Introduzione / Introduction
Listen to the Radio / Ascolta la Radio   Listen to the Radio / Ascolta la Radio   Listen to the Radio / Ascolta la Radio
THE VOICE OF MUSIC ... LA VOCE DELLA MUSICA
HOME NEW A.O.R. SOUL FUSION JAZZ ROCK PROGRESSIVE FOLK
RADIO BEATLES 10cc FRANK ZAPPA SINATRA & Co. 20th CENTURY CINEMA FOREVER YOUNG LINKS
 
 

JAZZ

R

ENRICO RAVA - IL GIRO DEL GIORNO IN 80 MONDI (1972)

ENRICO RAVA - KATCHARPARI (1973)

ENRICO RAVA - QUOTATION MARKS (1974)

ENRICO RAVA - PUPA O CRISALIDE (1974)

ENRICO RAVA - HORO: JAZZ A CONFRONTO 14 (1974)

ENRICO RAVA - THE PILGRIM AND THE STARS (1975)

ENRICO RAVA - THE PLOT (1976) FOREVER YOUNG

ENRICO RAVA - ENRICO RAVA QUARTET (1978)


ENRICO RAVA - AH (1979) FOREVER YOUNG

La stupenda copertina argentea di Michelangelo Pistoletto spiazzò gli intransigenti feticisti dell’ECM - ci onoriamo di appartenere alla categoria - abituati alle tradizionali immagini, ora evocative, ora enigmatiche, dell’etichetta tedesca. Per questo, forse, Ah non viene mai citato tra i migliori album di Enrico Rava né tra le grandi pagine per tromba jazz, pur essendo entrambe le cose. Per ¾ italiano, il superbo quartetto legittima un sussulto di orgoglio nazionale, col fiatista accompagnato da Franco D’Andrea* (pianoforte), Giovanni Tommaso* (contrabbasso) e Bruce Ditmas (batteria). Gli arrangiamenti si caratterizzano per la capricciosa oscillazione ritmica tarata dalla coppia Tommaso/Ditmas, per i guizzanti virtuosismi di D’Andrea e per gli imprevedibili fraseggi di Rava, in cui si alternano con grande espressività attimi di pathos, scatti di euforia, oasi di quiete, borbottii di collera. Nell’ambito dei vari titoli, tutti composti dal leader, segnaliamo i fenomenali assoli di D’Andrea su Lulu, Outsider, Ah e gli slanci lirici di Rava su At The Movies e Trombonauta. Ai cultori di questa formula strumentale raccomandiamo anche Portrait Of Art Farmer, Live In Tokyo, Flabula, J Mood, Tribute To The Trumpet Masters. [P.S. - *2/5 del Perigeo.] - B.A.


ENRICO RAVA - OPENING NIGHT (1981)

ENRICO RAVA - ANDANADA (1983)

ENRICO RAVA / DINO SALUZZI - VOLVER (1986)


ENRICO RAVA - SECRETS (1986)

jazz italiano: parliamone … forse abbiamo trovato un’eccellenza nazionale che ci consente - dopo anni di mortificazioni planetarie (mascelle, gobbe, garofani, lifting) - di aspirare al prestigioso secondo posto (per ovvi motivi, il primo è appannaggio degli americani) in questa sublime forma d’arte dalla genesi così singolare … come sempre accade con la musica registrata, quando il chiasso mediatico e i lustrini promozionali si sedimentano, quel che rimane sono i dischi … il catalogo di Enrico Rava è cospicuo per quantità e omogeneo per (alta) qualità, ma gli album degli anni Ottanta vantano il merito aggiuntivo di aver contribuito alla durissima resistenza umana che dovemmo opporre per sopravvivere alle persecuzioni del Gioca Jouer … con un moderno quintetto hard-bop in cui il consueto sax è sostituito dalla proteiforme chitarra di Augusto Mancinelli e il reparto propulsivo affidato a tre straordinari specialisti [John Taylor (pianoforte), Furio Di Castri (contrabbasso), Bruce Ditmas (batteria)], il trombettista esplora le possibilità concesse dall’evoluzione del linguaggio muovendosi libero tra le macerie circostanti (febbre, riflusso etc.) … il minuto al cardiopalmo di Cornette fa da efficace preludio alla scaletta, che entra a regime con Secrets, duttile massa sonora contenuta in un reticolo ritmico incessantemente contratto e disteso dal collettivo; indotta da contrabbasso e batteria, la scansione squadrata di Da Silva (poi ripresa sull’acclamato Electric Five) scuote la squisita eleganza del combo, vellicandone gli istinti più “rock”; l’insopprimibile lirismo del leader affiora dapprima nel solenne adagio di Holiday For Strings, poi nella struggente melodia di Planet Earth; man mano che procede, il tango di Tomo Y Recuerdo assume i tratti di un intenso crescendo dall’inconfondibile retrogusto latino; esplicitamente ispirata al grande compositore/pianista, Monky Tonk è una spettacolare vetrina per la fuga in coppia di Mancinelli e Rava che, sul finale, approda al riepilogo del tema introduttivo di Cornette. Per apprezzare interessanti affinità e divergenze stilistiche tra due fuoriclasse che, poi, collaboreranno in un clamoroso summit propiziato dal solito Manfred Eicher (Roma), suggeriamo l’accostamento di Secrets a Landmarks di Joe Lovano, per via dell’analoga formula strumentale. - B.A.


ENRICO RAVA - ANIMALS (1987)

ENRICO RAVA - BELLA (1990)

ENRICO RAVA - WHAT A DAY!!! (1991)

ENRICO RAVA - ELECTRIC FIVE (1995)

ENRICO RAVA - NOIR (1997)

ENRICO RAVA - EASY LIVING (2003)

ENRICO RAVA - HAPPINESS IS ... (2003)

ENRICO RAVA - THE WORDS AND THE DAYS (2005)


RAVA / D’ANDREA / VITOUS / HUMAIR - QUATRE (1989) FOREVER YOUNG

La straordinaria formazione assemblata per quest’album appagò le legittime attese suscitate dal carisma dei suoi componenti (due italiani, un francese, un cecoslovacco), i cui rispettivi, prestigiosi curricula (Perigeo, European Rhythm Machine, Weather Report etc.) conferivano al quartetto un carattere cosmopolita pur senza intaccarne il retroterra europeo. Lo swing, concetto divenuto quanto mai ambiguo dopo cent’anni di jazz, in questo caso si configura come un materiale elastico da dilatare e comprimere a piacimento. La poderosa sezione ritmica supporta con vigore piano e tromba, creando una materia sonora densa ma flessibile. L’evocativa melodia calante di Mode For Versace viene sballottata all’interno del poligono strumentale, così da assumere forme e misure sempre diverse. Autoscontri e Flee Jazz sono altri due esempi di questo proficuo approccio stilistico, coi rispettivi temi espansi e stravolti dentro l’area circoscritta dagli arrangiamenti. L’intuibile difficoltà di coniugare libertà e disciplina richiedeva classe immensa e reciproca empatia, entrambe evidenti su F. Express, splendida ballad di Enrico Rava, e Merano, rivisitazione di Softly, As In A Morning Sunrise firmata da Franco D’Andrea. Nel 1990 Quatre vinse il Premio Arrigo Polillo come miglior disco dell’anno per i lettori di Musica Jazz. C’è ancora qualcuno a cui interessi un CD raffinato, concreto, bellissimo? - B.A.


ENRICO RAVA / ENRICO PIERANUNZI - NAUSICAA (1997)

DANILO REA / ROBERTO GATTO - BACI RUBATI / LIVE AT VILLA CELIMONTANA (2003)

SONNY RED - OUT OF THE BLUE (1959)


FREDDIE REDD with JACKIE McLEAN
THE MUSIC FROM “THE CONNECTION” (1960)
FOREVER YOUNG

Una delle perle più preziose del catalogo Blue Note è la colonna sonora firmata da Freddie Redd per un testo teatrale scritto dal drammaturgo Jack Gelber: dapprima rappresentato in palcoscenico dal Living Theatre, lo spettacolo fu poi trasposto su pellicola dalla regista d’avanguardia Shirley Clarke. A dispetto di un argomento scabroso per l’epoca (drogati, spacciatori, overdose) - sebbene già affrontato con coraggio da Otto Preminger e Frank Sinatra su The Man With The Golden Arm - l’opera ottenne riscontri positivi anche grazie alla splendida musica che l’accompagnava, suonata dal vivo e incisa in studio da un quartetto in cui, accanto al pianista/compositore e a un superbo tandem ritmico [Michael Mattos (contrabbasso); Larry Ritchie (batteria)], spiccava Jackie McLean in veste di attore e solista. Fin dalle prime note dell’album è evidente la perfetta simbiosi tra il garrulo sax alto di McLean e le cantabili melodie di Redd. Immersi in un tripudio di guizzi parkeriani, tempi sostenuti e reciproci inseguimenti strumentali, i sette pezzi (Who Killed Cock Robin?, Wigglin’, Music Forever, Time To Smile, Theme For Sister Salvation, Jim Dunn’s Dilemma, O.D.) sono tutti stupendi. Finalmente, ma sempre troppo tardi, The Music From “The Connection” è disponibile su CD. - B.A.


FREDDIE REDD - SHADES OF REDD (1960) FOREVER YOUNG

DIZZY REECE - STAR BRIGHT (1959)

DIZZY REECE - SOUNDIN’ OFF (1960)

ERIC REED - E-BOP (2000)

REEDS AND DEEDS (ERIC ALEXANDER / GRANT STEWART) - WAILIN’ (2004)

REEDS AND DEEDS (ERIC ALEXANDER / GRANT STEWART) - COOKIN’ (2005)

REEDS AND DEEDS (ERIC ALEXANDER / GRANT STEWART) - TENOR TIME (2000)

TONY REEDUS - INCOGNITO (1989)


ALEX RIEL - EMERGENCE! LIVE AT FASCHING (1993)

Nulla da obiettare quando in cima ai referendum indetti dalle riviste specializzate troviamo Joe Lovano o Tom Harrell. Ma proprio i riconoscimenti tributati a questi musicisti straordinari rendono inconcepibile il silenzio assordante che circonda i nomi di Bennie Wallace o Jerry Bergonzi, ed è deprimente assistere all’ostracismo cui vengono sottoposti questi due autentici giganti del sax tenore. Uno dei critici meno attenti di Down Beat, definendo Bergonzi “dotato ma non originale”, attribuisce a questo giudizio una fastidiosa accezione negativa che non può essere condivisa. Modernizzare un linguaggio apparentemente tradizionale, evitare mode superficiali e inconsistenti, aderire alla concretezza dell’improvvisazione: le scelte meno vistose spesso si rivelano le più azzeccate. In questo eccellente album dal vivo l’incontenibile foga di Jerry e l’infaticabile sostegno ritmico di Alex Riel (batteria) e Jesper Lundgaard (contrabbasso) innalzano un mirabile monumento all’arte del trio. Ciascun brano offre una porzione di idee musicali talmente sostanziosa da suggerire un ascolto centellinato, per assaporare un pò per volta i contenuti che emergono dal fittissimo dialogo strumentale. Il timbro corposo di Lundgaard richiama a tratti l’indimenticabile ‘fretless’ elettrico di Pastorius (Optimum Propensity; Blank For Now), e il suo fraseggio imprevedibile e sinuoso rende interessanti, dall'inizio alla fine, tutte le sue uscite solistiche. Bergonzi è un autore di razza, e a proposito delle sue composizioni si può realisticamente parlare di “repertorio”. L’assenza del piano e l’atmosfera raccolta del club spingono il sassofonista a un’esplorazione dell’elegante tema di Tribute meno meditata ma più avventurosa rispetto a quella, pure godibile, che caratterizzava le due versioni già apparse nell’album Tilt! - L’andamento “latino” di Conclusive Evidence scatena l’esuberanza del trio, e chi volesse confrontare questa esecuzione con le incisioni in quartetto può riascoltare gli incontri di Jerry con due fenomenali complessini, gli ETC di Fred Hersch (ETC Plus One) e il Trio Idea (Napoli Connection), entrambi su Red Records. Riel è curiosamente indicato come titolare ufficiale, nonostante Bergonzi abbia scritto tutti i sei pezzi e sia indiscutibilmente il trascinatore della compagnia. - B.A.


ALEX RIEL - THE RIEL DEAL (1996)

ALEX RIEL - UNRIEL (1997)

ALEX RIEL - RIELATIN’ (1999)

KNUT RIISNAES / JON CHRISTENSEN - KNUT RIISNAES / JON CHRISTENSEN (1992)

HOWARD RILEY - SYNOPSIS (1973)

HOWARD RILEY - OVERGROUND (1974/1975)


SAM RIVERS - FUCHSIA SWING SONG (1964) FOREVER YOUNG

Prima di diventare il più illustre esponente dell’avanguardia post-coltraniana, Sam Rivers vantava anche un ingaggio con Miles Davis (Aprile/Luglio 1964). Alla fine dello stesso anno, entrato nella scuderia Blue Note come session-man per Tony Williams (Life Time) e Larry Young (Into Somethin’), egli debutta a proprio nome con un autentico “instant classic”. Col versatile Jaki Byard (pianoforte) affiancato dalla sezione ritmica del “divino” - Ron Carter (contrabbasso), Tony Williams (batteria) - Rivers dispone di una squadra stellare. Come dimostreranno alcuni dischi successivi (Crystals; Paragon; Waves), il sassofonista preferiva operare in contesti sonori privi di piano, strumento armonico troppo vincolante per un improvvisatore radicale del suo livello. Eppure, proprio la “gabbia” espressiva costruita dai tre partner obbliga il leader a dibattersi come una belva, mettendo in mostra una personalità in cui convivono miracolosamente frenesia e disciplina. In seguito egli si misurerà quasi soltanto con pianisti eterodossi - Cecil Taylor, Don Pullen, Alexander Von Schlippenbach - ma la dimensione tradizionale di questo album consente di apprezzare una sfumatura diversa, ed egualmente affascinante, del suo stentoreo tenore. La prodigiosa inventiva di Rivers si riscontra anche nella bellezza dei temi, melodicamente avanzati persino per gli standard dell’etichetta. L’elegante ballad Beatrice verrà interpretata da capiscuola come Joe Henderson (An Evening With Joe Henderson; The State Of The Tenor), Chet Baker (Mister B.) e Anthony Braxton (23 Standards). Al tipico vigore dell’hard-bop si aggiunge lo slancio futurista degli arrangiamenti più dinamici (Fuchsia Swing Song; Downstairs Blues Upstairs; Cyclic Episode; Luminous Monolith; Ellipsis). Ristampato su CD in edizione limitata, Fuchsia Swing Song va custodito accanto ai capolavori in quartetto della Blue Note (Newk’s Time; Soul Station; Ju Ju; Inner Urge etc.). - B.A.


SAM RIVERS - CONTOURS (1965)

SAM RIVERS - A NEW CONCEPTION (1966)

SAM RIVERS - DIMENSIONS AND EXTENTIONS (1967)

SAM RIVERS - STREAMS (1973) FOREVER YOUNG

SAM RIVERS - CRYSTALS (1974)


SAM RIVERS / DAVE HOLLAND - DAVE HOLLAND / SAM RIVERS (1976) FOREVER YOUNG

Passato alla storia grazie agli album incisi per la Blue Note (Fuchsia Swing Song; Contours etc.) e divenuto un caso internazionale per la sfiancante maratona elvetica di Streams, Sam Rivers ha dominato gli anni '70 con il suo rigore intellettuale e la sua integrità artistica. Tra i diversi gioielli incisi all’epoca (Hues; Crystals; Paragon; Waves etc.), i duetti con Dave Holland pubblicati dalla IAI risaltano per la miracolosa empatia stabilita con il grande contrabbassista inglese, partner prediletto dai tempi di Conference Of The Birds. I quattro lunghi brani - uno per ciascun lato del vecchio formato Long Playing - offrono altrettanti, mirabili saggi di “improvvisazione controllata”. Holland asseconda i guizzi creativi di Rivers con prontezza telepatica, fornendo un appoggio saldo e raziocinante alle più spericolate manipolazioni sonore del polistrumentista. Fraseggi convulsi, sibili angoscianti, schiocchi d’ancia, diversivi ritmici, note sostenute: in ogni situazione Holland è sempre vigile col suo possente pizzicato e i suoi raffinati giochi d’archetto. {P.S. - Abbiamo assegnato la “stelletta” al primo volume perché contiene le due sezioni dedicate al sax [soprano (Waterfall); tenore (Cascade)], strumento su cui Rivers dà il meglio di sé.} - B.A.


SAM RIVERS / DAVE HOLLAND - DAVE HOLLAND / SAM RIVERS VOL. 2 (1976)

Quanto scritto per il primo volume vale anche per il secondo, con la sola differenza che su questo album Rivers si dedica al flauto (Ripples) e al pianoforte (Deluge), strumenti che impiega con un una maestria degna, rispettivamente, di Eric Dolphy e Cecil Taylor. Sostenuto dall’inestinguibile pulsazione di Holland, egli trasforma il proprio respiro in zufolanti geometrie sospese a mezz’aria, per poi avventarsi con impeto ferino sulla tastiera del Bösendorfer. Un virtuoso nel senso più completo del termine. Due CD da custodire tra i pezzi pregiati di qualsiasi collezione. - B.A.


SAM RIVERS - THE QUEST (1976) FOREVER YOUNG

SAM RIVERS - PARAGON (1977) FOREVER YOUNG

Caro manager dell’industria discografica, invece di riconoscere in essa la più nobile forma d’arte, hai trattato la musica alla stregua di una merce, il che rende i tuoi strepiti contro “free download” e “file sharing” alquanto inopportuni (per non dire chiaro e tondo che hai la faccia come il culo). Tuttavia, anche se da solo non ci arrivi, in questi giorni grami una forma di rilancio potrebbe consistere nel recupero di tanti album sepolti nell’oscurità, pubblicati da etichette improbabili o defunte, però bellissimi e che vale la pena di riproporre a collezionisti e ascoltatori (secondo ben precisi criteri editoriali, s’intende). Reclutando due partner con cui aveva già condiviso proficue, esaltanti esperienze immortalate nei cataloghi ECM (Conference Of The Birds) e IAI (Sam Rivers / Dave Holland; Sam Rivers / Dave Holland Vol. 2), Sam Rivers organizza un paio di sedute in trio che si collocano al vertice della sua produzione. Sorretto dall’irreprensibile vibrazione grave di Dave Holland (contrabbasso) e dalla dilagante inventiva ritmica di Barry Altschul (batteria), il virtuoso sciorina il proprio magistero strumentale (sax tenore e soprano, flauto, pianoforte) lungo una serie di composizioni insieme duttili e strutturate. Vi si alternano, con disparati esiti espressivi, la cifra cameristica degli arrangiamenti (Bliss, Paragon), le aspre dissonanze dell’avanguardia (Vision, Judgement), lo slancio convulso dell’improvvisazione (Expectation, Hope, Ecstasy, Rapture). Le molteplici tirature in vinile di The Quest si debbono a Red Records, Fabbri Editori e PAUSA (sussidiaria americana della Produttori Associati). Paragon fu stampato dalla Fluid Records. Registrati, rispettivamente, a Milano (12/13 Marzo 1976) e Parigi (18 Aprile 1977): all’epoca, l’Europa offriva generosa ospitalità ai maestri del “loft jazz”. - B.A.


SAM RIVERS - WAVES (1978)

SAM RIVERS - CONTRASTS (1979)

SAM RIVERS / ALEXANDER VON SCHLIPPENBACH - TANGENS (1997)

SAM RIVERS / JULIAN PRIESTER - HINTS ON LIGHT AND SHADOW (1997)

FREDDIE ROACH - DOWN TO EARTH (1962)

FREDDIE ROACH - GOOD MOVE! (1963)

FREDDIE ROACH - BROWN SUGAR (1964)


MAX ROACH & CLIFFORD BROWN - DAAHOUD (1954)

Un mix di lirismo e di fuoco. Il grande talento di Clifford Brown si rivelava, oltre che nella bellezza del suono e nella complessità delle frasi, sul versante della composizione: Daahoud e Joyspring erano destinati a diventare classici del jazz. Da notare l’originale parafrasi di uno standard come I Get A Kick Out Of You, con le variazioni metriche da ¾ a 4/4. Gli assoli di Brown e Harold Land stimolano un riascolto attento di queste memorabili pagine, provenienti da un nastro del 1954 rimasto ignorato in casa di Max Roach fino al 1972. - Pino Candini


MAX ROACH - DEEDS, NOT WORDS (1958)


MAX ROACH - WE INSIST! FREEDOM NOW SUITE (1960)

Gli scottanti temi dei film di Spike Lee affrontati quarant’anni prima di Do The Right Thing e Jungle Fever. Se è vero che “anche le formiche nel loro piccolo s’incazzano”, quando giunse il turno della comunità afro-americana la collera provocò una delle più influenti rivoluzioni socio-culturali della storia. Ciascuno secondo la propria sensibilità, a quel movimento parteciparono giganti come Sonny Rollins (Freedom Suite), Charles Mingus (Charles Mingus Presents Charles Mingus), Ornette Coleman (Free Jazz) e tuttavia Max Roach propose il tema nel modo più esplicito. In collaborazione con la cantante Abbey Lincoln (moglie del batterista) e lo scrittore Oscar Brown Jr., Roach formulava un’istanza non negoziabile, gridandola a caratteri cubitali sulla copertina dell’album: lo sguardo ostile del barista ‘w.a.s.p.’ che serve tre clienti di colore è un manifesto programmatico di straordinaria potenza. Driva’ Man si apre con un crudo affresco della vita nelle piantagioni, in cui la voce salmodiante è seguita dal grandioso intervento strumentale di Coleman Hawkins. La presenza di un “senatore” come Hawkins, solitamente attivo in contesti più tradizionali e disimpegnati, dava la misura di quanto il problema dei diritti civili fosse avvertito a tutti i livelli. Il messaggio espresso da titoli come Freedom Day e Tears For Johannesburg è sottolineato dagli splendidi assoli di Booker Little (tromba), Walter Benton (sax tenore) e Julian Priester (trombone). Tamburi assortiti, richiami tribali, invocazioni strazianti e grida selvagge risuonano su All Africa e Triptych (Prayer / Protest / Peace). Libertà subito: senza "se" e senza "ma". - B.A.


MAX ROACH - PERCUSSION BITTER SWEET (1961)

MAX ROACH - SPEAK, BROTHER, SPEAK! (1962)

MAX ROACH - SOLOS (1977)

MAX ROACH - CHATAHOOCHIE RED (1982)

MAX ROACH / ABDULLAH IBRAHIM - STREAMS OF CONSCIOUSNESS (1977)


MAX ROACH featuring ANTHONY BRAXTON - BIRTH AND REBIRTH (1978) FOREVER YOUNG

Un altro dei molti capolavori che giustificano i prestigiosi riconoscimenti - riscontri critici, successo di vendite - ottenuti in tutto il mondo dalle etichette italiane. In questo caso, la Black Saint suggella una memorabile collaborazione tra Max Roach e Anthony Braxton registrata a Milano. La memoria corre subito al più celebre dei duetti sax/batteria - Interstellar Space di John Coltrane con Rashied Ali - e malgrado il tempo trascorso e gli eventi accaduti da allora alterino le percezioni, un raffronto estetico tra i due album è lecito, se non addirittura raccomandabile. Entrambi volumi storici della letteratura jazz, Interstellar Space e Birth And Rebirth differiscono per una maggiore intelligibilità del secondo rispetto al primo: se alle impetuose “cortine sonore”di Coltrane Braxton replica con un’improvvisazione più razionale, Ali lacera brutalmente il ritmo laddove Roach lo sminuzza con metodo scientifico. Dettagli. In ogni caso, la straordinaria unità di intenti tra capiscuola produce i fitti dialoghi di Birth, Dance Griot e Rebirth, in cui i virtuosismi minuziosamente scanditi da Braxton aderiscono come rampicanti alle strutture metriche erette da Roach. Echi pastorali ed esotici pervadono le atmosfere di Tropical Forest e Magic And Music, mentre una curiosa pulsazione meccanica anima lo svolgimento di Spirit Possession. Partendo dal presupposto che l’arte va giudicata in quanto tale (ars gratia artis), e non per i presunti messaggi che conterrebbe, Roach e Braxton hanno condiviso l’esigenza di un approccio non ideologico anche a questioni scottanti come la causa della comunità afro-americana. Per questo la loro opera rimane attuale. [P.S. - Ai cultori di questa formula strumentale segnaliamo anche Shock!! di Andrea Centazzo e Gianluigi Trovesi e lo stupendo Ten Tales di Joe Lovano e Aldo Romano.] - B.A.


MAX ROACH / CECIL TAYLOR - HISTORIC CONCERTS (1979)

SONNY ROLLINS - MOVING OUT (1954)

SONNY ROLLINS - WORK TIME (1955) FOREVER YOUNG

SONNY ROLLINS - TENOR MADNESS (1956) FOREVER YOUNG

SONNY ROLLINS - SAXOPHONE COLOSSUS (1956) FOREVER YOUNG

SONNY ROLLINS - SONNY ROLLINS VOL. 1 (1956)


SONNY ROLLINS - WAY OUT WEST (1957) FOREVER YOUNG

Deciso a misurarsi per la prima volta con la formula del trio senza pianoforte, Rollins sceglie un’etichetta e una sezione ritmica attive sulla costa occidentale (da cui il titolo del disco). La cifra espressiva dell’album è data proprio dal felice accostamento tra il muscoloso fraseggio del sassofonista e le sottigliezze timbriche prodotte dai due partner: il “senatore” Ray Brown (contrabbasso) e lo specialista Shelly Manne (batteria). Libero dalla zavorra dello strumento armonico, Sonny si immerge in apnea negli angusti interstizi dei temi, per riaffiorare carico di assoli preziosi, scultorei, talmente compiuti da sembrare scritti. Brown asseconda le improvvisazioni del leader con intuito infallibile, sebbene il suo stile possa apparire datato rispetto ai virtuosismi tecnici di un Eddie Gomez o di un Marc Johnson. Col suo tocco aereo ed elegante, Manne dona agli arrangiamenti la pulizia formale del ‘cool’ californiano. Rollins conferma il gusto per un repertorio inconsueto, quando non bizzarro, impiegando canzoncine anonime (Wagon Wheels) o improbabili (I’m An Old Cowhand) da cui, immancabilmente, riesce a estrarre prodigiose idee melodiche. Le ballad vengono prosciugate di ogni svenevolezza, fino a diventare pura materia musicale, pronta per gli intarsi del tenore: splendida l’interpretazione di There Is No Greater Love, e addirittura sublime la lettura della pagina ellingtoniana Solitude. Con la sua partenza bruciante e la sua irresistibile energia swing, Come, Gone si impose subito tra le sacre icone del jazz moderno insieme a So What (Kind Of Blue), Giant Steps (Giant Steps) e Goodbye Pork Pie Hat (Mingus Ah Um). Firmato da Rollins, il beffardo motivetto di Way Out West offre un ultimo spunto all’inesauribile inventiva dell’autore. Capolavoro assoluto. - B.A.


SONNY ROLLINS - SONNY ROLLINS VOL. 2 (1957) FOREVER YOUNG

Sbilanciamoci: Alfred Lion è una delle figure più importanti del 20° Secolo. Sbarcato negli U.S.A. nel 1938, in fuga dalla Germania Nazista, con passione autentica, gusto sublime e talento imprenditoriale fondò la Blue Note, applicando alla gestione dell’etichetta un metodo che prevedeva il compenso ai musicisti anche per le prove e una severissima cernita del materiale inciso (celebre l’espressione con cui contrassegnava a mano le bobine insoddisfacenti: “This session would be okay for release, but it is just not up to Blue Note standards.”). Dal 1939 al 1967, Lion creò un catalogo discografico che è tuttora punto di riferimento imprescindibile per artisti e appassionati in tutto il mondo. Tra gli innumerevoli capolavori prodotti sotto la sua guida illuminata, Sonny Rollins Vol. 2 è unanimemente considerato un classico al di sopra delle categorie. Con Art Blakey alla batteria, Paul Chambers al contrabbasso e Horace Silver al piano, la sezione ritmica non teme confronti. J.J. Johnson condivide la ribalta con Rollins, e l’abbinamento di due voci virili come trombone e sax tenore genera un indomito dinamismo che rimanda agli album registrati da Benny Golson con formula analoga (Gone With Golson; The Other Side Of Benny Golson; Groovin’ With Golson; Gettin’ With It). Al culmine della fama, Rollins mette in mostra tutte le qualità che gli valsero il meritato appellativo di “Saxophone Colossus”: voce strumentale perentoria, fraseggio incisivo e sardonico, inventiva inesauribile. Firmate dal leader, Why Don’t I e Wail March sviluppano dense masse armoniche su cui Sonny improvvisa usando il sassofono come uno scalpello. Su due composizioni di Thelonius Monk, Silver lascia il posto all’ineffabile autore che, col suo atipico uso della tastiera, propone un peculiare, affascinante approccio al blues (Misterioso) e alla ballad (Reflections). You Stepped Out Of A Dream e Poor Butterfly esaltano lo stile con cui Rollins affrontava gli standard, spogliando le melodie originali di ogni sentimentalismo. Ventisette anni dopo, la celeberrima foto scattata da Francis Wolff fu ripresa da Joe Jackson che, per la copertina di Body And Soul, si fece ritrarre in una posa identica. - B.A.


SONNY ROLLINS - THE SOUND OF SONNY (1957) FOREVER YOUNG

SONNY ROLLINS - NEWK’S TIME (1957) FOREVER YOUNG

SONNY ROLLINS - A NIGHT AT THE “VILLAGE VANGUARD” (1957) FOREVER YOUNG


SONNY ROLLINS - FREEDOM SUITE (1958) FOREVER YOUNG

Western Suite e Freedom Suite: due album rispettivamente contemporanei, indispensabili per motivi diversissimi, entrambi occupati per metà del vecchio formato LP da altrettante “sinfonie” - omonime ed emblematiche di ciascuno dei volumi - integrate sul lato “B” da pregevoli riempitivi. - B.A.

Accanto al meraviglioso Way Out West dell’anno precedente, Freedom Suite è l’altro grande album in trio di Sonny Rollins, un mega-classico che non può mancare in qualsiasi collezione di dischi jazz, foss’anche ristretta ad appena venti o trenta titoli. Tutti i fuoriclasse del sax tenore venuti dopo, al momento di misurarsi con l’impegnativa formula composta da solista e sezione ritmica senza pianoforte, hanno dovuto prendere a modello questi due volumi. L’approccio di Rollins all’improvvisazione è qui illustrato in tutta la sua geniale valenza: da temi apparentemente semplici, al limite della banalità (la quasi-cantilena introduttiva, il valzer del secondo movimento) - così concepiti per svolgere la funzione di puro spunto musicale - per venti minuti ininterrotti il “colosso” riesce a estrarre pepite d’oro in virtù di una prodigiosa sintesi tra caratura tecnica e inventiva melodica. L’impeccabile supporto di fenomeni come Oscar Pettiford (contrabbasso) e Max Roach (batteria) - entrambi a loro volta precursori di nuove tendenze sui rispettivi strumenti - fornisce all’interplay un costante flusso di idee integrative e stimolanti. Fondamentale. - B.A.


SONNY ROLLINS - SONNY ROLLINS AND THE CONTEMPORARY LEADERS (1958)

SONNY ROLLINS - THE BRIDGE (1962)

SONNY ROLLINS - ON IMPULSE! (1965)

FURIO ROMANO - INTER NOS (1989)


FURIO ROMANO - DANZA DELLE STREGHE (1990) FOREVER YOUNG

FURIO ROMANO + TOM HARRELL - INSIDE OUT (1991) FOREVER YOUNG

Personaggio misteriosissimo, almeno stando all’attuale, assoluta assenza di informazioni sul suo conto: in rete non c’è davvero nulla, eppure ha pubblicato almeno* un paio di capolavori consecutivi nel biennio 1990/1991, peraltro per un’etichetta ben distribuita come la Splasc(H). La formazione di entrambi gli album ricalca una peculiare formula adottata da Jackie McLean con Grachan Moncur III su alcuni classici Blue Note (One Step Beyond, Destination ... Out!, Evolution) e, più tardi, ripresa da Dave Holland per l’ECM (Points Of View, Prime Directive, Not For Nothin’, Extended Play): sezione ritmica + vibrafono + sax alto + trombone (+ tromba).
Danza Delle Streghe - Assistito da colleghi validi e motivati [Rudy Migliardi (trombone, tuba), Donato Scolese (vibrafono), Piero Di Rienzo (contrabbasso), Massimo Pintori (batteria)], Furio Romano (sax alto) arrangia quattro mini-suite di moderno jazz ispirato - solo per dare un riferimento - all’opera di alcuni sperimentatori anticonformisti degli anni Sessanta (Andrew Hill, Eric Dolphy, Bobby Hutcherson etc.). L’amalgama tra l’elasticità del tandem propulsivo e le squillanti armonie esposte dal vibrafono produce un fondale denso ma instabile, su cui i fiatisti debbono tenersi in equilibrio per seguire il flusso dei reciproci fraseggi: ne sortisce un’improvvisazione da camera raffinata e suggestiva, che risalta sui tre brani originali (Metal Roots, Ombre di Luna, Danza delle Streghe) e su una brillante versione di Goodbye Pork Pie Hat introdotta da un propedeutico duetto sax alto/trombone di oltre cinque minuti (ma il pezzo ne dura più di undici).
Inside Out - Seguendo - volontariamente o meno - l’esempio di Grachan Moncur III, che convocò il “divo” Lee Morgan per ampliare a sei elementi l’organico di Evolution rispetto ai quintetti di One Step Beyond e Destination ... Out!, Furio Romano recluta il fenomeno Tom Harrell (tromba/flicorno) al fine di aggiungere una voce “morbida” al tessuto strumentale. Il collettivo acquisisce spessore senza perdere immediatezza e si esalta sull’assorta malinconia di Assenza, sul garrulo swing di Ah Già, sulle cangianti atmosfere di Iter. In effetti, come accade anche nello sport, la presenza del fuoriclasse galvanizza l’intera squadra: gli incredibili assoli di Harrell obbligano ciascun solista a superarsi per tenere il passo dell’ospite eccellente. Lo splendido intervento di Romano su Inside Out dimostra che, anche sulle partiture più impervie, egli si muove con l’agilità propria del virtuoso e con una finezza di fondo che non gli viene mai meno. Le due pagine d’autore - Thelonius Monk, Charles Mingus - alternano un saggio di impeccabili unisoni e superbo interplay (Epistrophy) a un insolito connubio di cinema muto e aromi caraibici [Jelly Roll (My Jelly Roll Soul)]. Roberto Della Grotta subentra a Piero Di Rienzo. [P.S. - *Abbiamo scoperto solo di recente che esiste un terzo LP (Inter Nos): inciso nel 1989, mai ristampato su CD e, al momento, introvabile.] - B.A.


JIM ROTONDI - INTRODUCING JIM ROTONDI (1996)

JIM ROTONDI - JIM’S BOP (1997)

JIM ROTONDI - EXCURSIONS (1998)

JIM ROTONDI - DESTINATION UP! (2001)

JIM ROTONDI - THE PLEASURE DOME (2004)

JIM ROTONDI - IRON MAN (2005)

JIM ROTONDI - THE MOVE (2010)

ROVA - CINEMA ROVATÉ (1978)

ROVA - THE REMOVAL OF SECRECY (1979)

ROVA - INVISIBLE FRAMES (1980/1981)

ROVA - AS WAS (1981)

ROVA - ROVA PLAYS LACY / FAVORITE STREET (1983)

ROVA - BEAT KENNEL (1987)

ROVA - BINGO (1996)

ROVA - THE WORKS (VOLUME 1) (1994)

ROVA - THE WORKS (VOLUME 2) (1995)

ROVA - THE WORKS (VOLUME 3) (1999)

ROSWELL RUDD - INSIDE JOB (1976)

RENZO RUGGIERI - ACCORDION VOYAGE (2000)

RENZO RUGGIERI - SPAGHETTI TIME (2002)

RENZO RUGGIERI - BENDS (2005)

PAUL RUTHERFORD - THE GENTLE HARM OF THE BOURGEOISIE (1974) FOREVER YOUNG

PAUL RUTHERFORD - OLD MOERS ALMANAC (1976)

PAUL RUTHERFORD - NEUPH (1978/1980)

PAUL RUTHERFORD - TETRALOGY (1978/1982)

PAUL RUTHERFORD - GHEIM (1983)

PAUL RUTHERFORD - TROMBOLENIUM (1986/1995)

PAUL RUTHERFORD - CHICAGO 2002 (2002)

RUTHERFORD / COXHILL / MÜLLER - MILWAUKEE 2002 (2002)

TERJE RYPDAL - TERJE RYPDAL (1971)

TERJE RYPDAL - WHENEVER I SEEM TO BE FAR AWAY (1974)


TERJE RYPDAL - AFTER THE RAIN (1976) FOREVER YOUNG

Entrambi sovraincisi personalmente dai titolari al Talent Studio di Oslo, After The Rain di Terje Rypdal e Characters di John Abercrombie sono album molto diversi l’uno dall’altro, sebbene concepiti dal produttore Manfred Eicher col medesimo intento: consentire a due dei più emblematici chitarristi ECM di esprimersi in solitudine. I rispettivi approcci strumentali distinguono in modo netto il norvegese dall’americano.
After The Rain - Con l’inconfondibile sonorità psichedelica della sua Stratocaster, Rypdal secerne note lunghe, sostenute, che fluttuano come bolle sopra gli accordi onirici del pianoforte. Intervallati da refoli di flauto (Wind, Little Bell) e bozzetti acustici (Now And Then, Multer), i brani più estesi (Autumn Breeze, Air, After The Rain, Kjare Maren, Vintage Year, Like A Child, Like A Song) compongono una sinfonia scintillante di bagliori siderali. - B.A.


TERJE RYPDAL - ODYSSEY (1975)

TERJE RYPDAL - WAVES (1977)

TERJE RYPDAL - DESCENDRE (1979)

RYPDAL / VITOUS / DE JOHNETTE - RYPDAL / VITOUS / DE JOHNETTE (1978)

RYPDAL / VITOUS / DE JOHNETTE - TO BE CONTINUED (1981)

TERJE RYPDAL / DAVID DARLING - EOS (1983)

TERJE RYPDAL - CHASER (1985)

TERJE RYPDAL - BLUE (1986)

TERJE RYPDAL - Q.E.D. (1993)

TERJE RYPDAL - IF MOUNTAINS COULD SING (1994)

TERJE RYPDAL - SKYWARDS (1996)

TERJE RYPDAL - LUX AETERNA (2000)

 

| A | B | C | D | E-F | G | H-I | J-K | L | M | N-Q | R | S | T | U-Z |

| HOME | NEW | A.O.R. | SOUL | FUSION | JAZZ | ROCK | PROGRESSIVE | FOLK | 20th CENTURY |
|
RADIO | BEATLES | 10cc | FRANK ZAPPA | SINATRA & Co. | CINEMA | FOREVER YOUNG | LINKS |