantascienza. I suoni processati della Stratocaster eruttano come lapilli dalla rocciosa sezione ritmica, donando agli arrangiamenti un inconfondibile effetto “siderale”. I vaghi riferimenti lirici alla paccottiglia “new age” non sviliscono la qualità della musica, che rimane di alto livello. Segnaliamo l’ouverture psichedelica di Sea Nature, che rievoca le sedute con Todd Rundgren e gli Utopia (L), il fraseggio acustico di Musik Of The Trees, le radiazioni cosmiche di Ether Ships e Activation Meditation, emesse dal versante nascosto della luna [On The Run (The Dark Side Of The Moon)], l’atmosfera “flower power” di Palm Trees (Love Guitar), il funk rivisitato di Unidentified (Flying Being), l’impetuosa fuga strumentale di The Glorious OM Riff, lo slancio fusion di U.F.O. Over Paris, che potrebbe entusiasmare i cultori di album “vitaminici” come Wired di Jeff Beck o Spectrum di Billy Cobham. - B.A.


STEVE HILLAGE - LIVE HERALD (1979)

STEVE HILLAGE - OPEN (1979)

HUGH HOPPER - 1984 (1972)


HUGH HOPPER - HOPPER TUNITY BOX (1976)

Un sottovalutato classico del progressive di Canterbury, inciso da un protagonista che all’epoca “c’era” e contribuì a fondare il movimento. Nel 1975, con l’intento di registrare un secondo album a proprio nome, Hugh Hopper raccoglie idee e note redatte subito dopo le dimissioni dai Soft Machine. Riuniti alcuni colleghi di fiducia nello studio mobile degli Yes, il bassista compila una scaletta di pezzi strumentali alternandovi i sopraffini talenti del poliedrico Dave Stewart (tastiere) e dei “non allineati” Elton Dean (sax alto/soprano), Mark Charig (cornetta), Gary Windo (ance). I cultori di Egg, Hatfield And The North e National Health riconosceranno l’inconfondibile organo di Stewart sul barocco tema di Hopper Tunity Box e sulle fughe in trio di Gnat Prong e Mobile Mobile. Un raffinato quintetto in stile CTI si esibisce su The Lonely Sea And The Sky e Spanish Knee, coi veterani Charig, Dean, Hopper assistiti da Frank Roberts (piano elettrico) e Mike Travis (batteria). Pregevole anche l’arrangiamento per basso e tre fiati di Lonely Woman, celebre standard di Ornette Coleman. Eccellente la ristampa CD della Cuneiform. - B.A.


STEVE HOWE - BEGINNINGS (1975)

STEVE HOWE - THE STEVE HOWE ALBUM (1979)

STEVE HOWE - QUANTUM GUITAR (1998)

 

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